La piana di Luni in Liguria… Ma il mondo finisce dietro il monte?

Vivo in quel particolare lembo di terra che Maurizio Maggiani ha descritto come “la valle di un dolce grande fiume, con molte fiumane che gli si precipitavano addosso dalle gole profonde di un giogo di montagne aguzze e franose. Le montagne erano bianche, di un marmo morbido e poroso che diventava d’oro scarlatto quando raccoglieva il sole basso del tramonto. La valle arrivava al mare per un’ampia piana, ricca di tutti gli umori necessari a far crescere le piante e gli animali”.
[[Maurizio Maggiani, “Il coraggio del pettirosso”, ed Feltrinelli (pag 44). Recensione QUI: http://www.altritaliani.net/spip.php?page=article&id_article=416]]

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E’ la piana di Luni, raccolta tra le Alpi Apuane ed il Mar Ligure, una piccola striscia pianeggiante in cui storie antiche e recenti, continuano a riproporre le loro narrazioni, spesso rintracciandosi e ritrovando legami con il presente. Vi dimorarono gli abitanti dell’antica città di Luna (cosi lucente di marmi da esser confusa con Roma da nordici navigatori) che ancora ha i suoi resti in un interessante sito archeologico. Ebbe qui i natali Papa Niccolò V (secolarmente Tommaso Parentuccelli). Tutt’oggi vi si celebra l’antica “pace di Dante” (in onore del poeta che si fece mediatore e garante di un accordo che mise fine, nell’ottobre del 1306, ad una lunga serie di scontri tra i Vescovi di Luni ed i Marchesi Malaspina) nel borgo di Castelnuovo Magra, oggi membro degli Enti Locali per la pace. Importanti e decisivi, per la storia locale, distaccamenti partigiani; erano dislocati tra le colline e le montagne. Vi sono colline con uliveti e vigneti che intervallano borghi “novi” (come Ortonovo, Castelnuovo, Fosdinovo) sorti per sfuggire ad attacchi ed invasioni antiche.

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Nella lettura personale la piana si traduce cosi: nella zona archeologica dove andavamo a giocare, tra le mura di un ben conservato anfiteatro, o direttamente nel museo nazionale, poiché il papà di un compagno di scuola ne era il custode e la loro abitazione era proprio sopra le sale ricche di anfore, statue, suppellettili di vita quotidiana. Il tragitto da casa alla scuola elementare, solitamente percorso in bicicletta, costeggiava l’anfiteatro, attraversava il cardo massimo e il foro, costeggiava la villa con i mosaici ed infine il tempio di Diana. Quella che attualmente è una delle sedi museali (in cui sono stati collocati alcuni dei mosaici e degli affreschi delle ville della romana Luna) era la casa dei nonni, mezzadri dei ricchi Benelli.

Nelle narrazioni della nonna o della mamma, le stanze, ora organizzate con teche e cartellini didascalici, erano la cucina dove sotto il camino si macinava il caffè, “per non far troppo sentire l’odore”, la stalla, la porcillaia, il capanno degli attrezzi, il forno per il pane. E’ capitato, durante l’inaugurazione della nuove sedi, di sentire sovrapporsi le narrazioni familiari, ed i vissuti di quei luoghi dati da mia madre, alle informazioni delle guide e degli archeologi. Piccole storie nella grande storia.
I campi da loro coltivati, proteggevano una ricchezza immensa: spesso “i buoi non andavano avanti” e si incagliavano in “qualcosa di duro” che esasperavano la fatica: erano le mura di case e botteghe di qualche millenio prima, erano le anfore con grano, vino e olio.

I partigiani dei distaccamenti li ho ascoltati in casa o li ho incontrati a scuola. In un tema di quarta elementare avevo scritto: “oggi sono venuti a scuola i compagni Boggia e Cervia” (cosi si erano presentati e cosi mi pareva andasse bene). E’ in quel periodo che ho scelto da “quale parte stare”. Molti anni dopo, un’altra donna molto speciale, ha rafforzato a me, come a molti altre giovani, un modello femminile importante. Vandina, Vanda Bianchi, staffetta partigiana “Sonia”, capace di preparare bomboloni indimenticabili (con e senza crema), raccontava ai bambini della scuola dove faceva la bidella, cos’era la guerra. Nelle sezioni di partito rivendicava (rimproverando la miopia del PCI di allora, e non solo, talvolta) lo spazio alle donne e sollecitava le donne a prendersi spazio. “Ci hanno rimesso in casa” diceva, “ma ora mi sono proprio ripresa il mio posto. Soprattutto per difendere la nostra Costituzione. Bisogna dirlo e dirlo, senza stancarsi mai”. Lei, come altri immensi personaggi della storia locale, quali Paolino Ranieri e Luigi Fiori. Alcuni non sono più qui ma tutta la loro esperienza e le loro storie sono raccolte nello splendido Museo della Resistenza di Fosdinovo.

Se torniamo alla geografia ufficiale, con un unico colpo d’occhio, sia guardando dal mare, sia dalle colline, è possibile avere tutto questo in una sorta di panoramica che lievemente stordisce.

Vista dal mare, ad occidente, il monte Carpione, per tutti qui è Montemarcello, si stacca dal mare e ruotando verso est si scorgono le colline del Vermentino e poi le Apuane e poi ancora le colline del Candia e poi il mare, la costa versiliese e quando proprio le condizioni metereologiche lo consentono, le isole toscane (Capraia ed Elba) a chiudere una sorta di cerchio immaginario

Da queste parti si può essere sempre un po’ sospesi. Il mare si può guardare, anche a debita distanza, a volte ascoltandolo la notte, quando il vento lo gonfia e quasi fa volare le onde. E’ vicinissimo, senza volerlo davvero mai avvicinare. La montagna, pur a portata di sguardo e facilmente raggiungibile, può essere troppo distante per viverla quotidianamente. Le nuvole “che vanno, vengono” coprono e scoprono le cime; il bianco del marmo (che molti anni orsono qualche distratto turista ha confuso con i ghiacciai) a volte, con la luna piena, ne riflette la luminosità quasi in un abbaglio.

Io sono un po’ troppo “fifona” per affrontare l’uno e l’altra. Non so nuotare, non so arrampicarmi, non so andare nei sentieri montani.

Temo l’altezza come la profondità. “A volte, per mettere due passi in fila uno dopo l’altro, ho bisogno di scrivere un contratto con me stesso” [[Erri De Luca, “Tre cavalli”, ed Feltrinelli (pag.66)]], cosi osservo, a distanza di sicurezza, i luoghi in cui abito.

Luoghi abitati ma troppo a lungo non realmente vissuti. La sospensione è di chi si è sentita (ed ancora spesso lo è) parte di molto ma non del tutto appartenente, sempre un piede per andare uno per restare. Con l’altalenare tra il bisogno di sentirsi protetta ed un po’ appartata e il bisogno di andare ad esplorare con il proprio sguardo , confrontandosi con gli sguardi altrui.

Forse è la geografia di questo luogo, che come quinte teatrali, apre e chiude su paesaggi che per quanto siano aspettati e soliti, spesso riservano sorprese e stupori che ogni volta tolgono il fiato.

Come quando lungo la provinciale che da Sarzana porta verso il mare, al tramonto, soprattutto con la luce invernale, la piana allunga senza esitazioni e poi si corre il rischio di finire in un fossato perché la luna piena sta sorgendo dalle Apuane e sembra quasi impossibile che occupi tutto quello spazio. E’ li, quasi da poter toccare.

O quando scopri “La via dell’armonia”. Non una statale, né una provinciale. Un antico sentiero, da tempo asfaltato e agevolmente percorribile anche in auto, che collega la frazione di Caprogano con il borgo di Vallecchia e Castelnuovo. Le velocità non le rende nessun favore, soltanto a piedi o in bici si possono notare le finestre create dagli intrecci di rami e foglie che gli alberi molto generosi aprono sugli scorci di panorama. Alcune panchine, proprio in loro corrispondenza, permettono soste di riflessione o di puro godimento. Null’altro che ascoltare il vento e le cicale in estate, o la pioggia e il vento in inverno.

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Oppure quando all’alba e al tramonto girandole d’acqua annaffiano i campi di basilico, che, per le intrusioni del sole quasi formano un sottile merletto. L’intensità del profumo è di quelli che si fissano nelle memorie olfattive personali e non si allontanano più

Quando poi, procedendo lungo la statale Aurelia o le strade comunali o interpoderali, i borghi sfilano ad uno ad uno rivelando i loro fianchi e ti chiedi sempre perché non si possa prendere il tempo giusto per gustarsi lo spettacolo; le repliche quotidiane non hanno motivo di renderlo usuale ed invisibile.

Probabilmente nel corso del tempo questi luoghi hanno cambiato per me collocazione: non sono più soltanto riferimenti geografici ma hanno assunto il rilievo della geografia emotiva: non ci sono atlanti né libri di testo che ne definiscano coordinate, ma meridiani e paralleli attraversati nel corso di differenti esperienze personali e lavorative che ne hanno permesso una rintracciabilità con queste latitudini.

Gli ulivi di queste colline sono fratelli con gli ulivi della Palestina; questi non sono i disperati moncherini come quelli visti verso Betlemme, ma alcuni potrebbero essere secolari come quelli visti a Burqin (poco distante da Jenin)[[Impressioni da Jenin, Palestina, un articolo di Simonetta Musetti su questo stesso sito: http://www.altritaliani.net/spip.php?page=article&id_article=244]], durante la festa di fine raccolta delle olive. Il piacere di stare insieme, di gustarsi l’olio vecchio aspettando le nuove frangiture. Lo abbiamo fatto seduti su pietre di macine da frantoio romane, gli oliveti si estendono anche nella zona archeologica di Luni.

L’olio che si mette sull’indimenticabile hummus mediorientale (ceci, olio di oliva, limone e a volte qualche spezia), l’olio che si mette sulla farinata sarzanese (farina di ceci,acqua, sale, oli di oliva). L’uno cremoso, l’altra un sottile impasto cotta in forno a legna. Legumi affacciati sullo stesso mare antico.

Cespugli di fichi d’india, rovi di more qui un pò nascosti sul fianco delle colline, in Bosnia, verso Tuzla, venduti dai bambini ad incroci di strada. Negli scheletri di un insediamento industriale di Srebrenica, circa dieci anni dopo la “fine” della guerra, un albero arroccato alla montagna ha cercato a lungo il riferimento nella mia memoria. Poteva essere l’albero di S. Francesco visto in Umbria ma molto più facilmente una vecchissima quercia nel borgo di Nicola; che occupa quasi interamente la piazzetta omonima: alcuni supporti in metallo la sorreggono da tempo. Stampelle un po’ stridenti su quella fragilità comunque armonica e memore della sua antica possenza.

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Anche questo è uno dei luoghi del cuore, un punto cardinale della mia geografia emotiva: è cosi protetto che raramente incontri qualcuno; un ottimo rifugio per pensare o semplicemente per non pensare. A valle, sulla riva di Fiumaretta del fiume Magra c’è un altro luogo cardinale. Una piccola panchina, spesso occupata nelle ore tiepide dei mesi invernali, dalle conversazioni degli anziani del luogo.

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Da qui ho una particolare visione del punto esatto in cui il fiume sfocia in mare. È una foce ampia, decisa. E’ il punto in cui il mare ed il fiume si baciano e si narrano di pesci e pescatori, di cuochi e marinai, di poeti e scrittori (sull’altra sponda del fiume, a Bocca di Magra soggiornava Giovanni Giudici). Spesso qui cerco di sciogliere i miei dubbi e le mie paure, mi perdo nei libri, nei pensieri, costruisco le fiabe, cerco legni e sassi, che mi aiuteranno nel mio lavoro.

Risalendo sulla collina, a chiudere un triangolo un pò sbilenco, un’altra sottile finestra, creata dai tetti e dalle mura delle case del borgo, si apre sulla valle del Magra. Lo scorcio naturale è godibile da una sorta di terrazza interna su cui si apre un piccolo circolo Arci. Durante l’estate è una sorta di salottino, in inverno un meraviglioso “pensatoio”. Potrei stare ore con un caffè e la focaccina (tipicamente ligure: farina acqua, sale, lievito, olio, rosmarino; le varianti alle cipolle, al pomodoro ne snaturano, a mio parere, la sua essenza). So che l’associazione potrebbe far storcere il naso ma qui la focaccina è colazione, merenda a scuola, pranzo veloce; le focaccerie sono un po’ come le pizzerie.

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Da qui si intravvede di nuovo il Montemarcello: nel nostro lessico familiare è “il dinosauro sdraiato” nella versione di mia sorella, o il limite del mondo conosciuto, nei ricordi di mia mamma. E’ sempre struggente per noi ascoltare il racconto del ricordo dei suoi pensieri bambini; non aveva il coraggio (forse la fiducia negli adulti a lei vicini) di chiedere che cosa ci fosse oltre; cosi elaborava in solitudine teorie geografiche. Ha aspettato a lungo di capire che oltre c’era un altro golfo ed un altro ancora e che il sole non cadeva giù, dietro il monte.

Ho imparato qui storia e geografia, letteratura e filosofia, antropologia e sociologia, ho imparato qui a scoprire reti solidali con i migranti, a far politica come cura della “res publica”, ho imparato qui a “scavare” nella mia personale archeologia, ho imparato qui ad ascoltare storie e creare storie, ho imparato qui ad andare lenta e forse a capire che l’unico mestiere che potrei fare è quello che, con meno consapevolezza allora, ho scelto. [[“Per una scuola lenta, rispettosa dei tempi e dei diritti dei bambini”: http://www.altritaliani.net/spip.php?page=article&id_article=1283]] Nel mio lavoro quotidiano costruisco con i bambini mappe per crescer ed orientarsi, storie per dire e per capire, scaliamo montagne o nuotiamo in mari ancora sconosciuti per scoprire che oltre il monte c’è un altro monte ed un altro ancora e poi ancora altri e poi mari e colline e luoghi in cui fermarsi per pensare e riposare.

Simonetta Musetti

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2 Commentaires

  1. La piana di Luni in Liguria… Ma il mondo finisce dietro il monte?
    Ciao Simona,
    Ho letto con piacere i suoi commoventi ricordi e ho sognato sulle sue belle e dolci foto.
    Non conoscevo questo posto e mi ha dato voglia di andarci per goderne anch’io la pace e forse come un senso di eternità.
    La sua mamma non è l’unica persona a pensare che il mondo finisce laddove portano gli occhi. Forse piacerà a voi sentire una conversazione con una giovinetta che vive in Savoia, e che è trascritta in un romanzo:

    « Elle pousse un grand soupir :
    – Le monde est grand, n’est-ce pas ?
    Je réponds oui, d’un signe. Elle hoche la tête :
    – Quand j’étais plus petite, je ne savais pas que le monde était si grand. Moi, je ne connaissais que ma vallée. La montagne, tout autour, je la voyais, même si je ne la voyais pas bien. Je la voyais jusqu’à la crête.
    Elle s’est interrompue, a levé les yeux vers la crête, devant nous :
    – La crête, c’est là où le ciel s’arrête.
    Elle achève lentement :
    – On ne m’avait jamais rien dit. Je pensais qu’il n’y avait rien de l’autre côté ; je croyais que la crête, c’était la fin. »

    (Serge Bassenko, Une neige fine venait de tomber, http://www.lupusae.com)

    Grazie a lei e un cordiale saluto!

    • La piana di Luni in Liguria… Ma il mondo finisce dietro il monte?
      Grazie a lei Eleonora, per la sua attenzione e per la citazione, che non solo fa risuonare emozioni ma stimola la mia curiosità nel ricercare il testo e proseguirne la lettura.
      Grazie ancora!
      Simonetta

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