Riforma della scuola: Per tutti e non per gli interessi di pochi.

Questo è un paese che credo debba imparare che in un mondo globalizzato occorre pensare in modo globale. Discutiamone ancora di questa riforma fondamentale ma non per insabbiare tutto come da anni avviene ad ogni occasione.

Bizzarro paese l’Italia. Ogni volta che si vuole fare una riforma di un settore chiave della società o della economia, i soggetti interessati si scatenano in manifestazioni e contestazioni per impedire ogni cambiamento.

Sindacati e opposizioni invocano continuamente cambiamenti, ma ad ogni innovazione reagiscono con il “benaltrismo” ottimo alibi per non smuover nulla. Un cambiare tutto per non cambiare niente, un gattopardismo che ha messo il paese in ginocchio. E’ proprio vero che gli “ismi” sono il male endemico dell’Italia.

Se si avvia la riforma della giustizia, state certi che la magistratura insorgerà, che gli avvocati entreranno in sciopero e che gli uffici giudiziari verranno chiusi dalle cancellerie dei tribunali in rivolta.

Riforma della sanità? Neanche per idea. Gli ospedali per protesta forniranno solo servizi di pronto soccorso, migliaia d’infermieri si riverseranno nelle strade illuminati dai mille talk show televisivi che ne racconteranno il “dramma” umano e lavorativo, le farmacie entreranno in agitazione non accettando più le ricette mediche.

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Analogamente la riforma della scuola. Si è assistiti in queste ore alla manifestazione dei sindacati che in otto città hanno riempite le piazze di professori, precari e personale scolastico e studenti contro la “Buona scuola” lanciata dal governo attraverso il ministro della pubblica istruzione Giannini. Una manifestazione riuscita, affollata, con parole d’ordine durissime, tra tutte: “No, alla scuola dei padroni!”

Insomma, è ormai evidente che gli italiani, mentre si lamentano della politica, in realtà desiderano che la politica non faccia nulla che tutto ristagni nella maleodorante stagnazione che ha contrassegnato gli inutili e dannosi anni della seconda repubblica.
E la politica (nelle sue opposizioni di destra e di sinistra) ben si adegua a questa malcelata richiesta di una gran parte d’italiani, ed il parlamento infatti, continua a non produrre alcuna legge, per non creare disturbo. Salvo poi lamentarsi che il governo eccede in decreti legge, deprimendo la funzione legislativa delle due camere.

In effetti, è evidente che ogni riforma comporta dei sacrifici, il colpire taluni interessi a favore di altri. Nella fattispecie concreta della manifestazione contro la “buona scuola” si sono saldati gli interessi politici dei sindacati che ormai più che degli interessi dei lavoratori sembrano interessarsi solo al braccio di ferro interno al PD tra i renziani e le minoranze PD, che rifiutano qualsiasi processo di rinnovamento interno. A questi si aggiungono le legittime preoccupazioni delle migliaia di persone che sono ancora nelle graduatorie scolastiche e che, pur non vincitori di concorso, sperano (spesso vanamente) in qualche provvedimento che gli permetta di diventare titolari di cattedra. Si tratta di un 600.000 persone forse precarie per sempre e che non accettano l’idea del governo di un azzeramento delle graduatorie per poi assegnare posti solo attraverso concorsi pubblici. Si saldano strani ideologismi, (di cui si fanno interpreti specie gli studenti) sulla contrapposizione tra scuole pubbliche e private, su pretese scuole democratiche che si opporrebbero ad una pretesa svolta autoritaria imposta dal governo.

La realtà è che l’Italia ha una cultura corporativa, dove ogni categoria si chiude alla società vigilando solo sui privilegi conquistati e sui vantaggi (anche minimi) ottenuti, precludendo ogni spazio al merito, alla competizione, alla possibilità per gli altri, specie giovani, di entrare nella società a pieno titolo.

Ricordate quando il povero Bersani cercò di liberalizzare la categoria dei tassisti? Tassisti non chissà che! Ebbene, dovette rinunciarci di fronte al ricatto di quella piccola categoria di paralizzare le grandi città con blocchi stradali e disservizi.

Oggi la politica non la fanno i partiti, ma le corporazioni, ben difese da sindacati che, perso ogni riferimento culturale ed ideologico con la sinistra si sono fatti solo portavoce dei propri iscritti e dei propri interessi che evidentemente confliggono con l’idea di modernizzazione e di cambiamento che il governo Renzi propone.

Certamente, come ogni riforma, anche quella della scuola è migliorabile. Non a caso lo stesso Renzi (che non a caso ha proposto un disegno di legge e non un decreto) si è detto disponibile a ridiscutere la riforma con i soggetti interessati e i sindacati, purché questa non sia una tecnica per insabbiare ancora una volta il tentativo di dare a quel delicatissimo settore della società italiana una riforma organica e completa.

Forse è bene ricordare che il tema scuola ha maturato la sua riforma dopo duecento tavoli di consultazione alla Leopolda del PD, dopo una consultazione on line aperta a tutti e che ha goduto del contributo di 1.800.000 italiani. Quindi una riforma che per una volta non è calata dal cielo.
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La riforma Giannini parte da un’idea guida nella filosofia “renziana”, ovvero quella di contrastare il precariato e cercare di favorire le assunzioni a tempo indeterminato. In tal senso verranno assunti in due anni 160.000 persone (tutti coloro che sono attualmente nelle graduatorie di supplenza) al fine di favorire la necessaria continuità didattica. Al contempo far valere la logica del merito azzerando le graduatorie dei non vincitori di concorso (i cosiddetti abilitati), facendo valere l’idea che i concorsi siano molto più frequenti e che solo i vincitori si vedranno assegnare la cattedra. Un principio sacro se si considera che l’ultimo concorso fatto si perde nella notte dei tempi e che molti laureati ed aspiranti insegnanti restano tali, invecchiando nell’attesa di un concorso che non arriva mai, perché bisogna prima assorbire le infinite graduatorie sovraccariche di abilitati non vincitori. Anche nella scuola come nel lavoro privato, prima di Renzi, i giovani erano in pratica tagliati fuori dal mercato.

La copertura finanziaria per le 160.000 assunzioni in due anni sono garantite dal documento di programmazione economica approvato dal governo e pertanto si tratta di cosa certa.

Francamente, credo che un sindacato interessato al lavoro e privo di pregiudizi, non potrebbe che plaudire ad una simile misura, come dovrebbe plaudire, dopo anni d’immiserimento dell’edilizia e dei servizi scolastici, alla misura che prevede finalmente tre miliardi di euro assegnati per l’ammodernamento strutturale delle scuole. Credo fossero decenni che sulla scuola non veniva investito un euro.

Ancora la riforma afferma il principio dell’autonomia scolastica e della responsabilità. L’autonomia scolastica è espressione di un fondamentale principio di libertà organizzativa e didattica, che purtroppo non è stato mai concretamente perseguita dalle nostre istituzioni. La responsabilità è uno dei tratti più significativi della rivoluzione “renziana”. Siamo abituati in ogni settore alla filosofia dello scarica barile, all’impossibilità di risalire ai responsabili del mancato funzionamento di interi settori della cosa pubblica. Gestione di ospedali, delle poste, dei trasporti, dove enigmaticamente non si può mai capire chi è in definitiva responsabile della mala gestione e delle inefficienze.

Con questa riforma il dirigente scolastico, il preside (che risponde al provveditorato, al ministero, ma soprattutto ai suoi utenti ed organismi interni), con l’ausilio degli organismi delegati che storicamente legano territorio a scuola, divengono gli evidenti responsabili, naturalmente per tutte le attività integrative che rientrano nell’autonomia pedagogica della scuola.

Viene data la possibilità a questi dirigenti di poter provvedere ad assunzione di personale docente, valutandone curriculum e qualità. Questo renderebbe più efficace la concorrenza tra i vari istituti e quindi maggiore l’offerta d’istruzione da valutare per le famiglie e gli studenti.

Peraltro, il dirigente scolastico potrà disporre, in modo flessibile, del corpo insegnanti cosi da poter costruire delle classi in rapporto al suo potenziale, evitando, ad esempio, quello che un tempo erano dette classi pollaio, quindi uno strumento efficace per il potenziamento dell’offerta didattica.

Significativamente il disegno di legge dice: “Vengono potenziate poi: Arte, Musica, Diritto, Economia, Discipline motorie. Nella Buona Scuola viene dato più spazio all’educazione, ai corretti stili di vita e si guarda al futuro attraverso lo sviluppo delle competenze digitali degli studenti (pensiero computazionale, utilizzo critico e consapevole dei social network e dei media). Alle superiori, il curriculum diventa flessibile: le scuole attiveranno materie opzionali per rispondere alle esigenze degli studenti”. Insomma una cosa che francamente non sembra da scuola dei padroni.

Entrano, in un paese che ha colpevolmente dato poco spazio alla cultura giuridica e finanche alla educazione civica, materie come il diritto, che in passato si conosceva solo accedendo all’Università e l’economia che tanto peso ha nei processi vitali della società e quindi del paese. Vengono valorizzati ulteriormente musica ed arte che costituiscono due straordinarie risorse spesso sottovalutate, con tristi affermazioni quali: “Con la cultura non si mangia”.

Come si fa a non convenire sull’uso consapevole degli strumenti informatici in un tempo in cui internet nel suo incontrollato spazio, influisce ed influenza la stessa formazione esistenziale dei nostri giovani.

Per gli istituti tecnici e professionali sono previste nell’ultimo triennio 400 ore di formazione professionale, ma anche 200 negli altri licei, per un avviamento al lavoro che garantisca maggiore qualità e professionalità in un mondo globalizzato dove proprio le competenze possono fare la differenza.

Tra le tante cose, mi piace anche segnalare l’incentivo al merito e all’impegno con cui il dirigente (responsabile) potrà premiare quei docenti e maestri che maggiormente s’impegnano per dare ulteriore qualità all’istituto scolastico. Incentivi economici utili a rafforzare le competenze professionali degli insegnanti, utili ad accrescerne le motivazioni, l’esperienza e l’impegno.

Stefania Giannini

Forse sul merito ancor di più deve farsi, tenendo conto, e qui c’è un limite storico della politica italiana, dell’impossibilità di fatto di licenziare o di sostituire insegnanti incapaci con altri più preparati e motivati. Ma questo è un discorso che riguarda l’intero comparto pubblico (vero potere forte), per il quale non è stato possibile estendere la filosofia che ha informato il Jobs act. Un settore pubblico che, sia sul piano dei tagli, sia su quello dei privilegi (rispetto al settore privato), sembra davvero inamovibile, insensibile alle regole di efficienza e modernità che sono oggi tema quotidiano in tutte le società occidentali.

Ma come non sono le leggi che possono dare lavoro (ma i processi aziendali, le volontà d’investimento, le dinamiche classiche di offerta e lavoro, le generali condizioni economiche), credo che anche la ”Buona scuola”, potrà favorire un riavvio virtuoso dell’istruzione in Italia solo con una rivalutazione dei suoi protagonisti a partire dal corpo insegnanti, ma la scuola buona deve anche rivalutare quello che è la didattica.

Sono d’accordo con il giudice Gratteri, che in tanti incontri pubblici, anche in televisione, ha invocato il ritorno di un insegnamento che sia fedele ai programmi. Ben vengano le attività integrative ma se non vogliamo cadere negli eccessi raccontati da Nanni Moretti nel suo film “Bianca” con la scuola “Mary Poppins” in cui non si studiava più nulla ma si compivano solo atti creativi e vani, forse bisognerà riportare nelle aule un po’ di sano “nozionismo”.

Non è possibile assistere a ragazzi di liceo che fanno strafalcioni d’italiano terribili, che non sanno cosa fosse il Risorgimento, che ignorano il latino, strumento indispensabile per conoscere l’italiano, che ignorano i padri della nostra letteratura, per non parlare della straordinaria area d’ignoranza delle materie scientifiche. Occorre che gli studenti imparino a leggere e scrivere bene, perché, proprio come ricordava Moretti, parlare bene significa pensare bene.

Abbiamo detto di responsabilità, parola chiave della rivoluzione culturale che si vuole in atto nel paese, ebbene anche i ragazzi devono assumere il valore di questa parola per decenni ignorata dal Paese. In tal senso occorre fare una scuola che dia mezzi a tutti per poter apprendere e riuscire, ma che deve anche selezionare i più meritevoli. Che valore pedagogico ha una scuola che appiattisce tutti per solidaristiche volontà buoniste.

Bisogna farla finita con la retorica dei “pezzi di carta », titoli di studio privi di qualsiasi peso e credibilità. Chi non ama lo studio potrà essere un ottimo operaio, un validissimo artigiano e a suo modo fare cultura, senza pretendere di ingolfare il paese di medici, avvocati, ingegneri, privi di qualsiasi passione e di una minima cultura specifica e generale. Nelle scuole, come dice Gratteri, urge istruzione prima ancora che cultura. E su questo punto semplice ma non banale, sono profondamente d’accordo.

Nicola Guarino

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Nicola Guarino
Nicola Guarino, nato ad Avellino nel 1958, ma sin dall’infanzia ha vissuto a Napoli. Giornalista, già collaboratore de L'Unità e della rivista Nord/Sud, avvocato, direttore di festival cinematografici ed esperto di linguaggio cinematografico. Oggi insegna alla Sorbona presso la facoltà di lingua e letteratura, fa parte del dipartimento di filologia romanza presso l'Università di Parigi 12 a Créteil. Attualmente vive a Parigi. E’ socio fondatore di Altritaliani.

3 Commentaires

  1. Riforma della scuola: Per tutti e non per gli interessi di pochi.
    Nicola, un bell’articolo, con un’analisi molto condivisibile. Non ho avuto modo di seguire in dettaglio la proposta di legge, probabilmente perché spesso i telegiornali italiani parlano delle manifestazioni e non delle motivazioni e perché negli ultimi giorni abbiamo avuto eventi (v.Expo Milano e tute nere) che hanno oscurato altre istanze. I dibattiti televisivi non aiutano a capire: troppo spesso gli intervenenti giocano a coprirsi la voce vicendevolmente non lasciando intendere niente. Ecco il punto: non siamo solo un paese di corporazioni, siamo anche un paese con molti urlatori, chi urla di più è ascoltato e il suo urlo amplificato dai media. Colpa degli urlatori? Sicuramente, ma anche di certi cronisti e giornalisti che drammatizzano ed esasperano la discussione in cerca di applausi e di quote di mercato televisivo. Le più elementari regole di educazione e rispetto sono spesso calpestate e la tracotanza, il dileggio e l’offesa tollerate. Molti urlano e pochi spiegano. Romano

    • Riforma della scuola: Per tutti e non per gli interessi di pochi.
      Gentile Sig. Ferrari, nel ringraziarla, prendo spunto dal suo cortese intervento per rimarcare il fatto da lei segnalato che gli attuali talk show politici non aiutano alla comprensione della nostra già complessa politica. Probabilmente perché sono figli di una stagione politica dello spettacolo (quella della seconda repubblica) che a me sembra tramontata. Occorrerebbe una televione critica (non sempre e solo in negativo) ed obbiettiva, che non punti superficialmente solo allo spettacolo e alla pancia dei cittadini, ma, piuttosto al loro cervello. Questo favorirebbe una cittadinanza più consapevole e capace di analisi più oculate. Quello che invece avviene è la banalizzazione e l’involgarimento del tutto con il dannoso effetto di incrementare la disaffezione verso la politica.

      • Riforma della scuola: Per tutti e non per gli interessi di pochi.
        Analisi puntuale e completa:come non essere d’accordo?Aggiungo che ad oggi la preparazione dei presidi si è mostrata tutt’altro che adeguata e che il loro reclutamento deve richiedere una formazione seria. Quanto agli insegnanti, occorrerebbe un aggiornamento continuo per rispondere alla sfida dei tempi.quanti insegnanti sanno o vogliono usare le nuove tecnologie ?E ‘ noto che in un istituto scolastico sono pochissimi quelli in grado di conoscerle e di usarle

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