Venezia e la sua Fenice che risorge sempre dalle ceneri – Intervista al Sovrintendente Chiarot.

Più volte distrutto dagli incendi, dalla sua nascita nel 1792, il Gran Teatro La Fenice di Venezia è un capolavoro di architettura che potrebbe raccontarne di storie, di opere e di uomini. Il teatro, testimonianza di epoche irripetibili, è oggi rinato ancora ed è come allora riferimento per gli appassionati di musica colta e opera lirica. Ne parliamo con l’attuale sovrintendente Cristiano Chiarot e raccontiamo la cronaca della storia di questo magnifico tempio della musica.

[**UN PO’ DI STORIA*]

Finiva il ‘600 e a Venezia si contavano già sette teatri dove si alternavano drammi, commedie e musica. Il più importante era il teatro S.Benedetto che sorgeva nelle vicinanze di Campo Manin e di Campo S.Luca. Costruito su finanziamento della potente famiglia Grimani, venne, in seguito, ceduto al casato dei Venier che pensavano però di costruirne uno più grande, che rispondesse alle esigenze di qualità e di bellezza che la città richiedeva.

Arrivo al Teatro della Fenice nel Ottocento.

Quasi tutti furono d’accordo, pure il nome non trovò ostacoli: si doveva chiamare « La fenice » per ricordare l’immortale uccello di cui già Erodoto ne raccontava le storie… Fu costruito nel sestiere di S.Marco presso il campo S.Fantin e da allora, nonostante altri incendi lo avessero distrutto più volte, fu ricostruito sempre nel medesimo luogo. Il carattere cosmopolita della città lagunare impose, fin da subito, che al concorso dovessero partecipare i migliori architetti, per dare vita al teatro « […] più soddisfacente all’occhio ed all’orecchio degli spettatori »; insomma, il migliore che fosse mai stato costruito fino ad allora.

Il bando di concorso prevedeva che il futuro teatro avrebbe dovuto avere cinque ordini di posti con trentacinque palchetti per ogni ordine. Tale progetto doveva obbedire ad altre esigenze certo più importanti, da più parti invocate e che si possono riassumere nell’eccellenza della visibilità estesa a tutti gli spettatori a cui si doveva aggiungere quello dell’acustica, voluta in modo preponderante da tutti i compositori e musicisti. Nessuna concezione al nuovo venne fatta.

Giannantonio Selva, progetto per il concorso del nuovo Teatro della Fenice

A differenza di altri teatri, come quelli francesi, dove i palchi sono aperti come tante immaginarie collane che sovrastano la platea, quelli italiani (La Scala, il S.Carlo) sono tutti orientati a proteggere gli spettatori dentro a piccole dimore che ne mantengono la riservatezza. Non era certo pruderie questa riservatezza, era, piuttosto, un assoluto bisogno di allontanare occhi e orecchie indiscreti che finivano per disturbare l’ascolto e la visione. In verità, qui a Venezia, la separazione tra palchetto e palchetto doveva garantire agli ascoltatori quella piccola oasi di « piacere » che si poteva creare ad ogni spettacolo. Il teatro doveva avere anche una sua entrata dall’acqua perché, a quei tempi, molte erano le famiglie nobili che giungevano al teatro in gondola. Ecco che, gran parte del Teatro fu costruito a fianco del Rio Menuo o della Verona per venire incontro a questa esigenza. In realtà la vicinanza all’acqua avrebbe permesso, in caso di incendio, un rapido uso dell’acqua stessa proveniente dal rio. Sappiamo però come questi tipi di evenienze a niente valsero per spegnere le fiamme che, pure in epoca moderna, hanno aggredito, senza pietà, le strutture lignee del teatro, bruciandole velocemente.

Sei mesi occorsero per stabilire chi avesse presentato il miglior progetto. All’architetto scelto sarebbe capitato in dono « un magnifico medaglione d’oro del peso di trecento zecchini oltre alla giusta ricompensa per la sovrintendenza ai lavori. A vincere quel concorso fu Giannantonio Selva che superò la concorrenza di altri ventisette architetti. Il 16 Maggio 1792, trecento anni dopo la scoperta dell’ America, Venezia inaugurò il suo teatro più prestigioso. Venne eseguita l’opera « I giochi d’Agrigento » di Giovanni Paisiello tra la festosa partecipazione di ospiti illustri e nobiltà cittadina. I giornali del tempo apprezzarono grandemente la magnificienza del teatro, mettendo in rilievo come lo stesso avesse tutti i requisiti necessari per porlo al di sopra di qualunque altro. Nella Gazzetta urbana Veneta il cronista elogia : « la chiarezza delle tinte, l’armonia e la leggerezza… che mirabilmente si uniscono ». Colpisce pure la sua struttura: « … tutti i 174 palchi componenti questo teatro sono simili perfettamente ».

La Fenice nel 1837, originale al Museo Correr

Ma la grandeur Napoleonica si spinse anche dentro al teatro. L’arrivo del condottiero indusse ad allestire « un palco reale, posto al centro del teatro, nella seconda fila di palchi. Ne avrebbe beneficiato lo stesso Napoleone nel successivo ritorno, ma sappiamo che non fu così. Altri regnanti poterono quindi magnificarsi di tale posto, disponendo cosi di un palco di assoluto prestigio. Fu lo stesso architetto Selva a portare la modifica. Nel 1808 il progetto venne concluso per mano dell’ornatista Giuseppe Borsato che, in previsione di una nuova visita dell’imperatore francese, decorò il palco secondo la migliore tradizione barocca, con frequenti allusioni all’imperatore stesso. Tutto sfavillava di fregi e decori dorati, insegne altisonanti, ma secondo una linea che doveva tener conto della comodità e dell’eleganza. Le cronache del tempo riportano i commenti entusiastici di Klemens Metternich che, ospite li, finì una serata al teatro definendo il palco reale « …sans pareil, merveilleusement beau ». Siamo già nel 1822.

L’incendio

13 Dicembre 1836. E’ di questo inverno il primo incendio che distrusse gran parte del teatro. Il suo tetto crollò, ma si salvarono l’atrio e le sale Apollinee. Fu un brutto colpo, ma la città con le sue maestranze, seppe far fronte all’emergenza. Per il rifacimento ci si affidò a due fratelli, entrambi ingegneri, Tommaso e Giovanni Battista Meduna che, con una squadra di abilissimi artigiani, coordinarono i lavori di restauro. Le decorazioni toccarono ancora al Borsato che, per la sua precedente esperienza, fu preferito ad altri. La ricostruzione avvenne in tempi brevissimi, riportando il teatro al suo splendore abituale. Il 26 Dicembre dell’anno seguente, si riaprì la nuova stagione. I moti del 1848 imposero nuove modifiche interne. Mal si sopportava il palco reale che venne soppresso poichè rappresentava il segno dell’oppressione austriaca. Al suo posto vennero costruiti sei nuovi palchi riportando cosi’ il teatro al suo progetto originario. Ma fu lavoro inutile. L’anno seguente il prepotente ritorno al governo della città da parte degli Austriaci impose che il palco reale fosse riedificato secondo l’originaria forgia e grandezza. L’ultimo e definitivo ritocco si ebbe nel 1946 quando, al posto dello stemma monarchico che ornava il palco, si lasciò spazio al Leone di S.Marco, simbolo della città ormai liberata.

Altri restauri portati avanti nel 1854 ritoccarono il soffitto fortemente danneggiato. Si procedette ad un restauro secondo un’estetica che recuperava il mito della Serenissima Repubblica; quando la città era il simbolo di un’epoca, capitale di arte e cultura. Chiunque vi entrasse aveva quasi l’illusione di rivivere un tempo passato dove a tutti veniva mostrata la magnificienza della città. La stessa impressione rimase impressa fino al 1996, giorno dell’ultimo incendio.

Tra il 1854 ed il 1859 si provvide a qualche altro restauro alle sale Apollinee e al piano nobile. Il Comune della città intanto, diventata proprietario del teatro, affidava all’ingegner Miozzi la possibilità di portare nuove armonie in linea con la sempre maggiore esigenza di bellezza voluta dalle maestranze cittadine. Il palcoscenico diventerà girevole, la sua altezza superiore, la sala macchine all’avanguardia.

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Anche in anni successivi il teatro subirà modifiche al suo arredo, dettate più dalla voglia di magnificare qualche celebrazione straordinaria, come fu quella per il 6° centenario della nascita di Dante Alighieri dove, per l’occasione, fu dipinta l’effige del poeta incoronato e tra le pareti comparvero sei dipinti ad affresco con scene tratte dalla Divina Commedia. Fu solo in epoca più recente, nel 1976, che tali episodi furono tolti; l’incarico di nuovi ornamenti fu dato al pittore veneziano Virgilio Guidi che portò a termine l’incarico con l’abilità riconosciuta.

Quanto è poi successo, è storia recente. Nel 1996 la sera del 29 gennaio, verso le 23.00, un pauroso incendio bruciò interament il teatro. A niente valsero i tentativi dei vigili del fuoco chiamati da più parti. Intervennero pure elicotteri antincendio venuti da città vicine. La concomitanza dei lavori di risanamento del Rio Menuo che attornia il teatro, prosciugato qualche mese prima, impedirono ai vigili del fuoco di attivare le pompe antincendio. Troppo forti le vampe di fuoco che si propagarono in fretta a tutto il teatro distruggendolo nel corso di quella notte. Rimasero in piedi solo i muri perimetrali, quasi a voler preservare, agli occhi dei molti curiosi, la fine misera del più bel teatro cittadino.

L'incendio del 1996

Chi scrive ricorda con grande precisione quello che accadde quella sera, le fiamme altissime che si levarono sopra la città. Dall’isola della Giudecca poi lo spettacolo era ancora più drammatico. Il bacino di S.Marco era colorato dalla luce rossa del fuoco e i suoi riverberi si proiettavano sull’acqua in una sinistra atmosfera che era di sgomento e di paura. Tutti, e non solo gli appassionati di musica colta, furono sgomenti per la perdita del teatro.

Con quel fuoco se ne sono andati in fiamme tante storie che avevano il sapore delle testimonianze di epoche irripetibili, dove al teatro veniva la più bella gente d’Europa.

Da quest’ultimo incendio si salvò l’effige del teatro, La Fenice, che annerita in parte sembrava dire che non tutto era finito. Il teatro sarebbe stato ricostruito « com’era , dov’era » secondo una logica che trovò tutti d’accordo.

Questa è la cronaca della storia di questo magnifico tempio della musica che ha visto alternarsi i musicisti e i compositori più illustri. In un simbolico abbraccio vorremmo ringraziarli tutti per l’arte davvero straordinaria che qui hanno portato.

[**LA FENICE OGGI – INTERVISTA AL SOVRINTENDENTE CRISTIANO CHIAROT*]

Massimo Rosin: 14 dicembre 2013. Sono passati 10 anni dalla ricostruzione del Taetro. Come sono stati?

Cristiano Chiarot, attuale Sovrintendente del Teatro della Fenice

Cristiano Chiarot: Lo scorso 14 dicembre con un concerto diretto da Lorin Maazel abbiamo celebrato il decennale della reinaugurazione del Teatro dopo la ricostruzione seguita al devastante incendio del gennaio 1996 ed è stata apposta nel foyer una targa celebrativa in vetro.

Si è trattato indubbiamente di un decennio di grande dinamismo nella vita del Teatro. Il bilancio in attivo, nonostante i drastici tagli dei contributi statali, un numero di recite d’opera pressoché raddoppiato, un rapporto di produttività al primo posto in Italia, una qualità testimoniata dall’affluenza del pubblico e dall’apprezzamento della critica, questi i principali risultati di un progetto culturale e organizzativo che ha i suoi punti di forza nella valorizzazione e nel consolidamento del grande repertorio melodrammatico attraverso letture innovative di grande qualità e impatto sul pubblico, nell’attenzione alla produzione contemporanea e alle proposte dei giovani autori ed interpreti emergenti, nella sinergia con altri teatri nazionali e internazionali e nel coinvolgimento delle forze e potenzialità presenti sul territorio.

M.R.: Enti lirici. Si conoscono le difficoltà dei Teatri italiani dovuti ai mancati arrivi dei finanziamenti promessi dallo Stato. La Fenice come sta?

C.C.: Purtoppo siamo tutti investiti da questa difficile situazione generale che vede i finanziamenti pubblici e privati restringersi progressivamente con tagli che spesso si abbattono in maniera indiscriminata andando a penalizzare anche le Fondazioni virtuose, con i bilanci in pari.

E’ sempre molto pericolosa la disattenzione per la cultura da parte di chi dovrebbe difendere strenuamente questo patrimonio fondante del nostro Paese.

Penso che la cultura sia una delle leve primarie per il rilancio economico di Venezia e dell’intera provincia e la Fenice è una grande impresa culturale, che ha tra i suoi obiettivi prioritari la produttività e una rigorosa attenzione ai bilanci, senza rinunciare alla qualità della propria offerta. Sono convinto che il mondo dell’arte e quello dell’imprenditoria debbano sempre maggiormente intrecciarsi e collaborare ed è proprio in quest’ottica che siamo recentemente entrati a far parte della Confindustria.

M.R.: Il Teatro è da sempre il cuore musicale della città: com’è il rapporto con i giovani?

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C.C.: Abbiamo sempre avuto particolare interesse per il pubblico giovane, non a caso stiamo implementando tutti i nostri social media, da Twitter a Facebook, da Instagram a Youtube, una “rivoluzione” tecnologica che, con grande velocità e efficacia, ci porta a un costante dialogo con gli utenti. Puntiamo molto sulla tecnologia, tra l’altro dal 15 febbraio, in occasione della prima de La Traviata, è diventata operativa la nuova funzionalità di controllo accessi che permetterà la lettura dei biglietti print@home sul display di smartphone o tablet. E’ un nuovo importante risultato che ci vede tra i teatri, allo stato, primi ed unici.

Proprio per individuare e valorizzare giovani talenti è nato il progetto «Atelier della Fenice al Teatro Malibran» che prevede la collaborazione dell’Accademia di Belle Arti, del Conservatorio di Musica Benedetto Marcello e dell’Università Ca’ Foscari. Il progetto, si avvale del coordinamento del direttore della produzione artistica Bepi Morassi. Ha fin qui portato in scena quattro delle cinque farse di Gioachino Rossini.

Inoltre, con il sostegno della Fondazione Amici della Fenice da qualche anno abbiamo dato vita al progetto “Nuova Musica alla Fenice” per stimolare e supportare la creatività di giovani compositori. Il progetto prevede la commissione annuale di tre partiture sinfoniche originali da eseguirsi in prima assoluta nell’ambito della stagione sinfonica come parte integrante del programma di alcuni dei concerti.

M.R.: Verdi e La Fenice. Qui alla Fenice sono state presentate per la prima volta ben cinque opere di Verdi tra cui “La traviata”. L’anno passato il maestro è stato ricordato per i 200 anni dalla sua nascita. Ce ne puo’ parlare?

C.C.: Nel 2013 ricorreva il bicentenario della nascita di Giuseppe Verdi ma anche di Richard Wagner, compositori entrambi profondamente legati a Venezia, così la Fondazione Teatro La Fenice ha voluto rendere omaggio ad entrambi proponendo una doppia inaugurazione con due titoli veneziani che si sono alternati: Otello e Tristan und Isolde.

A proposito del legame di Verdi con il nostro Teatro, da tempo combatto una battaglia per ristabilire una verità storica a fronte di un falso che continua ad essere perpetuato su La Traviata, commissionata dalla Fenice, dove andò in scena il 6 marzo del 1853: la prima assoluta della Traviata alla Fenice fu un successo.

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Come testimoniò il critico Tommaso Locatelli all’indomani della prima, “fu più volte applaudita a scena aperta”. Le nove recite previste per il titolo andarono tutte regolarmente in scena, se fosse stato un insuccesso l’opera sarebbe stata tolta dal cartellone e sostituita.

Verdi scrisse il celebre telegramma a Ricordi: “Fiasco”, ma si riferiva alla messa in scena e non al buon esito avuto dalla sua opera presso il pubblico. A Verdi non piaceva la protagonista, Fanny Salvini-Donatelli, oltre a ciò l’opera andò in scena con scene e costumi settecenteschi, mentre lui avrebbe preferito un’ambientazione contemporanea.

M.R.: Il Concerto di Capodanno è ormai un appuntamento televisivo a cui molti italiani sono affezionati. Cosa rappresenta per Venezia questo concerto? E’anche una sfida con quello altrettanto famoso di Vienna?

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C.C.: Questa, che ha visto la direzione di Diego Matheuz, è stata l’undicesima edizione del Concerto di Capodanno in diretta Rai, ma è stata trasmessa anche da Arte, ZDF, WDR, Radio France e da varie emittenti dell’Europa dell’Est, si tratta quindi di un evento mediatico internazionale.

La diretta su Rai1 è stata un grande successo con il 27% di share, è stata vista da 4,4 milioni di spettatori. Nella programmazione Rai è il programma di musica classica più seguito, è un appuntamento ormai tradizionale, atteso e amato in Italia e all’estero e il risultato premia noi e il grande sforzo della Rai.

M.R.: Un ricordo del Maestro Abbado e del suo legame con il Teatro La Fenice.

Claudio Abbado

C.C.: Del Maestro Claudio Abbado non posso che sottolineare la grandezza artistica, l’impegno culturale e la sconfinata e costruttiva generosità, che si è esplicitata negli ultimi anni in un’infaticabile attività di sostegno e creazione di nuove realtà musicali e di concreto stimolo e incoraggiamento dei giovani talenti in ogni parte del mondo: un modello per chiunque creda nel futuro della musica, nella sua intrinseca attualità e nella sua imprescindibile funzione sociale e culturale.

Venezia e la Fenice perdono inoltre un grande amico, un artista che dal 1962 agli anni recenti è stato presente in tante stagioni, in particolare rammento con profonda emozione la grande solidarietà che dimostrò dirigendo l’Orchestra Filarmonica di Berlino nel maggio del 1996 nel Palafenice appena costruito.

La Fenice ha voluto rendere omaggio al Maestro con un minuto di silenzio prima dell’inizio de “La clemenza di Tito” e listando a lutto le bandiere del teatro.

Massimo Rosin

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Massimo Rosin
Massimo Rosin nato a Venezia nel 1957. Appassionato di cinema, musica, letteratura, cucina, sport (nuoto in particolare). Vive e lavora nella Serenissima.

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