La destra che non c’è (ancora)

Un luogo comune vuole che gli italiani siano sostanzialmente di destra. Anche se la storia dal dopoguerra proverebbe il contrario. La realtà è che una via italiana alla destra, finito in delusione il berlusconismo, è tutta da inventare. Insomma, la destra da noi non è mai stata maggioritaria e, finito da tempo l’era del centrismo, urge costruire una sinistra e una destra. I primi sono a buon punto ma i secondi…

E’ da tempo che lo diciamo, purtroppo inascoltati. Che come è avvenuto a sinistra occorre che anche la destra avvii un suo rinnovamento, proceda alla sua rottamazione.

La crisi della destra iniziata alcuni anni fa, resa acuta nel 2011 con le dimissioni dal governo di Berlusconi, in pieno dissesto economico del paese, è divenuta ormai insanabile, viene quindi spontaneo domandarsi su di un’area politica che, nella nostra recente storia, è stata a lungo maggioritaria.

Sinceramente, io non credo ad un luogo comune che vuole che gli italiani sono per natura di destra e poi semmai diventano di sinistra (vengono redendi alla sinistra). Dietro questa affermazione ci vedo la solita supponenza di una parte della sinistra (oggi minoritaria), che vorrebbe il divenire di sinistra come una sorta di “eroica” conquista.
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Piuttosto, credo che sempre, oggi a maggior ragione, dato il livello della politica negli ultimi anni, gli italiani abbiano espresso una certa diffidenza nella classe politica, se si toglie l’immediato dopoguerra con le sue speranze “inevitabili” dopo l’orrore della guerra e della dittatura fascista, anche negli anni del maggiore impegno politico, coincisi con gli anni di piombo e gli attentati della strategia della tensione, o con la contestazione studentesca e l’autunno caldo, il femminismo, in un’epoca di particolari fermenti anche culturali, la maggioranza (detta spesso silenziosa), ha sempre mostrato un certo distacco, quasi a voler dire che la politica non è di tutti, ma dei politici.

Si è fatto largo la fuorviante tendenza ad associare il disimpegno politico alla destra e l’impegno, come una sorta di virtù civica, alla sinistra. Una sinistra che tuttavia dietro i paraventi di una sula legittimazione quasi storica, ha dovuto faticare molti per capire l’evoluzione dei tempi e della società.

Se la sinistra dopo anni, sembra aver risolto il suo problema d’identità, abbandonando e rottamando la vecchia nomenclatura e lasciando perdere alleanze con un’estrema sinistra che appare sempre più vecchia e non in sintonia con il paese, la destra si trova nel pieno della sua crisi. Una crisi complessa, come vedremo, e dalle difficili soluzioni.
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In primo luogo è piuttosto difficile perimetrare l’area della destra in Italia. E poi, dal dopoguerra, vi è mai stata una destra forte e decisiva per le sorti del paese? Per più di 40 anni la destra è stata rappresentata dal MSI (Movimento Sociale Italiano) di Almirante. Una forza che viveva una continuità ideale, con gli ultimi sussulti del fascismo, che aveva nella sua guida esponenti ampiamente compromessi, con la repubblica sociale di Salo’. Si trattava di una forza antisistema a cui l’insieme dei partiti politici, che avevano contribuito a riportare la democrazia nel paese, non riconosceva alcuna legittimità, essendo per altro una forza al di fuori dalla costituente, a cui viceversa avevano contribuito tutte le altre forze (monarchici inclusi), che andavano cosi a comporre quello che con ricorrente formula era detto “arco costituzionale”.

Le vicende succedutesi tra gli anni settanta e la fine degli anni ottanta, con gli anni di piombo, la strategia della tensione e poi alla fine della politica dei blocchi, la caduta del muro, l’arrivo di tangentopoli, hanno portato alla crisi e poi alla fine delle divisioni politiche ideologiche ad un passaggio culturale e quindi politico dal “moderno” al “postmoderno” e “dall’ideologico” al post-ideologico” con una totale riconsiderazione dell’impatto della politica nella vita dei cittadini.

Un passaggio non semplice, specie per chi dell’ideologia aveva fatto le proprie certezze, il proprio stile di vita, il metro su cui misurare ogni cosa e finanche il valore dei propri sentimenti.

Una società che si avviava ad entrare nel postmoderno (l’arte e la letteratura del resto vi erano già entrate e finanche nelle canzoni si era pervenuti a testi molto più disimpegnati e forse vivaci di quelli che avevano caratterizzato i primi anni settanta) a cercare soluzioni al proprio futuro che non fossero necessariamente al vaglio dei dogmi ideologici che avevano caratterizzato i primi cinquanta anni della storia della repubblica.

A ben guardare nell’Italia del dopoguerra una vera destra politica o partitica, se si esclude l’isolato MSI, non c’è mai stata. A meno che non si voglia considerare destra la DC (il PLI – liberali – sono stati sempre una forza assolutamente residuale) un partito sostanzialmente di destra. Francamente, sarebbe una forzatura.

La destra viene a determinarsi, concretamente e contraddittoriamente, con la discesa in campo di Berlusconi. Concretamente perché l’allora cavaliere fu il primo ad intuire il cambio in corso nella società e a “scongelare” il MSI e in particolare Alleanza Nazionale che nasceva proprio nel 1994, dopo il congresso di Fiuggi, con l’ambizione di costruire una destra conservatrice con influssi liberali, avendo quali ispiratori Domenico Fisichella, Publio Fiori e lo stesso Fini. Un fatto che segno’ il definitivo distacco dalla destra più ideologica e nostalgica di Rauti e dei fedelissimi alla linea Almirante. Insomma avvenne una “rottamazione ante litteram”. Si intravedeva una destra revisionista, capace di modernizzarsi, che cedeva inutili ed anacronisti ideologismi. Si arriva cosi ad una destra che chiede perdono agli ebrei, che si dichiara contraria alla pena di morte, che non ritiene più Mussolini un grande statista, che addirittura preconizza ed indulge sulla questione immigrati, avendo il coraggio di ricordare come gli italiani fossero stati immigrati ed anzi, invocando per loro il voto all’estero).

Contraddittoriamente, proprio il partito personalizzato di Berlusconi, Forza Italia, dopo aver scongelato la destra passerà a ricongelarla, sacrificando il rinnovamento dell’alleato ai personali bisogni dell’ex cavaliere, il quale sotto la pressione delle indagini e delle inevitabili azioni della magistratura, finirà per sacrificare ogni promessa “liberale” di riformare e modernizzare il paese, riducendo l’azione politica ai suoi interessi personali e giudiziari, paralizzando ogni processo di rinnovamento in atto. Finendo cosi, per frustrare, ancora una volta, la costruzione di una destra italiana che è bene ricordare per tutta la prima repubblica ha avuto un ruolo marginale se è vero che il confronto fu soprattutto tra democristiani (centro) e comunisti e dagli anni ottanta socialisti (sinistra).

Dopo l’uscita di Casini dall’alleanza con Forza Italia e il tentativo di Berlusconi di rilancio della sua popolarità, con il Popolo delle Libertà, è iniziata la diaspora e la frammentazione della destra. Con l’uccisione politica dei vari delfini di Berlusca. Prima Fini, che darà vita ad una coraggiosa operazione (forse troppo avanti per i tempi), quella di Futuro e Libertà, i futuristi. Poi quella di Alfano, che darà vita con la componente più moderata del PDL al Nuovo Centro Destra, ora la prossima vittima potrebbe essere Fitto. Il pugliese primatista per numero di preferenze all’europee, che invoca un processo di democratizzazione di Forza Italia, con primarie e il rinnovo della classe dirigente.

La realtà è che la promessa vana di Berlusconi di creare un partito liberale e conservatore, era antitetica con la formazione di un partito populista alla Peron, essenzialmente centrato sul ruolo del leader e che in definitiva sotto il peso del conflitto d’interessi tra politica ed affari ha finito per fare l’esatto contrario di una classica politica liberale.

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La dove bisognava slegare l’economia del paese da troppe lobby ed interessi particolari, ha finito per aumentarne per quantità e misura. Là dove si doveva liberalizzare il mercato, ha finito per accentuarne (sempre a favore di Berlusconi) i monopoli, bloccando ogni possibilità di creare concorrenza (un esempio su tutti fu il duopolio RAI Mediaset sull’informazione, con l’ex Cavaliere che di fatto oltre a gestire la propria azienda controllava anche il servizio pubblico).

Certo Berlusconi fu avvantaggiato da una sinistra che si adeguava al sistema, ottenendone propri vantaggi in termini di visibilità e di gestione del potere attraverso il surrettizio e vano confronto sulla persona e sull’anomalia Berlusconi, restando incapace, in sostanza, di proporre una concreta ed efficacie alternativa riformatrice.

Proprio la fine della “vecchia sinistra”, e l’affermazione nel PD dei rottamatori ha fatto venire al pettine i problemi della destra. Mentre anche il copioso contenzioso con la giustizia evidenziava come ormai l’ex cavaliere, fosse invecchiato ed incapace di fronteggiare le novità del panorama politico (Renzi). Ed infine la débacle elettorale alle europee che sanciva con forza il tramonto di un’epoca.

Ed ecco che la destra si ritrova al punto di partenza.
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Ci si ritrova in una condizione di estrema frantumazione, con pesanti incoerenze e con un bisogno imbellente di fare chiarezza nei suoi progetti e nelle sue strategie.
In primis, la destra deve emanciparsi dal suo padre-padrone. Da tempo sosteniamo che al primo punto dovrebbe esserci il pensionamento di Berlusconi. Si tratta e non solo, di un problema di età, di condizione anche psicofisica, che impone di considerare la fine non solo del berlusconismo ma anche del Berlusconi politico, che appare oggi un uomo superato dalla storia. Il problema è che Forza Italia è una sua proprietà, e il suo recupero appare obbiettivamente difficile

Si dirà che un’altra destra esiste ed è quella di Grillo. In realtà, al di là, della furba pretesa di essere super partes, giochino già provato nell’immediato dopoguerra da Giannettini e il suo “Uomo qualunque”, gli M5S si presentano come una forza antisistema, populista e pericolosamente votata all’antipolitica, con una vaghezza di idee, l’assenza di proposte concrete e soprattutto l’utopica pretesa di governare da soli. Sarebbe semplicistico definire di destra i grillini, un po’ come era semplicistico dare del destrorso alla DC. Per certi versi, si parla di una forza priva di disciplina politica, catalizzatore di rabbie e frustrazioni due ingredienti con cui non si fabbricano progetti politici.

Quel che resta allora, è una destra frantumata, contraddittoria dove nelle ultime ore si presentano protagonisti del recente passato, pronti a prendersi la rivincita sulla storia. Passera, già ministro nel governo Monti, uomo delle banche, ex amministratore delle Poste Italiane, con la sua “Italia Unica”. Fini che dopo l’affascinante ma effimera esperienza di Futuro e Libertà (i futuristi), sembra voler ritornare e tessere i rapporti tra le conflittuali anime di una destra ancora da elaborare. L’eterna promessa di “Fare per fermare il declino” forse la forza che maggiormente si ispira ai valori più saggiamente liberali. Creato tra gli altri dallo studioso Oscar Giannino e poi oggi con alla leadership l’economista Boldrin, un partito che vola alto sul piano dei contenuti (specie economici) ma che ha il difetto storico dei liberali italiani, avere poco seguito popolare e restare una forza piuttosto elitaria, come lo fu all’epoca il PLI di Malagodi e Bozzi. Tra le varie scissioni va segnalata la destra sociale di “Fratelli d’Italia” alla cui testa vi sono la Meloni, Larussa (già ministro con Berlusconi) il piemontese Crosetto il più moderato dei tre. Sostanzialmente antieuropeisti, a differenza di “Fare” e di Italia Unica di Passera, di recente hanno riassorbito la destra di Starace, anch’essa sociale (eredi del MSI nelle sue componenti più di natura territoriale ed anti banche e finanza) con Starace è l’ex sindaco di Roma Alemanno.

La Lega Nord, ricostruita, dopo gli scandali che hanno inabissato Bossi e il suo “cerchio magico”, da Matteo Salvini, che ha avuto un lusinghiero 6,8% nelle ultime europee. Salvini come il sindaco leghista di Verona Tosi è ritenuto il possibile papabile per guidare una destra di nuovo unita, ma va considerato che più e diversamente da Tosi, figura apprezzata anche fuori dai circoli della “destra”, Salvini è alleato con reazionari e xenofobi come la francese Le Pen ed è anti euro e sostanzialmente anti Europa, quindi difficilmente potrà unirsi a forze che sono ampiamente europeiste come NCD di Alfano.
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A proposito del Nuovo Centro Destra, è evidente che aver superato a stento il 4% dei voti, dà il senso di una forza che ancora oggi ha poco seguito in Italia e sintomo che il suo moderatismo rispetto al governo potrebbe non pagare come dimostra la scomparsa di Scelta Civica, il partito promosso da Monti e che nelle ultime votazioni era guidato dal ministro della Pubblica Istruzione Giannini. E pure, NCD, riunisce alcuni dei politici più esperti e capaci della destra. Ma sono effettivamente di destra? O piuttosto prevale culturalmente il moderatismo cattolico di anima democristiana? Potrebbe essere una forze essenziale, una base imprescindibile per la costruzione di una destra moderna ed europea?

Se c’è un punto che rende inequivocabile il passaggio dalla prima alla seconda repubblica è la scoperta della vocazione maggioritaria in Italia. E del resto anche le più recenti votazioni dimostrano che gli italiani chiedono una semplificazione della politica, che è del tutto in linea con una considerazione di questa non più in termini rigidamente ideologici.

Quindi certamente NCD puo’ giocare un ruolo guida in un centro destra moderno ed europeo. Ma solo a condizione che non accetti le lusinghe di Salvini. Lusinghe che in queste ore sembrano fare breccia negli uomini del cerchio magico di Berlusconi. Cosa che potrebbe determinare una nuova diaspora all’interno di Forza Italia.

Anche se eticamente non accettabile, la realtà è che in quel partito ha ragione Fitto, che invoca un processo di democratizzazione tra i forzisti, che scongiuri ipotesi di successione “monarchica” della leadership da padre a figlia. Certo fa specie che Fitto sia stato colui che più fieramente si oppose ad Alfano che aveva fatto analoghe richieste, dandogli del traditore ed ottenendone di fatto l’esclusione dal partito, mentre oggi è proprio Fitto che si fa interprete di questa istanza. Ma la politica è anche questo, se occorre (come dire: “Alfano stai sereno”, parafrasando Renzi con Letta).
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Viceversa, riconoscendo in quel partito anche un’anima più disposta a rifondarsi e che si riconosce nell’ex governatore della Puglia, sarebbe un errore enorme consegnarsi a Salvini, che peraltro è in costante confronto con Tosi, che già si è detto pronto alle primarie (non escluderei nel prossimo futuro una spaccatura anche nella Lega). Il punto è che l’Europa è oggi il banco su cui si misura la credibilità della politica e Forza Italia non puo’ essere allo stesso tempo alleato con i popolari e cattolici ed avere un leader che sostiene Le Pen e l’ultra destra.

Francamente l’ipotesi più possibile è, a mio avviso, la creazione di un rassemblement di destra europea con (NCD, Fare, Fini, Italia Unica e forse settori di Scelta civica e di Forza Italia) e dall’altro una destra estrema (come SEL per la sinistra) che comprenda le forze più antieuropeiste (Lega, Fratelli d’Italia – AN, ed un’altra parte di forzisti). Insomma uno scenario di doppia coppia, con due sinistre e due destre. Un primo passo verso quel bipartitismo che sarebbe auspicabile per il futuro istituzionale italiano. Che permetterebbe di avere delle linee politiche chiare e diversificate, semplificando agli italiani la scelta su quale politica far trionfare nel paese.

Ora, finalmente a sinistra la rottamazione di idee superate e di politici compromessi sta dando i suoi frutti, ora tocca alla destra, perché le democrazie europee si muovono su due gambe ed un paese che ha una sinistra forte ed una destra evaporata è un paese zoppo o se preferite una democrazia che resta incompiuta.

Nicola Guarino

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Nicola Guarino
Nicola Guarino, nato ad Avellino nel 1958, ma sin dall’infanzia ha vissuto a Napoli. Giornalista, già collaboratore de L'Unità e della rivista Nord/Sud, avvocato, direttore di festival cinematografici ed esperto di linguaggio cinematografico. Oggi insegna alla Sorbona presso la facoltà di lingua e letteratura, fa parte del dipartimento di filologia romanza presso l'Università di Parigi 12 a Créteil. Attualmente vive a Parigi. E’ socio fondatore di Altritaliani.

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