“Ilva connection”. Un recente libro-reportage sulla tragedia dell’Ilva.

Il tragico binomio lavoro-salute rimane al centro di un forte dibattito che non trova soluzione. Lo pone la vicenda dell’ILVA di Taranto, che, con le emissioni di polveri rosse dalle ciminiere delle acciaierie più grandi d’Europa, ha offuscato le speranze di futuro di un territorio fra i più belli d’Italia. Intenso il dibattito fra mondo del lavoro, operatori sanitari, ambientalisti e soprattutto società civile, a seguito della recrudescenza dei decessi per cancro.

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Fra le iniziative editoriali più recenti, quella di Loris Campetti che, per Manni Editore (Lecce, 2013, pag. 192), ha pubblicato “Ilva connection – Inchiesta sulla ragnatela di corruzioni, omissioni, colpevoli negligenze, sui Riva e le istituzioni.

Si tratta di una delicata indagine, che pure lancia uno sguardo fra il rabbioso e il compassionevole verso le persone che hanno subito danni da queste decennali emissioni letali. Si addentra nei meandri di un tessuto sociale fortemente provato e deteriorato, evidenziando le colpe di una pessima conduzione industriale, quella dei Riva, vocata all’esclusivo interesse familiare e al profitto senza scrupoli contro l’ambiente e la salute pubblica, sia dentro che fuori all’acciaieria. Gli interventi promessi per la bonifica sono stati elusi in maniera scellerata. Colpe di una classe dirigente e politica a più livelli, a danno di citttadini e territorio, della vita e dell’ambiente.

Il quartiere Tamburi è quello adiacente la fabbrica, quello che registra il maggior numero di casi di decesso, soprattutto di bambini. Ed è emblematico quanto scrive Campetti: “Per capire quel che succede a Taranto conviene farsi un giro al cimitero di San Brunore, proprio qui a Tamburi. Le cappelle funerarie rivolte verso i parchi minerari sono tutte tinteggiate di rosa. Non è per una scelta stilistica, ma perché se anche fossero state tinteggiate di bianco sarebbero comunque rosa per colpa delle polveri di ferro trasportate dal maestrale”.

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Una poetica del quotidiano e la cronaca minuta si alternano in una suggestione di vita, fra rabbia ed impotenza. Come quella dell’allevatore Vincenzo Fornaro, “rimasto senza gregge perché i suoi armenti sono stati avvelenati dalla diossina e dalle polveri dell’Ilva, il cui famigerato camino E312 proietta la sua ombra sinistra in una campagna dove il pascolo è stato vietato. Sono a rischio incenerimento anche le prelibate cozze del Mar Piccolo, di cui il miticoltore Egidio D’Ippolito canta le meraviglie. Delle cozze pelose, quelle rarità del mare che nobilitano la tavola e intorbidano la moralità di taluni politici pugliesi, neanche a parlarne perché crescono in colonie, nei fondali del Mar Piccolo, dove per decenni si sono depositati i metalli pesanti, residui malsani di tutte le stagioni dell’industrializzazione tarantina, dall’Arsenale all’acciaio.”

Il lavoro senza la sicurezza e la salubrità non è un diritto ma una maledizione. Questa è l’amara conclusione di una vicenda ignobile, atteso che chi fa impresa ha certo il diritto di garantirsi gli utili, ma è pur vero che i profitti non possono essere accumulati a danno di chi lavora e della intera collettività che ne ha fatto le spese con tumori, malattie respiratorie e cardiache. Il confronto (e il triste binomio) rimane aperto, come una piaga senza suture, fra aule giudiziarie e Statuto dei lavoratori. E intanto le cappelle funerarie rimangono tinteggiate di rosa.

Armando Lostaglio

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PRESENTAZIONE DELL’EDITORE:

Di Loris Campetti,

Ilva connection. Inchiesta sulla ragnatela di corruzioni, omissioni, colpevoli negligenze, sui Riva e le istituzioni

(Manni editore, Lecce 2013, pp. 192, € 14.00)

«I diritti sociali costano, certo, ma il prezzo economico da pagare se non vengono rispettati è ancora maggiore»

Stefano Rodotà

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Lo stabilimento più grande d’Europa grava come un macigno sulla città dei due mari, la fa vivere e la fa morire. Si muore in fabbrica precipitando al suolo dopo un volo di quindici metri, oppure di tumore. Si muore a Tamburi dove il maestrale soffia diossina e altre polveri cancerogene.

Taranto ha rimosso troppo a lungo i rischi connessi alla presenza dell’Ilva fino a quando la magistratura non ha ordinato arresti e sequestrato gli impianti. È venuto così a galla il “sistema Riva”, un impasto di paternalismo e autoritarismo, che ha corrotto l’ambiente e le coscienze di tanta parte della politica, delle istituzioni, della società, della Chiesa, del sindacato.

Operai, sindacalisti, cittadini, ambientalisti, magistrati, amministratori, scienziati raccontano in questo reportage le loro paure: è ancora possibile la presenza dell’Ilva in una città di 200.000 abitanti? È giusto dover scegliere tra salute e lavoro?

Campetti scava nel profondo attraverso i documenti e le testimonianze, inserendo il siderurgico di Taranto nel quadro complessivo delle attività del gruppo Riva, i padroni del ferro in Italia.

Per ordinare il libro sul web. Il sito di Manni Editori:

http://www.mannieditori.it/libro/ilva-connection

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Armando Lostaglio
ARMANDO LOSTAGLIO iscritto all'Ordine dei Giornalisti di Basilicata; fondatore del CineClub Vittorio De Sica - Cinit di Rionero in Vulture nel 1994 con oltre 150 iscritti; promotore di altri cinecircoli Cinit, e di mostre di cinema per scuole, carceri, centri anziani; autore di testi di cinema: Sequenze (La Nuova del Sud, 2006); Schermi Riflessi (EditricErmes, 2011); autore dei docufilm: Albe dentro l'imbrunire (2012); Il genio contro - Guy Debord e il cinema nell'avangardia (2013); La strada meno battura - a cavallo sulla Via Herculia (2014); Il cinema e il Blues (2016); Il cinema e il brigantaggio (2017). Collaboratore di riviste e giornali: La Nuova del Sud, e web Altritaliani (Parigi), Cabiria, Francavillainforma; Tg7 Basilicata.

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