Castellammare di Stabia: L’armonia perduta del tempo.

È proprio vero che alla fine una città la puoi raccontare, le sue ambizioni, i sogni infranti, i suoi fantasmi, la paura di soccombere al pari dei luoghi comuni, ed il desiderio mai sopito di non essere sopraffatta proprio perché ultimo avamposto dell’anima.

È la tua Città.

La terra, il luogo che t’appartiene perché vi sei nato e vi hai trascorso gran parte dell’esistenza equivale al sentimento che ne porti dentro.

Cassarmonica in Villa comunale

È l’isola dell’anima.

Qui o altrove, nessuno potrà cancellare i colori, i profumi, i crepuscoli e i tramonti, l’incanto e la magia del giardino smarrito, dove tutto è mutato e l’esistenza si rivela ormai un gioco perverso di mostri quotidiani, mentre nel fondo dell’anima conserva immutata la meraviglia del tempo perduto. Non so se occorre più coraggio per restare o partire. Alla fine ho scelto ed ho imboccato la strada del restare, anche se con grande sofferenza. Un dolore che mi ha spinto a riannodare i fili proprio di quell’armonia perduta, quando la vita cominciava a dare i primi segni del giorno all’alba con il tambureggiare sul basolato degli zoccoli delle maestranze del Cantiere navale che salutava il mattino con il sapore proveniente dai forni a profumare l’aria.

Poi l’incanto prendeva forma con la fantasmagoria di colori dei venditori di frutta e verdura, simile a giardini fioriti, a vivificare slarghi, vicoli, strade e stradine. I venditori di pesce adagiavano la ricchezza del mare su tavolati e ceste di vimini che innaffiavano con ampie aspersioni d’acqua contenuta in secchi di ferro. Poi le navi stentarono a prendere il largo, le prore degli scafi in allestimento si fecero restie a fendere il mare. La notte calò sullo specchio d’acqua della città antica.

Fu l’esodo.

Uomini, donne e bambini partirono per andare altrove. La terra dei padri, diventata di nessuno, l’acquistò chi poteva e vi s’insediò per traffici e commerci neri. I muri tutt’intorno sono da tempo laceri. La tristezza, dissepolta, t’assale da quegli angoli che un tempo regalavano incanto. Sono i resti d’una armonia perduta che non è stata in grado di sopravvivere a se stessa, affidando lutti e pianti per le ribalderie di pochi. Il tempo dei dolci incanti stenta a ritrovare l’antica strada con la necessità che ha provocato la barbarie che si è impossessata di questa gente. Ma il giardino smarrito comunque ti aiuta ad alimentare la speranza per continuare il cammino nel tentativo di recuperare le ambizioni perdute e scacciare i fantasmi dell’intreccio perverso.

Castello medioevale di Castellammare di Stabia

Ecco che di buon’ora m’inoltro per antichi sentieri a recuperare il racconto della favola bella di ieri, e che oggi m’illude, portandomi in alto ad attraversare per discese a valle la Città. Di fronte al Castello, l’antica fortezza angioina, imbocco la discesa di via Fratte, la strada tante volte percorsa in passato. Lo spettacolo lungo l’antico sentiero è da mozzafiato. Dimore signorili a destra e a manca consentono dall’alto la veduta del golfo da ogni angolo.

La mulattiera d’un tempo, oggi allargata e asfaltata, è transitata senza disagi anche da automezzi pesanti in direzione Sorrento. Sullo sfondo a destra il Palazzo Reale di Quisisana , la Reggia borbonica, con l’incanto dell’immenso giardino, dove il mormorio delle acque delle fontane del Re vigilava discreto e complice sugli amorosi incontri di coppiette abbandonate sui sedili di marmo disseminati qua e là nel parco, dove, quando il desiderio di sentire il corpo dell’altro sopraggiungeva, trovavano rifugio dietro le immense piante tra pini, querce, platani, oleandri e magnolie.

Reggia di Quisisana

Era l’Eden che nelle serate danzanti accoglieva le morbide note dell’orchestrina di turno ad allietare ravvicinati ed intimi colloqui tra un ballo e l’altro.

Il Castello, gran guardiano dall’alto della Città, domina e spazia lo sguardo sulle lussuose tenute sottostanti fino a villa Vollono in stile liberty disegnata da Eugenio Cosenza. E poi le tre chiese che governano le anime della zona, quella di san Matteo, di san Francesco e quella di san Giacomo, prima d’incontrare la neoclassica facciata del teatro regio. Il percorso disegna lo scenario unico della perduta bellezza. Anfratti, valloni, insenature di verde dalle mille sfumature fanno risplendere i solitari e millenari sentieri, oggi abbandonati a se stessi.

E poi lo scempio.

Il cantiere navale

Il tragitto dalla Caperrina a largo Pace, attraverso via Viviani, è breve ed offre la vista di riposanti ed accoglienti palazzi con ampi atri ed eleganti balaustre in piperno, le cui pietre hanno perso il linguaggi dell’antico incanto, dove il colore ha perso i suoi toni per fare spazio alla calce di muri laceri, feriti a morte, simili a giganti in agonia riversi su se stessi. E’ lo scenario che t’accompagna fino allo slargo delle Antiche Terme con lo scomodo dirimpettaio, il Cantiere navale, il posto dove lo scempio ha marcato il suo confine con le facciate dei siti della ricchezza della Città completamente distrutte. Liberty e sbarazzina l’una, seriosa e austera l’altra, a significare due mondi opposti. Demolite dall’insipienza dell’uomo, il quale non in grado di riconoscere la propria memoria ha scambiato l’antico per vecchio, ignorando che il futuro si nutre del cuore antico.

Ed il Moresco?

Facciata delle Antiche Terme

Anch’esso abbattuto, all’interno delle Antiche Terme. Il salotto buono della Città, la residenza lussuosa e ricercata, dove dall’immenso ventre del monte Aureo, premendo, scavando e infiltrandosi, arriva a valle il magico tesoro trasparente delle acque minerali. Ventotto sorgenti che nel tempo hanno dato vita ad una vera e propria letteratura. Una ricchezza immensa, troppo preziosa, troppo ambita per non essere guardata a vista.

Ecco il Moresco. Un guardiano dall’aspetto austero che incute timore reverenziale, una sentinella dalle sembianze morbide e arcigne al tempo stesso e di grande suggestione con i suoi capitelli di vago stile corinzio, con le vetrate di sapore gotico e con le maioliche dal tratto orientaleggiante che viene collocato ad osservatorio dell’immensa spianata. Il padiglione diventa ben presto uno spettacolo festoso di belle donne e dame eleganti provenienti da ogni regione del Regno prima e del Sud poi che s’intrattengono alla sua ombra ed alla frescura del parco, mentre la gente misura più volte i passi che conducono alle fonti, attraversando i viali che portano al bosco, dove vigila il dolce sguardo dei pini che s’ergono dall’alto.

Il Moresco, che ne ha viste ed ascoltate di tutti i colori, avrebbe potuto riposare qualche ora in più fino alla tarda mattinata, ma il tambureggiare sull’asfalto all’alba degli zoccoli degli operai e maestranze del regio cantiere lo desta dal sonno nel quale è immerso. La cosa non gli va proprio giù. Ciò che più lo indispettisce è la compresenza sulla stessa spianata, peraltro piuttosto angusta, di due luoghi tanto diversi: quello dello svago e del recupero delle energie, le Terme, e quello del lavoro, il Cantiere, dove le energie, al contrario si profondono.
Padiglione Moresco all'interno delle Terme

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Non riesce proprio a rassegnarsi, proponendo puntualmente sull’argomento occasioni di discussioni che hanno dato vita, per decenni, a lunghi ed inconcludenti dibattiti sulla necessità di questa compresenza. Questo cruccio gli costerà caro qualche decennio dopo, quando pagherà con la vita, l’abbattimento, questa sua ostinazione. Passano i giorni, gli anni, i decenni. La fama del Moresco varca i confini del Regno e del Paese.

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È un via vai d’eleganza, di conoscenze, di conduzione di vita desiderata, ricercata e da esibire come fiore all’occhiello di ritorno dalla vacanza. Il ruolo di guardiano non gli pesa più di tanto, anche perché quel compito gli consente nel tempo di essere osservatore compiaciuto di gradevoli spettacoli. Il tambureggiare degli zoccoli lascia il campo nella tarda mattinata al ticchettio dei tacchi a spillo delle eleganti calzature delle signore nell’interminabile passeggio in lungo e largo, costrette negli attillati tailleurs dai vivaci colori, mentre l’orchestrina regala dolci ed avvolgenti note, sottofondo complice e galeotto di sguardi languidi per amorose conquiste che s’incrociano e s’intrecciano nella stagione delle brucianti passioni.

Il desiderio dell’austero padiglione sarebbe stato quello di ospitare alla sua ombra, per molti anni ancora, le discussioni animate ed i toni salottieri degli ospiti. Un bel giorno, all’improvviso, è il silenzio. Il canto delle acque che scioglie le sue note nelle vasche è sopraffatto da un colpo di piccone ben assestato. Sono attimi. Il salotto buono, il Moresco, ritrovo da sempre di quella sorta di Olimpo in terra, si scioglie come neve al primo sole di primavera.

 Fontana Grande

Riprendo il cammino verso casa con la tristezza che m’assale nel non ritrovare il Moresco ed il salotto buono, ma neanche il naviglio pronto a fendere le morbide acque del Tirreno. Restano le occasioni perdute di scelte opportune che hanno, a distanza di decenni, condannato la Città al peso insostenibile del ventre molle di periferie maleodoranti che hanno inondato di metastasi antropologiche la favola bella che ieri m’illuse e che oggi m’illude con il solo ricordo del tempo perduto.

Raffaele Bussi

Fonte delle foto delle Antiche Terme: www.liberoricercatore.it

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Raffaele Bussi
Raffaele Bussi è nato a Castellammare di Stabia. Giornalista, scrittore e saggista, collabora con importanti quotidiani e periodici nazionali. Ha collaborato a "Nord e Sud", "Ragionamenti", e successivamente a "Meridione. Sud e Nord del Mondo", rivista fondata e diretta da Guido D'Agostino. E' stato direttore editoriale della rivista "Artepresente". Collabora al portale parigino "Altritaliani" e alla rivista "La Civiltà Cattolica". Ha pubblicato "L'Utopia possibile", Vite di Striscio", "Il fotografo e la Città", "Il Signore in bianco", "Santuari", "Le lune del Tirreno", "I picari di Maffeo" (Premio Capri 2013 per la critica letteraria), "All'ombra dell'isola azzurra", romanzo tradotto in lingua russa per i tipi dell'editore Aleteya, "Ulisse e il cappellaio cieco" (2019). Per Marcianum Press ha pubblicato: "Michele T. (2020, Premio Sele d'Oro Mezzoggiorno), "Chaos" (2021), "L'estasi di Chiara" (2022), "Servi e Satrapi" (2023).

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