La crisi dell’utopia. Aristofane contro Platone di Luciano Canfora.

Esiste per l’uomo la possibilità di inventare uno Stato perfetto, un mondo in cui fondare una società ideale? L’utopia, un non luogo o una condizione felice possibile? Invito alla lettura dei classici antichi, fonte di sempre rinnovato sapere, nell’ultimo saggio del noto filologo barese Luciano Canfora che affronta uno dei temi centrali nella riflessione filosofica di tutti i tempi.


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Il nostro grande filologo Luciano Canfora, che fortunatamente, facendo leva su un’ampia conoscenza dell’antichità classica e della storia tutta, non si stanca di partecipare al dibattito culturale contemporaneo, ha voluto fornire al suo ultimo saggio, edito da Laterza: La crisi dell’utopia. Aristofane contro Platone (pp. 448, 18€), una struttura multipla con più voci di analisi per meglio comparare il passato con il presente e dimostrare la vitalità degli autori antichi in merito soprattutto ad una discussione che è stata sempre a cuore a molti: l’utopia, un non luogo o una condizione felice possibile?

Lo spunto gli è dato dalla città di Atene, cuore pulsante di quella civiltà greca, celebrata maestra delle arti e dei saperi e più precisamente da Aristofane, il commediografo del V sec. a.C. cui la tradizione attribuiva molte commedie, di cui però sono rimaste solo undici autentiche, escludendo le spurie e frammenti di altre. La sua fu detta commedia antica per distinguerla dalla nuova successiva di cui l’esponente più in vista fu Menandro.

Lo stato attico a quel tempo aveva preso ad allestire spettacoli sia tragici che comici in onore di Dioniso, ben due volte l’anno, in inverno durante le feste Lenee e in primavera durante le Dionisiache. Furono indetti prima concorsi tragici e dal 486 a.C. concorsi comici. Aristofane diede dignità ed organicità alle commedie solo verso il 442 e gli è concordemente dai critici riconosciuta la maestria nell’arte del ridere per aver introdotto i fatti del suo tempo, i costumi della città, le figure emergenti di politici, di filosofi cui non sono risparmiati lazzi salaci e beffe, talvolta deformando la realtà e riproducendo situazioni surreali.

Ad essere colpiti dalla sua satira in versi erano personaggi allora noti come il demagogo Cleone, i tragici Sofocle ed Euripide, i filosofi Socrate e Platone. Questo accadeva non tanto perché egli odiasse la cultura e la politica in sé, quanto perchè rifuggiva dalle serie lezioni di vita che prospettavano saggezza e genialità, preferendo il ritmo festoso e spericolato di situazioni ambigue che favorivano la leggerezza del riso. Così con I Cavalieri sferrò un duro attacco a Cleone, il demagogo suo odiato avversario, riportando in quell’occasione il primo premio. Nelle Nuvole prese di mira Socrate, nelle Vespe il malcostume politico dei processi frequenti, inaugurato da Cleone e nelle Rane e nelle Tesmoforiazuse (Le donne alla festa di Demetra da cui erano esclusi gli uomini) si fece gioco di Euripide, il grande tragico, reo di non aver tenuto in considerazione le donne. Nelle Ecclesiazuse ( Le donne in assemblea da cui erano però escluse, secondo il costume dell’epoca. Vi si presentano infatti travestite da uomini ) derise i destini inversamente incrociati di uomini e donne, ma soprattutto attaccò Platone e la sua utopia dello stato ideale, illustrato poi nella Repubblica. Da questa commedia, di cui sono protagoniste le donne che proclamano la comunione dei beni e delle persone per parodiare la tesi di Platone, si sviluppa poi la disamina sull’utopia che occupa la parte centrale del libro.

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Platone aveva trattato in Politeia (nome greco di Repubblica) la concezione dello Stato non come potesse realmente esistere nella realtà contingente, ma come gli veniva suggerita del mondo delle idee che, nella sua filosofia, presuppone distinto dal mondo sensibile, quindi in sé perfetto e compiuto come l’idea del Bello, dell’Amore e così via.

Lo stato ideale sarebbe quello retto dalla classe dei filosofi che sono la categoria dei cittadini che hanno più chiara in mente l’idea della perfezione e nella cui natura, secondo il mito di Cadmo (sono bellissimi i miti platonici tra cui quello dell’anima!), il dio ha mescolato oro ed argento, elementi preziosi che hanno reso nobile ed elevata la loro natura (dipendesse solo dai minerali!). In Platone è evidente il fascino del mito ed il miscuglio degli elementi fantastici.

Quest’idea, innata nella mente dell’uomo, nella realtà viene spesso a mescolarsi e quindi a corrompersi, divenendo alterata e deformata.

Per questo si parla di “utopia” cioè d’impossibilità di attuazione.

Nel V libro di Politeia si possono leggere i passi (V, 60-61-62) che sono oggetto di scherno da parte di Aristofane sulla comunanza delle donne e dei figli, comunanza introdotta per assicurare l’uguaglianza ed evitare gelosie, rancori, ritorsioni e vendette, cioè elementi di lacerazione.

Insomma per dirla in breve, pur non sottovalutando il dato sensibile, la Repubblica di Platone non tratta di una massa informe di individui, ma di una comunità che tende ad essere armonica, lontana dall’urto delle passioni.

Sarebbe interessante forse sapere come Platone abbia considerato la satira aristofanesca: nell’unico modo che aveva, di ritorcere le accuse rinviandole al mittente. Nel Simposio infatti egli fa dire a Socrate che Aristofane si occupava solo di Dioniso e di Afrodite, cioè che era un poeta dell’ebbrezza e dell’amore e lo rappresentava con il singhiozzo per il vino bevuto. In realtà Aristofane non era affatto ubriaco, piuttosto i due avevano caratteri e punti di vista diversi e li esprimevano con grande libertà, l’uno nell’impegno dell’arte, l’altro nel suo sistema filosofico.

Luciano Canfora

Ma è utile l’utopia?

Dopo queste premesse Canfora riporta il discorso sul piano della storia. Quante volte l’utopia è stata ventilata come possibile e quante illusioni ha suscitato nel corso dei secoli da Giambulo, Campanella, Uxley, Engels, Marx, sia in positivo o in negativo se si pensa in quest’ultimo caso al mito della razza pura di Hitler o a 1984 di Orwell !

Ad utopie che tramontano altre succedono con il segreto desiderio di rinnovare il mondo e indirizzarlo verso un itinerario straordinario. Ora l’utopia sembra in crisi, ma domani? Anche se irrealizzabile, potrebbe essere la valvola di salvezza che fa sperare in un’epoca diversa senza armi e guerre intestine magari, moltiplicando le energie che servono per una pace ed una cooperazione effettiva tra gli stati.

A parte la conclusione che resta problematica, quello che più sorprende nel saggio in questione è la capacità dell’autore di sorvolare con naturalezza i secoli e percorrere la storia con il passo leggero dell’esploratore che non teme insidie di sorta e che insiste a trovare un approdo anche di fortuna.

Gaetanina Sicari Ruffo

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Gaetanina Sicari Ruffo
Gae(tanina) Sicari Ruffo è purtroppo venuta a mancare nel 2021. Viveva a Reggio Calabria. Già docente di Italiano, Latino e Storia, svolgeva attività giornalistica, collaborando con diverse riviste, tra cui Altritaliani di Parigi, Calabria sconosciuta e l’associazione Nuovo Umanesimo, movimento culturale calabrese. Si occupava di critica letteraria, storica e d’arte. Ha pubblicato i saggi Attualità della Filosofia di D.A. Cardone, in Utopia e Rivoluzione in Calabria (Pellegrini, 1992); La morte di Dio nella cultura del Novecento, in Il Santo e la Santità (Gangemi, 1993); La Congiura di Tommaso Campanella, in Quaderni di Nuovo Umanesimo (1995); Il Novecento nel segno della crisi, in Silarus (1996); Le donne e la memoria (Città del Sole Edizioni, 2006, Premio Omaggio alla Cultura di Villa San Giovanni); Il voto alle donne (Mond&Editori, 2009, Premio Internazionale Selezione Anguillara Sabazia). Suoi anche i testi narrativi Là dove l’ombra muore (racconti Premio Internazionale Nuove Lettere, 2010); Sotto le stelle (lulu.com, 2011); La fabbrica dei sogni (Biroccio, 2013); la raccolta di poesia Ascoltando il mare (Pungitopo, 2015).

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