Venezia 70 – L’arbitro “fischia” l’inizio delle giornate degli autori.

Dopo l’apertura con la copia restaurata del sempre attuale “Le mani sulla città” di un sempre battagliero Francesco Rosi, ormai novantunenne, esordisce il festival, nella sezione delle giornate degli autori, con questo originale film di Paolo Zucca intitolato L’arbitro e che vede quale protagonista Stefano Accorsi.

Cruciani è un giovane arbitro che sta facendo una carriera folgorante ed ambisce ad arbitrare la finale della coppa dei campioni. Ma si lascia incastrare da una tangente e viene retrocesso ad arbitrare la terza categoria in una remota zona della Sardegna. Ironia della sorte, si troverà così non ad arbitrare la prestigiosa finale europea, ma la finale di uno scalcinato campionato tra le due squadre rivali da sempre, L’Atletico Pabarile e la squadra di Montecrastu, capitanata da Brai, un proprietario terriero arrogante e violento ….

La 70-esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia ha avuto inizio con una proiezione speciale de Le Giornate degli Autori. Una strepitosa opera prima di Paolo Zucca. Che espande a lungometraggio un suo corto, omonimo, del 2008, che ha vinto il David di Donatello e il Premio Speciale della Giuria a Clermont-Ferrand, il più importante festival del cortometraggio in Europa.

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“L’Arbitro” è un film davvero sorprendente. Molto divertente. A tratti spumeggiante ed irresistibile. Come hanno sottolineato i numerosi applausi a scena aperta della sala Perla del Lido, sorprendentemente stracolma di cronisti scalpitanti e vogliosi di dare fuoco alle polveri per l’inizio della settantesima edizione del festival di cinema più antico del mondo. Il buon giorno si vede dal mattino. Già la prima scena fa pregustare il taglio e lo stile : una cerimonia iniziatica dell’arbitro e dei suoi collaboratori prima di arbitrare un incontro importante. Nella quale i guardialinee usano vicendevolmente le bandierine come Re Artù usava la spada per nominare i suoi cavalieri.

Segue un turbinio di trovate. Di gag. Di esplosioni di sublimi grotteschi. Dalle comiche e visionarie coreografie degli allenamenti degli arbitri. All’allenatore cieco (degna di “Hollywood Ending”). Alla vecchietta sarda, con immancabile fazzolettone nero sul capo, che, nel mezzo di un corteo funebre, interrompe il pianto per formulare una raffinata teoria di tecnica calcistica con la quale affrontare il prossimo incontro.

Alla federazione internazionale che si chiama FEFA. Alla strategia calcistica sciorinata in una scena, da urlo, come l’ultima cena di Leonardo. Il tutto in un bianco e nero elegante, quasi pettinato, a cura di Patrizio Patrizi, che decontestualizza da qualsiasi riferimento geografico e temporale (mirabile la visione interna dello splendido stadio progettato da Renzo Piano per la città di Bari). Contrappuntato dalle belle e ritmate percussioni di Andrea Guerra. E con interpretazioni strepitose. Un esordio da non perdere.

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Completiamo con alcune frasi del film :

“Tutto quello che so della vita l’ho imparato dal calcio!”. (Citazione di Albert Camus, posta ad esergo iniziale).

“Oggi è la penultima giornata del girone di andata ed abbiamo ancora zero punti : forse c’è qualcosa che non va nella vostra impostazione strategica!”. (l’allenatore cieco Benito Urgu alla squadra del Pabarile) .

“Cosa c’è? Avete paura di un cavallo?
Del cavallo, forse, ma dell’asino certamente no!”. (Alessio Di Clemente e Jacopo Cullin).

“Matzutzi, ma tu giochi?
E a lei chi glielo ha detto?
Cammini come uno che sta per fare un cross da destra?”. (l’allenatore cieco Benito Urgu e Jacopo Cullin).

“Cane di spazzatura non morde!”. (Calciatore del Pabarile a proposito dell’allenatore del Montecrastu)

“Io non mi ricordo di te. Mio padre mi ha parlato di tuo padre. Come lo chiamavano, disgrazia?
Sfortuna!
Come mai non è tornato pure lui dall’Argentina?
Perché è morto!
Mi dispiace.
Gracias.
Pregos!”. (Geppi Cucciari e Jacopo Cullin).

“Mi dica un po’, signor Belinzas, scommetto che vuole garofani bianchi, come ogni mercoledì di ogni settimana di ogni mese per la tomba di sua moglie. Ma i fiori glieli prendeva anche da viva, oppure noi donne dobbiamo morire per avere dei fiori?!”. (Geppi Cucciari a Belinzas).

Catello Masullo

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