O riforme o voto!

La politica è un’arte e non un mestiere. Ancora una volta il rinnovamento renziano è messo a rischio dalla vecchia politica che non si rassegna al cambio storico che è iniziato nel paese. Il PD di oggi ha la forza per imporre il cambiamento e se il parlamento esita allora si vada al voto.

La politica è un’arte e non un mestiere, verrebbe da dire a commento su quanto sta avvenendo al Senato a proposito delle riforme relative a quel ramo parlamentare.

Forse sarà ingiusto dirlo ma vedendo da una parte Renzi e i suoi che spingono per abolire il bicameralismo perfetto (rendendo cosi più semplice ed efficacie l’azione legislativa) e dall’altra, le resistenze spasmodiche ad impedire le riforme, dei senatori che (quasi tutti) sono intenti solo a far finta di modificare il progetto di legge, ma che in realtà non vorrebbero modificare nulla, privilegi compresi, si ha la plastica immagine di cosa è stata la seconda repubblica e di cosa potrebbe essere la terza, incominciata con la cesarea ascesa di Renzi a palazzo Chigi.

Non è credibile l’ipotesi che le opposizioni vogliano il dialogo per apportare modifiche al progetto di riforma governativa. Un tentativo di dialogo sarebbe stato possibile ma non certo con oltre ottomila emendamenti proposti, che di tutto evidenza puntano unicamente al ritiro del provvedimento di legge o semplicemente a ritardare sine die, l’approvazione dello stesso.

La parola chiave di questo scontro è “ipocrisia”. Come per “l’Italicum” ancora una volta si scomodano sacri e validi principi, per intenti tutt’altro che nobili. Le appiccicose bave d’ipocrisia che furono del berlusconismo e che poi coinvolsero l’intero sistema politico nel ventennio del cavaliere, persistono ancora cercando d’invischiare e impaludare la marcia del rinnovamento.

Allora si disse che bisognava garantire le quote rosa, nel nome delle quali la Camera si diede a mille contorsioni per rallentare l’approvazione di una legge che finalmente spazzava via ogni residuo dell’incostituzionale “porcellum”, ora si oppongono mille paletti e strategie ostruzioniste per impedire la trasformazione del senato in una camera di secondo livello, con competenze mirate e rivolte soprattutto alle autonomie regionali.
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Francamente, appare incomprensibile l’atteggiamento della vecchia sinistra, che invoca il diritto alle preferenze e al voto sui candidati. Quella delle preferenze fu una iattura della prima repubblica, contrastata tenacemente proprio da quella sinistra, foriera di clientelismi e di corruzione, al punto che gli italiani furono ben lieti di farne a meno nella stagione in cui si affermo’, con i referendum di Mario Segni, l’idea di un sistema maggioritario che superasse il proporzionalismo puro che nelle preferenze aveva la sua peculiarità. Del resto, da sempre gli elettori scelgono candidati imposti dai partiti e non certo da loro.

Personalmente credo che Renzi avrebbe fatto molto meglio a mantenere il suo primo proposito, ovvero l’abolizione tout court del senato riducendo l’organo legislativo alla sola Camera dei deputati, il cedere alla tentazione gradualistica e meno traumatica di ridurre con le spese, le competenze del Senato, a finito per non pagare, finendo per fornire argomenti agli ostruzionisti, rischiando cosi di far affondare nelle secche del ‘benaltrismo” e dei particolarismi, ogni sano ed onesto intento riformatore.

La politica è un arte, in cui bisogna spesso sacrificare, nel nome del bene comune, anche egoistiche rendite di posizione, viceversa, i senatori stanno offrendo una ipocrita messa in scena a difesa di una presunta minaccia alla democrazia, al solo scopo di non perdere il proprio posto di “lavoro”, con tutti i vantaggi e i lauti guadagni che questo comporta. Dispiace vedere che a questa messa in scena, promossa in primis da una vecchia ed eternamente perdente sinistra espressa oggi dal SEL di Vendola, nonché da una parte dei senatori della vecchia nomenclatura bersaniana, partecipino un po’ tutti. Ci sono i pentastellati che ancora una volta, con il loro continuo “stop and go” mirano solo ad impedire l’iter per l’approvazione della riforma.

Lo stesso Berlusconi, ormai in netta crisi di autorevolezza finanche verso i suoi, fatica a contenere il malcontento di chi, tra i forzisti, non si rassegna a cedere la propria qualifica di senatore. La realtà è che i mestieranti della politica non si rassegnano, all’evidenza dei tempi, alla necessità di un cambio di passo della nostra società, malgrado l’inequivocabile segnale del 41% al PD che rende chiara l’aspettativa del paese.

La realtà è che, senza indugi e finanche con il proporzionale (come ora sarebbe), in mancanza dell’approvazione delle riforme istituzionali, bisognerebbe andare al voto. Subito, come chiede l’onorevole Giachetti uno dei renziani della prima ora.
Perché andare al voto? Ma per il semplice motivo che ci troviamo nella terza repubblica con un parlamento vecchio, figlio della seconda. Un parlamento di nominati, nel PD scelti dal rottamato Bersani e a destra dall’agonizzante Berlusconi, che non potrà uscire dal suo coma politico nemmeno dopo l’assoluzione per il processo Ruby. Con SEL che puo’ vantare la sua presenza in parlamento solo grazie all’accordo che fece con il vecchio segretario del PD, ma che oggi, con un nuovo esame elettorale, probabilmente non avrebbe equivalenti vantaggi. SEL che, come fece all’epoca il suo padre Bertinotti con Prodi, oggi con Vendola, rinnova la sua infedeltà ad ogni accordo con il PD mettendosi alla testa di chi vuole impedire il cambiamento.

Già questi dati da soli rendono chiaro che se si votasse oggi, i rapporti di forza parlamentari sarebbero ben diversi e il processo di riforme, sarebbe più spedito.
Renzi per la sua onestà intellettuale è accusato di autoritarismo, la realtà è che bisogna procedere a rimuovere definitivamente i rottami della seconda repubblica, procedendo, ed in fretta, al cambiamento. Per questo insisto si vada al voto, anche con questo allucinante sistema, perché, in ogni caso, gli italiani capirebbero e premierebbero, ancor più copiosamente il rinnovamento proposto dal condottiero del PD.

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Sia chiaro che per i vari Chiti, Mineo & C. la speranza di una ricandidatura sarebbe pure follia, che SEL questa volta i seggi se li dovrebbe conquistare da solo, se n’è capace, ora che anche i suoi rappresentanti più validi l’hanno abbandonato (il capogruppo Migliore in primis).

Chi si oppone alla riforma del senato, del titolo V della Costituzione e alla nuova legge elettorale, ancora ipocritamente, dichiara che si sta perdendo tempo, che le priorità sono altre: il lavoro, le tasse, l’economia e finge di voler difendere il diritto della gente ad eleggere i senatori.

La realtà è che i senatori saranno eletti dai cittadini, seppure indirettamente dopo il voto regionale. La realtà è che è vero, si sta perdendo tempo e questo a causa di oltre ottomila emendamenti alla riforma del senato. Un accanimento a non mollare la seggiola, malgrado i richiami del Presidente Napolitano, che invita al dialogo e non all’ostruzionismo e che invita a fare presto e a mettere da parte egoistici interessi. Napolitano che aveva accettato il secondo mandato solo a condizione che le riforme procedessero a vele spiegate. Quegli stessi uomini che affossarono Prodi con 101 siluri, oggi tradiscono anche la promessa fatta a “re Giorgio”, per il suo secondo insediamento.

Ancora la realtà (merce rara in quest’ultimo ventennio) è che certo bisogna fare molto e riformare tanto in materia di lavoro, per le tasse, per il taglio della spesa pubblica, per incentivare le imprese, ma questa priorità è indubbiamente e tecnicamente vincolata all’avvio delle riforme istituzionali.

Oltre che per incapacità politica la destra e la sinistra, negli ultimi due decenni, non sono riusciti in nessuna riforma strutturale anche a causa del farraginosissimo sistema di elezione e di rappresentanza parlamentare, con le due camere costrette ad estenuanti lavorii e modifiche per approvare anche leggine minori e di scarso impatto.

Le riforme devono essere condotte con coerenza e con un piano programmatico che tenga presente che tipo d’Italia si vuole e tali scelte presuppongono un sistema che garantisca una governabilità chiara e responsabile.

Credo che senza indugio andrebbe applicata la tagliola (nelle ultime ore l’ipotesi sta prendendo piede n.d.r.), affinché si possa votare la legge sul senato. Il diritto delle minoranze ad utilizzare anche la nobile arte dell’ostruzionismo, non deve impedire, sine die, il sacrosanto diritto della maggioranza di proporre al voto le proprie proposte legislative. Pensare il contrario significa avere un’idea piuttosto bislacca della democrazia.

Difendere i diritti della minoranza è sacro, ma è altrettanto sacro quello della maggioranza di potersi assumere le proprie responsabilità nella conduzione del paese.

Chi dice che le priorità del paese sono altre, forse dice il vero, ma parla con la lingua biforcuta, perché in realtà con la scusa delle riforme economiche che non ha mai fatto in venti anni, quando era sotto i riflettori della politica, mira solo a salvare il proprio mestiere, il posto di lavoro. Ma la politica, quella vera, quella che piace a Renzi e ai suoi, lo abbiamo detto, è un’arte, un servizio, che si rende in nome del popolo sovrano, in nome della storia che si ha sulle spalle e non in nome del proprio portafoglio o più banalmente delle proprie tasche.

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Il PD dall’alto della sua recente performance elettorale targata Renzi ha un solo dovere chiedere subito: O riforme o voto! In mancanza del ritiro degli inutili e pretestuosi emendamenti proposti, e in mancanza di un’utile “tagliola”, senza esitazione, si passi al responso delle urne. S’invochi un plebiscito per i rinnovatori, siano scelti i candidati democraticamente dalla direzione, siano cacciati dal parlamento i rottamati e i traditori della vecchia nomenclatura, i complici di venti anni di berlusconismo. Solo cosi si potrà avviare quel cambiamento promesso e che gli italiani invocano. Solo cosi in Europa l’Italia potrà avere ancora più voce in capitolo. Solo cosi l’onestà intellettuale potrà prevalere sulle caste e sui giochetti sporchi di poteri correntizi, che nulla hanno a che fare con le speranze e i desideri dei cittadini.

Nicola Guarino

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Nicola Guarino
Nicola Guarino, nato ad Avellino nel 1958, ma sin dall’infanzia ha vissuto a Napoli. Giornalista, già collaboratore de L'Unità e della rivista Nord/Sud, avvocato, direttore di festival cinematografici ed esperto di linguaggio cinematografico. Oggi insegna alla Sorbona presso la facoltà di lingua e letteratura, fa parte del dipartimento di filologia romanza presso l'Università di Parigi 12 a Créteil. Attualmente vive a Parigi. E’ socio fondatore di Altritaliani.

4 Commentaires

  1. O riforme o voto!
    Sono sconcertato dall’ultimo paragrafo del tuo articolo. Come puoi immaginare dell’intero articolo non ne condivido la sostanza e in particolare il voler attribuire a Renzi la dote di saper impersonare la nobile arte del governare, elevandolo cosí al ruolo di statista che, se mai ci riuscirá, é ancora infinitamente lontano il tempo di attribuirglelo.
    Ma ciò che mi preoccupa é l’ultimo paragrafo perché dietro a quell’idea plebiscitaria che, fortunatamente non é alla portata ne di Renzi ne del suo tempo, c’é il balcone di piazza Venezia e, per me che come sai sono veneziano, non sopporterei lo sfregio alla mia cittá per la seconda volta.
    Un abbraccio fraterno.

    • O riforme o voto!
      Caro Italo, nel quasi urlo: « O riforme o voto » c’è tutta la sofferenza e l’insofferenza di chi come me vede un paese soffrire ed una vecchia classe (casta) politica, che cieca ed imperterrita, fregandosene dei pressanti inviti di Napolitano, dell’oggettiva urgenza di un paese che dopo gli ultimi venti anni è diventato malato, fregandosene di una chiarissima volontà popolare espressa nelle ultime europee, continua, chiusa nei propri egoismi e privilegi, a far credere di servire la democrazia, mentre i senatori « ribelli » vogliono in realtà favorire i soli interesi personali e neanche di partito. Si rassemblano il peggio della politica, da Chiti a Minzolini, al solo scopo di impedire il cambiamento. In tal senso si invoca un plebiscito, perché forse solo questo potrebbe far calare la notte su personaggi politici che dopo essere stati obbiettivamente complici e « spalle » del berlusconismo, non si rassegnano, non hanno il pudore di lasciare in silenzio la scena. Cosa altro deve soffrire il paese? Non si tratta di Palazzo Venezia e del suo balcone (cosa che peraltro, vista la conclusione della storia non auguro al povero Renzi) si tratta di liberare la nostra democrazia. Io sono convinto che senza le riforme solo un voto plebiscitario, permetterà la nostra politica di liberarsi della seconda repubblica e di avviare una via europea alla politica con una destra ed una sinistra degni di questo nome. Sempre con la massima stima e la grande amicizia che ti porto.

      • O riforme o voto!
        Caro Nicola,

        Le riforme, quando sono tali, possono essere il toccasana di un Paese. Ma una riforma per essere tale deve costituire un punto di solidale consenso che va al di la della maggioranza o della minoranza del momento. Per questo l’arte del governare é quella di saper costruire non una qualsiasi mediazione che non produce nessun mutamento tra gli attori che la realizzano ( lascialo dire a me che in 37 anni di sindacato di mediazioni ne ho fatte e ne ho subite ma nessuna di esse ha spostato di un millimetro le rispettive coscienze). L’arte del governare é saper far sintesi di punti di vista diversi e costruire una soluzione che abbia la capacitá di incidere nelle coscienze. Purtroppo non é quello che sta accadendo perché, caro Nicola, a casta si sostituisce nuova casta che certo può apparire innovativa ma di una innovazione che non trasforma la società, semplicemente aggiusta in corso d’opera aspetti della vita che in alcuni casi sono aggiustamenti positivi, in altri sono aggiustamenti negativi.

        Lo dico perché le riforme sono un’altra cosa: lo esplico con due esempi.

        La cosiddetta riforma del lavoro sarà un qualcosa che accontenta uno degli attori in gioco e ne scontenta un’altro. In questo caso é chiaro che ogni uno degli attori cerca di essere il vincente nei confronti dell’altro e,a differenza di quanto é accaduto nei primi 30 anni della nostra storia post bellica, il vincitore sará il capitale più che il padrone e il perdente sará il lavoro oltre che il lavoratore. Io non annovero questo in un successo del progresso ne intendo catalogarlo come riforma.

        La cosiddetta riforma dello stato sociale, pensioni comprese. Vale la stessa cosa: riforma intesa come contrazione non tanto dei diritti ma delle prestazioni riducendone la qualitá e quantitá. Vale nella sanitá, nella scuola, nella cultura e, ovviamente nelle pensioni.

        La cosidettariforma dell’Europa: si potrebbe usare eufemisticamente la canzone di Mina Parole, Parole, Parole. Abbiamo consumato un mese del semestre italiano e la Francia ci ha rubato il campo sulla vicenda palestinese, siamo muti sull’ Ucraina, ovviamente fatto una figuraccia sul cancelli delle nomine europee, si riprenderá a settembre avendo consumato un terzo del tempo a risultato zero.

        Per questo e non per partito preso sono preoccupato di quanto sta accadendo, non getto la spugna e non mi accodo al coro di chi continua ad offendere una classe politica che tra errori e personalismi, tra far bene e far male, tra onesti e disonesti ha comunque avuto il compito complesso di far crescere un Paese distrutto.

        Poi permettermi di dissentire in particolare sul tuo giudiIo impietoso su Bersani. È strano che per Renzi i Rottamatori sono quelli che dissentono indipendentemente dalla classe di etá. Napolitano é un emblema ma lo sarà se e fino a quando reggerá il fare di Renzi e questo é l’esempio più eclatante. A differenza tua non considero la stessa cosa eliminare il Senato o farlo diventare un Senatino. E tutto ciò farlo avendo alle spalle un patto di ferro con la massima espressione di ciò che dovrebbe essere cancellato dalla storia d’Italia degli ultimi 30 anni. Ma tutto ciò viene esaltato quale grande intesa democratica.

        Vedi io non sono mai stato comunista. Non per questo mi arrogo il diritto di giudicare innovatori quelli che abiurano un passato neppure vissuto o bolscevichi quelli che hanno avuto la capacitá di trasformare se stessi. Io fui amico di Riccardo Lombardi e della sua lezione più importante: dubita, rispetta e abbi il coraggio sempre di non accodati al carro del facile consenso. Oggi mi dicono che le stesse cose vengono delle anche dal nuovo Papa ma io nella mia laicitá resto ancora fedele a quelle dette da Riccardo.

        Un saluto domenicale in attesa dell’arrivo del tour che tanto fastidio sta dando ai francesi. A proposito, in tribuna ci sarà il nostro primo ministro oppure no?

        • O riforme o voto!
          Caro Italo, so bene la tua onestà intellettuale e ti stimo molto, ma fatico a credere che tu non ti renda conto che Renzi ha cercato fin qui il diaologo con tutti, come è giusto quando si tocca la Costituzione, ha dialogato anche con Berlusconi ed è quanto dire. Ma anche se non vogliamo offendere quella parte della classe politica, quali considerazioni gli italiani devono trarre da politici che dopo aver dominato per venti anni il paese (destra e sinistra)rendendolo povero e malato, dopo aver rubato l’esistenza di un’intera generazione che non ha futuro, oggi con pervicacia e ottomila emendamenti vuole impedire qualsivoglia riforma, anche innanzi alla promessa di un voto popolare a suggello di quella riforma? Ma davvero credi ancora nei loro nobili intenti? A me sembra evidente che siamo innanzi a persone che giunte al loro capolinea si rifiutano di scendere e di far rinnovare la nostra politica. Non si tratta di salire sul carro del vincitore, peraltro io ho sostenuto che Renzi era la salvezza della sinistra mentre perdeva le primarie con Bersani, si tratta di aprire gli occhi e capire che mentre SEL, Bersani e la vecchia fallita nomenclatura e i cinquestelle fanno i loro giochetti solo per sopravvivere a se stessi, il sud va in malora, i giovani sono o precari o disoccupati (e scusami ma non ho visto una sola intelligente analisi della evoluzione della nostra società da parte dei vertici sindacali), le imprese chiudono e le istituzioni non funzionano. In questo si palesa che l’azione di Renzi ha a cuore il paese (non uno statista se vuoi ma un politico capace di ascoltare la società, quella di chi ha disatteso anche le promesse a Napolitano è solo un persistere nel difendere i propri personali (e neanche di partito) interessi. Evitiamo di cadere nel renzismo e antirenzismo (come all’epoca una sinistra incapace faceva con l’antiberlusconismo), guardiamo, per piacere,i fatti. Sulle riforme di cui accenni, ne parleremo poi, ma senza un parlamento che funziona e un governo che possa governare, ogni scelta politica sarà vana.Quello che mi irrita di più è l’ipocrisia con cui questi signori parlano di democrazia e rispetto delle istituzioni, mentre per anni hanno fatto macello di qualsivoglia sentimento democratico. Personalmente e l’ho scritto. Nei panni di Renzi avrei spinto per abolizione del Senato. Probabilmente l’ex Sindaco Fiorentino è più buono di me.

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