Il tempo di Renzi.

In un paese dove a caso si parla sempre di colpi di stato, Renzi, porta avanti come un treno la sua linea di battaglia. Tre protagonisti: il sindaco fiorentino, il Presidente e il premier uscente Letta. Un solo sconfitto, re Giorgio. Un rischio grosso per il PD che tuttavia si ricompatta, per la prima volta, intorno al suo leader.

Debbo una premessa. Nel mio ultimo articolo ero francamente allarmato dalla spinta violenta che al sistema stava dando Renzi, e mi ero convinto che fosse un’azione sbagliata (sul metodo mantengo tutte le mie riserve), ma oggi a freddo credo si possa fare una riflessione più circostanziata ed attenta sulle reali possibilita di riuscita.

Se è vero che la rivoluzione non è un pranzo di gala, bisogna dire che quella di Renzi pur essendo incruenta non è immune da qualche brutalità.

E’ inutile nascondersi dietro ad un dito. La sostanziale defenestrazione di Letta ad opera di Renzi è stato uno shock e sulla rete, nelle piazze, nei bar, nelle sezioni, ovunque ci siano simpatizzanti ed iscritti al PD non si parla d’altro. Eppure, al di là di una relativa irritualità (ebbene pero’ ricordare che nella prima repubblica i governi a guida democristiana erano sfiduciati dalla direzione DC, prima che dal parlamento), quello che impressiona è l’accellerazione impressa da Renzi, prima nel far partire la legge elettorale e le riforme istituzionali (venti giorni, contro gli anni persi tra commissioni di saggi, consultazioni ed altro) e poi dalla veemenza con cui Renzi è stato capace di compattare un partito diviso come il PD nel nome di un governo che sia finalmente incisivo.

La mia sensazione è che Renzi, più che demolire il futuro competitor Letta, che in realtà, come vedremo, n’è uscito alla grande (oltre i suoi meriti) da questo confronto, abbia voluto imporre il ruolo dei partiti e domani del parlamento nel costruire il futuro politico del paese.

Forse un giorno la storia dirà che il vero big match che ha portato Renzi a Palazzo Chigi non è stato l’ormai inutile confronto con Letta, avvenuto il giorno prima nella direzione del PD, ma l’incontro avvenuto precedentemente con il suo dominus, ovvero Giorgio Napolitano.

E’ li che si è svolta la battaglia decisiva. Il fitto silenzio che ha celato quel colloquio fa intuire che siano state due ore di fuoco, in cui Napolitano deve aver fino all’ultimo tenuto duro su Letta, diretta diramazione della volontà del Quirinale, campione di una politica ossequiosa delle istituzioni (il pisano del resto anche in queste ore sta mantenendo il suo profilo da prossimo statista, evitando commenti, non presentandosi alla direzione per evitare di danneggiare il suo partito, rassegnando con dignità le sue dimissioni). Napolitano non gradisce i metodi sbrigativi di Renzi, forse diffida anche del suo peso internazionale, in vista anche delle prossime europee ed è certamente convinto anche del fatto che una figura cosi esposta e che suscita cosi tante antipatie finanche nella dirigenza e tra i parlamentari del suo partito, non possa, nell’attuale scenario di crisi, essere pronto per una tale investitura.

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NAPOLITANO.

Il Presidente, di fronte ad un sistema bloccato e dovendo fare i conti con una classe politica che francamente è nel suo complesso piuttosto mediocre, ci ha abituati a dettare i tempi e i modi della politica contribuendo, sul piano formale, ad accrescere la sostanziale anomalia che caratterizza il paese da almeno venti anni. Ha fin qui svolto quindi una funzione suppletiva che ha finito nei fatti per trasformare la nostra repubblica parlamentare in una sorta di repubblica presidenziale. Un’opera si benemerita, che ha impedito, in questi anni, diverse storture politiche, arginando spesso, quale garante della Costituzione, il ruolo di Berlusconi, riuscendo ad essere il vero interlocutore internazionale dell’Italia. Tuttavia, tanto ha finito per essere in stridente contraddizione con lo stesso sistema politico italiano ed un’ulteriore espressione di quel “caso Italia” che tanto fa discutere in patria e all’estero sulla anomalia della politica italiana.

Con Renzi, per la prima volta, Napolitano ha trovato qualcuno che ha avuto la forza e i contenuti per potergli dire di no. Per la prima volta nella sua storia presidenziale, re Giorgio non ha deciso, forte della sua autorevolezza e della sua esperienza, arrivando a dire un’eresia: “Deciderà il PD”. Una cosa che sarebbe fuori dalle prerogative del Capo dello Stato, una cosa che competerebbe solo a lui, viene declinata ad un partito, ovvero a Renzi che ne è il dominatore. La messa in crisi di questa forzattura presidenzialista è certo un merito del nuovo segretario del PD e fa comprendere la durezza di questo scontro, durato due ore, e francamente credo che non sia improbabile che, formato il nuovo governo, Napolitano consideri conclusa la sua esperienza, andando a prendersi il più che meritato riposo. A quel punto si riaprirebbero forse le porte per una presidenza Prodi, ma questo è un altro discorso.

RENZI.

La mossa di Renzi è stata un azzardo, e il sottoscritto, per quel che puo’ valere, n’è stato stupefatto, chiedendosi il perché di una strategia cosi pericolosa, che potrebbe mettere a rischio lo stesso processo di rinnovamento culturale e politico del PD. Probabilmente il sindaco fiorentino è, forse, consapevole che il PD, cosi grande nei numeri ma cosi debole e sfilacciato nell’azione, avesse bisogno di una guida forte e decisa a farsi carico anche della responsabilità del governo. Anche in ragione delle difficoltà che vi sono in tutti i partiti politici del parlamento.

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A bocce ferme, si puo’ considerare la mossa di Renzi del tutto in linea con la sua filosofia pragmatica dell’urgenza. E’ evidente la rischisosità di questa scelta, ma nella sua ambizione, che lui vorrebbe trasmettere a tutto il partito, non è più tempo di balletti, ma di dare risposte urgenti al paese, anche a rischio di perdere tutti i consensi raccolti in questi anni.

Da sempre Renzi vuole guidare il paese, più che il partito. E’ consapevole che nella politica di oggi, più del rigore metodologico occorre la sostanza dei fatti. E’ consapevole anche della sua forza comunicativa, che gli permetterà non solo di comunicare il positivo del suo futuro governo ma anche di evidenziare le colpe e le responsabilità degli eventuali partner, qualora fossero tentati dall’impaludare, ulteriormente, la sua azione. Una mossa che rende ancora più difficile la vita alla destra ed in particolare a Berlusconi, che si preparava al suo solito ruolo di uomo della speranza contro un governo (fosse stato Letta) che chiede solo sacrifici e che impone solo tasse.

Certo Renzi ora dovrà dimostrare che alla prova dei fatti il suo atto di forza paga. In realtà ha trionfato nell’ultima direzione, riuscendo a ricompattare il PD intorno alla sua proposta. Fanno eccezione la pattuglia di civatiani che restano costantemente all’opposizione. Ma tutte le altre anime del partito hanno oggi incoronato il sindaco di Firenze loro leader, forse da domani nel partito ci saranno meno correnti e certamente, almeno per un po’, il correntismo avrà meno voce. Questa è una buona notizia anche per la solidità del gruppo parlamentare intorno al programma di governo.
Il leader, oggi premier, è ben consapevole anche che se riesce a portare in porto il 40% delle sue proposte, in un paese bloccato da decenni, il futuro premio elettorale sarà anche più cospicuo a tutto danno dei veri avversari che sono i populismi di Berlusconi e Grillo.

E’ vero che dovrà vedersi anche dai suoi alleati, che sono gli stessi che furono di Letta, ovvero il NCD di Alfano. Ma sa bene che a quel partito oggi non convengono elezioni e quindi sara’ estremamente malleabile e disponibile, almeno per un certo tempo. Anche il complesso e frammentato quadro politico potrebbe aiutarlo in questa impresa.

Complessità che, senza semplicismi, si possono anche facilmente riassumere e che sono sotto gli occhi di tutti.

A destra Berlusconi è fuori gioco. Incandidabile, cerca di far valere il suo carisma, ma alla distanza non potrà durare molto. Nomina Toti suo delfino, ma gli altri forzisti di fatto lo rifiutano. La rinata Forza Italia è nel caos. Divisi su quasi tutto. Finanche tra i falchi non corre buon sangue con le dure prese di posizione di Fitto, la linea manageriale che vorrebbe più dialogo con il futuro governo, circoli che sono costituiti, ma che non hanno una guida territoriale sicura e poi i dissidi anche tra i mediatori tra Letta Gianni e Verdini ed altri ancora, mentre c’è la linea Cattaneo (i giovani) che vorrebbero più spazio e voce e che sognano le primarie. Un possibile alleato elettorale, NCD che appare tutt’altro che sottomesso e anzi piuttosto rivendicativo, finanche sulla scelta del premier.

Il centro è esploso. I montiani forse si avvicinerebbero a Renzi (ma avrebbero preferito il più rassicurante Letta). La diaspora del centro ancora non si è conclusa tra chi ormai guarda a destra e chi a sinistra.

A sinistra quel che resta è SEL che già minuscolo è a rischio scissione tra Vendola che non vuole cedere a Renzi e al PD e Migliore che invece vorrebbe aprire un tavolo. Con il risultato che l’annunciato “niet” al sindaco fiorentino non farà che drammatizzare i malumori interni.

Poi rimangono, certo non a sinistra, i grillini che finito il cabaret delle settimane scorse si ritrovano ancora una volta senza idee e proposte, continuando il loro frustrante lavoro di demolizione di tutto a partire dalle istituzioni democratiche. Un gruppo che non cresce, nemmeno nei sondaggi, malgrado la crescente area di collera nei confronti della politica. Tra i cinquestellati il dissenso monta e i più proni al duo Casaleggio/Grillo sperano ormai solo nella boccata d’aria che potrebbe arrivare, grazie al loro facile antieuropeismo, proprio dalle votazioni di maggio.

In questo quadro a Renzi è parso chiaro che a questa classe politica, dagli obbiettivi limitati, non fa comodo il ritorno alle urne e che i parlamentari per la maggior parte, incluso gli stellati, non hanno nessuna voglia di andare a casa. La realtà è che paradossalmente l’unico partito che ne avrebbe avuto interesse è proprio il PD che si dimostra, ancora una volta l’unica forza responsabile del paese.

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LETTA.

Anche questo scontro solo apparentemente indebolisce il PD che di fatto si è compattato.

La realtà è che si sono scontrati i due modi nuovi di essere del PD. Qui non siamo nella nomenclatura e nel politichese di D’Alema, né nell’agricola e bonacciona semplicità comunicativa di Bersani, comunque incomprensibile per gli italiani e del resto anche la posizione di Cuperlo, con la sua arrendevolezza e i suoi passi falsi (votiamo, non votiamo, votiamo la sfiducia a Letta), dimosta la trasformazione culturale che in quel partito si sta compiendo. Siamo viceversa ad un metodo, quello di Letta, che punta sulla trasparenza, che chiede di essere sfiduciato in modo chiaro e non attraverso voci di corridoio.

Letta liberato da Napolitano, potra costruire, specie in chiave internazionale, la sua azione politica. Probabilmente in sede europea. Ma Letta sa che malgrado i numeri della direzione, la sua figura ne esce rafforzata, confermandosi politico di razza con la sua arte diplomatica che è stata capace di fargli guidare un governo con Berlusconi arrivando, con abilità, al magistrale risultato di far spaccare il PDL in Forza Italia e NCD, con indubbio indebolimento della destra.

Letta è oggi il solo vero competitor di Renzi. Letta lo zen, il diplomatico, contro il pragmatico e dirompente leader, che ha stravolto e sconvolto le costumanze storiche della sinistra italiana, arrivando ad una determinazione che puo’ disturbare molti, ma che nei fatti è in linea con quel processo di trasformazione della sinistra del dopo primarie.

Questa coppia, malgrado tutto ne esce insieme bene (anche grazia all’abilità di Letta), nessuno dei due ha retroceduto. Letta con il suo “Impegno Italia” ha dimostrato che i compiti li aveva fatti e che semmai il ritardo era stato concordato con Renzi, per via della riforma elettorale. Non si è inabissato innanzi al direttivo nazionale, ha chiesto chiarezza senza indurre a spaccature, e chiarezza per chiarezza in streaming (vero, non come quello dei grillini) Renzi gli ha dato il benservito. Alla fine nessuna coltellata alla schiena e Renzi e Letta saranno protagonisti anche nel prossimo futuro. In una politica che finalmente (e questo è un dato da terza repubblica) sa parlare in modo diretto e senza ipocrisie.

Nicola Guarino

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Nicola Guarino
Nicola Guarino, nato ad Avellino nel 1958, ma sin dall’infanzia ha vissuto a Napoli. Giornalista, già collaboratore de L'Unità e della rivista Nord/Sud, avvocato, direttore di festival cinematografici ed esperto di linguaggio cinematografico. Oggi insegna alla Sorbona presso la facoltà di lingua e letteratura, fa parte del dipartimento di filologia romanza presso l'Università di Parigi 12 a Créteil. Attualmente vive a Parigi. E’ socio fondatore di Altritaliani.

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