L’Italia è fragile.

« L’Italia è fragile….qual piuma al vento…. »

E sì, l’Italia è fragile. Lo dimostrano queste settimane novembrine dove ad ogni pioggia si trema, con la Liguria, il Piemonte, la Toscana, L’Emilia Romagna, la Lombardia che vanno sott’acqua con distruzioni e morti quasi quotidiane.

L’Italia è fragile e povera ed allora interi quartieri e non solo di periferia nelle città esplodono, la rabbia diventa collera contro le istituzioni (il nemico di sempre in paesi conflittuali come il nostro) e verso lo straniero, l’immigrato, l’oscuro “nemico” che ci ruba il lavoro, le case, le donne, i soldi.

L’Italia è fragile ed ogni riforma, ogni cambiamento suscita crisi nervose, è vissuto come una minaccia ad un’esistenza già a rischio, già compromessa, fatta di mancanza di futuro, di assenza di certezze. Ed allora ognuno si chiude nel suo interesse particolare, nella sicurezza della propria casta, della propria lobby e poi…tutti contro tutti, ma soprattutto contro chi quei cambiamenti giusti o sbagliati che siano vuole portarli avanti.

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In un clima cosi, il populismo ha facile gioco. Prevale l’idea di non lasciare la via vecchia (l’immobilismo) per la nuova (il cambiamento).

Eppure, al di là dell’atipica situazione metereologica di questi mesi, quella fragilità qualcuno l’ha causata o almeno l’ha aggravata. Si tratta di decenni d’illegalità, di condoni, di omissioni. Va detto che artefici di quelle illegalità sono stati tanti, troppi, nostri connazionali che quegli abusivismi piccoli e grandi li hanno fatti, nel nome del solito interesse egoistico e privato. Loro complici sono state le istituzioni locali, che su quelle illegalità ed omissioni dovevano vigilare e che invece voltavano le spalle.

Che dire di decenni di governi, che legittimavano, magari per un pugno di voti, di lire o di euro, quei comportamenti con condoni che hanno certificato la cementificazione di intere aree del paese, rendendo le nostre montagne vertiginosi scivoli di acqua piovana, incastonando nel cemento interi fiumi, per costruirci fin sulle rive. Mentre si autorizzava o si condonava, i comuni, l’ex provincie e le regioni (di destra e di sinistra) non muovevano un dito per la manutenzione dei territori, non pulivano mai i fiumi, nemmeno dopo precedenti episodi d’inondazioni.

Parlo di quegli stessi enti locali che oggi rispondono picche al governo non volendo contribuire al taglio delle spese pubbliche e che con i nostri soldi hanno banchettato e sperperato per decenni.

E che dire di Tor Sapienza, che è solo la punta di un iceberg di un fenomeno di sofferenza ed insofferenza ben più consistente? Sia a destra che a sinistra, troppe volte è prevalsa l’idea di un’urbanizzazione e di un assetto dei quartieri assolutamente iniquo. Concentrare in un solo quartiere tre centri di accoglienza d’immigrati e due campi rom, vuol dire innescare una bomba di estrema pericolosità. Ma significa anche non avere nessuna considerazione per quei cittadini che vivono già in un territorio degradato dalla chiusura di piccole imprese (negozi, uffici) e piegata da una disoccupazione dilagante, con strade prive d’illuminazione e privi dei più elementari servizi.

Il sindaco Marino, che è bene ricordare, fu voluto con determinazione dalla sinistra vendoliana e da chi nel PD ancora oggi, guarda con disprezzo alla modernizzazione renziana, e che lo plaudivano come il salvatore della “vera” sinistra, il vincitore alle primarie contro il “democristiano” Gentiloni (oggi ministro degli esteri), francamente non sarà ricordato per la “Roma accogliente” che prometteva se, dopo due anni e mezzo di mandato, ha solo certificato l’esistenza di 16 coppie omosessuali sposatesi all’estero e tagliato il nastro all’inaugurazione della linea C della metropolitana, per la quale non ha alcun merito e che è costata ai contribuenti molto più delle spese preventivate.

Il sindaco Marino avrebbe dovuto avere la sensibilità e l’intelligenza di capire che le politiche d’inserimento in tutto il mondo non si fanno concentrando in un solo quartiere ed in una sorta di carcere tutti gli emigranti, ma favorendo l’inserimento per gruppi, in tutti i quartieri cercando di creare occasioni di condivisione sociale, scolarizzando, favorendo l’accesso al lavoro e alla contribuzione del e per lo Stato e lo stesso Comune. Dovrebbe sapere che i rom sono stanziali e che non di baracche ma di case avrebbero bisogno e che occorre colpire l’evasione scolastica, oggi diffusissima presso quelle popolazioni.

Centro d'immigrazione di Tor Sapienza a Roma

Non dovrebbe semplicemente abbandonare quella gente al proprio destino. Dovrebbe girare non solo per i Fori Imperiali, ma anche tra i quartieri più in sofferenza, senza temere le contestazioni dei cittadini, come gli insegna il suo segretario Renzi che non ha paura di spiegare il suo Jobs act anche a quei lavoratori e a quei centri sociali che l’accolgono con le uova alle mani. Dovrebbe almeno essere coerente con le proprie idee, ammesso che ne abbia.

L’Italia è fragile ed avrebbe bisogno di correre verso la salvezza, mentre i tentativi di modernizzare il paese, avrebbero bisogno di una politica coesa, di unità nell’ora dell’emergenza, per salvare un paese che affoga e non solo materialmente. Viceversa, il vano protagonismo induce i troppi interpreti dell’agorà politico ha non rinunciare a qualsiasi azione e polemica pur di calcare la scena. N’è immagine l’informazione attuale italiana che gira come una banderuola al vento dando più spazio agli strepiti e alla teatralità del confronto che all’informazione sui progetti che ci sono da fare, arrivando a dire tutto e il contrario di tutto. Questa grottesca e funebre sarabanda va avanti sull’orlo di un vulcano, mentre il paese cade a pezzi e non solo moralmente.

E’ vero che un morto ammazzato fa più notizia di un matrimonio, ma l’informazione specie pubblica più che essere suscitatrice di angosce e polemiche, spesso inutili, dovrebbe cercare di essere più costruttiva, porsi il problema di far capire i problemi del paese e quali possono essere le possibili soluzioni e non soffiare solo sul fuoco del qualunquismo, per cercare di alzare l’audience.

Veleno

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