La Costituzione italiana e “Le droit d’inventaire”.

Consegnate dai « saggi » le proposte di riforma della Carta Costituzionale, c’è da chiedersi cosa abbia funzionato e cosa meno nell’esperienza del sistema politico italiano. Domande a cui bisogna cercare risposte forti e rapide, come sul tema della laicità, tenendo conto dell’attuale crisi di fiducia dei cittadini nell’attuale assetto della politica nostrana.


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Sarebbe giusto e corretto, al posto degli inutili e dispendiosi girotondi buoni solo a fungere da momentaneo contenitore di una comprensibile delusione politica e conseguente rabbia, accendere “le droit d’inventaire”, il diritto di inventario, per vedere cio’ che ha funzionanto e cio’ che non ha funzionato della Costituzione: non serve a nulla dire: “la più bella del mondo”. Occorre il coraggio di fare l’inventario sull’assetto istituzionale e sul modello elettorale. Non si finisce mai di rimarcare “la grande anomalie italienne”: non disporre, come avviene nella maggior parte dei paesi europei, di un assetto istituzionale e di un modello elettorale che, nell’assoluto e prioritario rispetto degli elettori e delle elettrici consenta loro di poter scegliere chiaramente al momento, e solo al momento del voto, tra due schieramenti politici alternativi: ad esempio, come avvenuto il 4 maggio 2012 in Francia, tra socialisti e conservatori, tra François Hollande e Nicolas Sarkozy, o in Germania dove il 22 settembre i tedeschi sceglieranno tra la conservatrice Angela Merkel e il socialdemocratico Peer Steinbruk.

Dal 1948, quando la Costituzione vide la luce, dopo una lunga e per nulla pacifica partitura, ad oggi, l’Italia è il solo paese europeo “bloccato” e “paralizzato” per essere stato, ininterrottamente, governato per più di trent’anni dalla Dc che, di volta in volta, ha, a seconda delle convenienze e degli equilibri interni, scelto: il centro, il centro-destra, il centro-sinistra con l’appoggio esterno del Psi, il centro-sinistra organico con il Psi al governo, i monocolori di solidarietà nazionale con l’astensione del Pci, fino al pentapartito a guida socialista. Dal ’48 al crollo del Muro di Berlino e Tangentopoli, in Italia non ha mai visto la luce, questa è l’amarissima verità, un governo « progressista » o « laburista » che dir si voglia, guidato da una colazione delle sinistre!

Poi dal 1994 sostituendo la Dc con Silvio Berlusconi, che sbaraglio’ la “gioiosa macchina da guerra” di Achille Occhetto, la litania, frutto amaro del provincialismo tutto italiano, è proseguita: alle vittorie del centro-destra di Berlusconi ha risposto per due volte di misura, il centro-sinistra di Romano Prodi, un coacervo rissoso di partiti e partitini, che ha dato pessima prova di saper governare essendo durato appena venti mesi, cadauno! Anche l’attuale governo delle “larghe intese” – una prassi inaugurata in Italia da Palmiro Togliatti con il ‘governissimo’ di Pietro Badoglio nel 1944 – di Enrico Letta, un rampollo democristiano, che altro è se non la prosecuzione dei governi a guida Dc con un’imbiancata di “rosso” ormai sbiandito?

“Le droit d’inventaire” s’impone, non è piu’ dilazionabile. E s’impone a maggior ragione in presenza delle “inframmettenze” quotidiane del Papa e della Chiesa nella politica e quindi nella direzione dello Stato per effetto dell’articolo 7 con cui nella Costituzione del ’48 sono stati recepiti i Patti Lateranensi del ’29 tra la Chiesa e il Duce: il Concordato con cui la prima legittimo’ il Regime fascista e il secondo riconobbe la Religione Cattolica come Religione di Stato.

Ma su quest’articolo è calato da tempo un vergognoso e persistente silenzio a sinistra! L’esatto contrario di quanto avviene, ad esempio, in Francia dove la separazione tra Chiesa e Stato è stata ribadita, con naturalezza, nella “Charte de laïcité” del Ministro della Pubblica Istruzione, Vincent Peillon: liberté, égalité, laicité. Se si vuole Peillon in epoca moderna ha applicato quanto Antonio Gramsci scriveva nei suoi ‘Quaderni del carcere’ definendo il Concordato “la capitolazione dello Stato” per regalare alla Chiesa il monopolio dell’educazione scolastica ed universitaria, in una parola la cultura!

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Invece degli inutili e dispendiosi girotondi pilotati da vecchi e bolliti « maîtres à penser » come il filosofo « sessantottino » Paolo Flores D’Arcais, abile a stilare appelli in difesa della Costituzione “più bella del mondo”, che ovunque sia approdato, Pci, Psi, Rete di Orlando, Idv, Pd, ha solo distrutto senza costruire nulla, sarebbe più istruttivo e saggio rileggere la posizione assunta dal Partito d’Azione in seno all’Assemblea Costituente, quando si tratto’ di scegliere l’assetto istituzionale della Repubblica, su cui si sarebbe giocato il rapporto tra governanti e governati.

“[…] La nuova Costituzione […] dovrà essere il meno possibile una dichiarazione di principi generali […] Importa assai di più che […] dia alla Repubblica i modi e le forme di funzionare […] il sistema della Repubblica Parlamentare si risolve inevitabilmente in una pratica parlamentaristica, pratica che rappresenta la forma tipica di degenerazione, da cui le democrazie di tipo occidentale devono guardarsi come dalla morte […] Gli Stati moderni sono caratterizzati da tre fenomeni: il primo di questo è il crescente interventismo dello Stato; il secondo, il prevalere dell’elemento permanente (burocrazia ed esercito) rispetto all’elemento elettivo (Parlamento), il terzo invece l’affermarsi dei grandi partiti organizzati detti ‘di massa’ e il conseguente spostarsi in larga misura della lotta politica dal Parlamento all’interno dei partiti e del potere politico dal governo alle direzioni dei partiti. […] Il corpo elettorale è chiamato a scegliere sui programmi dei diversi partiti e a dare il voto al programma di questo o quell’altro partito; ma non ha avuto agio di potersi pronunciare sul programma di governo; per quanto si sapesse fin da prima che non un governo di partito si sarebbe avuto, ma un governo di coalizione. Giustamente, anche se oscuramente, il popolo sente di essere stato defraudato e in qualche caso ingannato e traduce questa sua protesta nella sfiducia verso i partiti e nel disinteresse per la politica […] Vediamo invece cosa avviene nella Repubblica Presidenziale ove, è bene ricordarlo, il Presidente della Repubblica influenza l’esercizio del potere sullo stesso tempo Capo del Governo e viene eletto direttamente a suffraggio universale, anziche’ eletto, per cosi’ dire in secondo grado dalla Camera dei Deputati (cioe’ dai partiti): gia’ in sede di elezioni il Presidente della Repubblica, appunto perche’ sara’ anche Capo del Governo, è costretto a presentarsi con un programma di governo: il compromesso programmatico non avverrà tra i diversi candidati alla presidenza e dopo le elezioni […] dunque il compromesso avverrà prima delle elezioni, fra alcuni partiti che […] si accordereranno per la candidatura di un uomo a cui sarà affidato un programma concordato […] Se si guarda al funzionamento della democrazia britannica, essa appare caratterizzata proprio dal fatto che alle elezioni il popolo vota per un governo già sostanzialmente precostituito […] Si dirà che questo puo’ accadere in Gran Bretagna perche’ cola’ esiste il sistema dei due partiti: ma quel che importa e’ ottenere gli stessi risultati riconosciuti utili anche dove il sistema dei due partiti non esiste, cio’ che si puo’ avere, appunto, con il sistema della Repubblica Presidenziale. Senza contare che il funzionamento dell’istituto condurrebbe anche da noi, se non al sistema puro dei due partiti, a un sistema analogo determinando quei vasti raggruppamenti di partiti in un solo organismo a carattere unitario o federativo […] condizioni queste primordiali se si vuole costruire l’edificio solido di una democrazia moderna e non fermarsi ad erigere una facciata magari adorna di solenni quanto simboliche dichiarazioni di diritti, ma dietro la quale persistano il malcostume della dittatura irresponsabile o le consuetudini fiacche del decrepito parlamentarismo fascista”.

Ed e’ quanto successo e succede ancora: ossia l’occupazione permanente da parte del sistema dei partiti, la “partitocrazia”, dello Stato e dei suoi apparati: “la rivoluzione liberale” sognata e perseguita non solo dal Pd’A, ma da illustri liberali come Piero Gobetti, e da ‘socialisti liberali’ come i fratelli Rosselli, finanche da Gramsci che nutriva molti dubbi sull’efficacia del sistema parlamentare, andava in frantumi per l’asse di ferro dei tre maggiori partiti: Pci, Psi, Dc.
Paolo Flores d'Arcais

Ora certamente abbiamo sanciti nella Costituzione dei principi invidiabili: l’art. 1 “[..] Repubblica democratica fondata sul lavoro” o l’art.3, “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge […] E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la liberta” e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana, o l’art. 9 “[…] La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese” o il riconoscimento dei partiti e dei sindacati. Ma questi principi, purtroppo, sono restati sulla carta, non si sono mai realizzati. E di altri come l’art.7 non si parla nonostante sarebbe da abolire hic et nunc.

Per questo si pone “le droit d’inventaire”. Perchè questa insopportabile, incivile, indecorosa discrepanza tra quanto promesso – non a voce, ma per iscritto – e non è stato realizzato? Cos’è che non ha funzionato e non funziona ancora? Probabilmente, anzi certamente la causa principale sta in un assetto istituzionale, il sistema parlamentare, anacronistico ed improduttivo di “riforme” vere, quelle che in positivo incidono sulle condizioni di vita delle persone. E in un modello elettorale che priva l’elettore e l’elettrice di scegliere chiaramente assieme al candidato-premier il partito o la coalizione di riferimento.

Chi urla invocando la piazza non e’ al momento lo specialista Beppe Grillo ma il suo emulo Flores D’Arcais, con il seguito di intellettuali e scrittori, politici decapitati dal voto popolare e l’onnipresente Don Ciotti più, ironia della sorte, ‘Liberta’ e Giustizia’.

Costoro contestano il progetto di riforma avviato dal governo con la “deroga” all’art. 138, prevista al fine di rivedere le norme sulla struttura del Parlamento, sulla forma di governo e sull’impianto autonomistico, perchè temono possa venire stravolta la Costituzione “più bella del mondo”.

E’ questione eminentemente giuridica. Quindi, lasciando ai giuristi il compito e il dovere di giudicare se sia giusto o sbagliato, qui interessa affermare il principio del « droit d’inventaire », che è questione culturale, politica e storica insieme!

Rifacendoci cosi’ al dibattito in seno alla Costituente va ricordato un ordine del giorno assai significativo, del segretario della Commissione per la Costituente, il giurista Tomaso Pergassi, che recita: “La seconda sottocommissione […], ritenuto che né il tipo del governo presidenziale né quello del governo direttoriale risponderebbero alle condizioni della società italiana, si pronuncia per l’adozione del sistema parlamentare, da disciplinarsi, tuttavia, con dispositivi idonei a tutelare le esigenze di stabilita’ dell’azione di governo e ad evitare degenerazioni del parlamentarismo”.
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Alla luce di tale odg che già prevedeva di individuare “[…] dispositivi idonei a tutelare le esigenze di stabilità dell’azione di governo e ad evitare degenerazioni del parlamentarismo”, si puo’ avviare “le droit d’inventaire” per adeguare l’assetto istituzionale e il modello elettorale, con il superamento del Porcellum, ai sistemi più evoluti ed efficaci dei paesi europei: ad esempio, fermo restando il ruolo super partes del Presidente della Repubblica, si puo’ discutere del “semipresidenzialismo” alla francese con un modello elettorale che preveda per il primo turno il proporzionale con soglia di sbarramento del 5% e per il secondo turno un premio di maggioranza per il partito o la “coalizione” che arrivi al 40% dei voti. O, fermo restando il modello parlamentare, rafforzare i poteri del premier: avrebbe la fiducia della sola Camera con un numero ridotto rispetto agli attuali 630 e non del Senato, che diverrebbe la Camera delle Autonomie, ed il potere di nomina e revoca dei ministri. Inoltre, ci sarebbe l’istituto della sfiducia costruttiva, ossia l’obbligo di indicare una maggioranza alternativa.

Di proposte ne possono venire altre e di altro tipo: ma è innegabile che se vogliamo stare al passo con l’Europa dobbiamo rivedere cio’ che della Costituzione non ha funzionato e non funziona. E per far questo lavoro, che si chiama “riforma”, servono certe qualità specifiche: onestà, rigore, competenza, intelligenza e una biografia all’altezza della situazione, per saper costruire e non per distruggere.

Carlo Patrignani

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Carlo Patrignani
Carlo Patrignani vive a Roma. Laureato in Scienze Politiche con una tesi in Diritto del Lavoro, giornalista professionista (18.61987) presso l'Agi (Agenzia Giornalistica Italia) di Roma e collaboratore con riviste (Lavoro e Informazione di Gino Giugni), quotidiani (l'Avanti!) e settimanali (Rassegna Sindacale della Cgil). Autore di due libri 'Lombardi e il fenicottero' - L'Asino d'oro edizioni 2010 - e 'Diversamente ricchi' - Castelvecchi editore 2012. Oggi in proprio, freelance.

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