‘Fondamentalisti riluttanti’: i giovani turchi e gli alberi della discordia.

Può la lettera, genere di scrittura per antonomasia dedicato all’espressione dell’intimo, alla preghiera, allo sfogo, talvolta al monologo interiore, veicolare pubblicamente sentimenti di denuncia civile, di difesa di valori democratici, di richiesta programmatica di ascolto alle autorità politiche competenti? Quella che segue ne è una prova affermativa. Il caso turco sotto la penna dei ‘giovani turchi’.

Al Presidente della Repubblica della Turchia, R. T. Erdoğan

Turchia, 31 maggio 2013

«Mio caro primo Ministro, io non mi occupavo di politica. E allora come mai [**siamo scesi*] in piazza? Non certo per due alberi. [**Ci siamo ribellati*] dopo aver visto come ha attaccato all’alba quei ragazzi che stavano protestando in silenzio nelle loro tende. [**Siamo scesi*] in piazza perché non voglio che a mio figlio capiti lo stesso e perché vorrei che lui vivesse in un paese democratico[[C. B., direttore creativo di un’agenzia pubblicitaria a Istanbul, (in E. Şhafak, The Guardian, Monday 3 June 2013 18.30 BST, riportato in Internazionale, numero 1003 del 7/13 2013).]].

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Quando abbiamo iniziato a protestare contro l’abbattimento di 600 alberi, eravamo tante persone di religione e idee politiche diverse che manifestavano pacificamente. Leggevamo libri, cantavamo, ballavamo. Poi, alle 5 di mattina del 31 maggio, la polizia ci ha attaccato con i lacrimogeni. Non vedevo più niente, non respiravo, le nostre tende stavano bruciando. Ora più di 200 persone sono state ferite e la polizia usa bombe gas e getti d’aria compressa. [**Lei dice*] che siamo gruppi isolati di estremisti, ma non è così. Tutto il popolo è coinvolto! E tante donne[[M. A., studentessa a Istanbul (Fonte: blog in rete)]] : [**in teoria uomini e donne non sono mai state così uniti, anche se le tendenze conservatrici che non vedono di buon occhio la partecipazione femminile continuano a fare la loro parte.*]

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Noi abitanti di Istanbul amiamo il Taksim Gezi Park, con i suoi alberi monumentali. Per oltre un anno abbiamo cercato di dimostrare quanto fosse ingiusto distruggerlo. Taksim è la piazza “del cuore”, il simbolo della democrazia e del lavoro: è lì che organizziamo i festival e le manifestazioni. Ma il [**Suo*] governo se ne infischia. Lo stesso fa in tutto il Paese: rovina le coste, le foreste, gli spazi pubblici. Noi protestiamo contro il potere delle società idroelettriche e nucleari, contro le energie fossili, che stanno devastando le nostre bellezze. [**Volete*] costruire un terzo ponte in città, che prevede l’abbattimento di moltissimi alberi; [**avete*] in mente un terzo aeroporto e un progetto che stravolge il contesto naturale dalle coste del Mar Nero fino al distretto di Küçükçekmece. Quella [**Sua, Presidente*], è una logica distruttiva che mette a rischio cinema, teatri, centri culturali. È in gioco la storia della Turchia. Confesso che ho paura. Abito dall’altra parte di piazza Taksim e in questi giorni, per evitare di attraversarla, ho dormito in ufficio. Ho paura della polizia. Attacca chiunque, c’è un clima da guerra civile, molti miei amici sono rimasti feriti. La polizia sta arrestando gli avvocati che difendono i manifestanti: ne ha presi una ventina. [**Lei*] non cambia, ma siamo cambiati noi e non torneremo indietro[[N. K., fashion designer a Istanbul (ivi).]].

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[**[… ] Lei*] è al governo da 10 anni. All’inizio molti intellettuali e la maggior parte dei turchi [**La*] sostenevano. Poi ha progressivamente vietato l’uso dell’alcool, ha reso l’aborto impossibile, ha messo le forze dell’ordine ovunque, ha imprigionato un centinaio di giornalisti e migliaia di curdi e politici di sinistra. La violenza contro le donne è più che decuplicata. La comunità del filosofo Fethullah Gülen, che dice di voler un Islam ‘moderato’, influenza il sistema giudiziario: in realtà [**volete*] distruggere la laicità dello Stato. Per questo anch’io scendo in piazza. Ho visto gente picchiata selvaggiamente, inclusi anziani e bambini, con manganelli elettrici, spranghe, proiettili di plastica e veri. Una delle armi più aggressive sono i lacrimogeni. Ne lanciano a centinaia, alcuni con agenti chimici sconosciuti. Per fortuna internet ci permette di documentare tutto…[[C. Ç. C., ricercatrice a Istanbul (ib.).]] non posso sopportare, respirare diventa sempre più difficile, il futuro è ambiguo come un mare agitato, voglio essere ottimista, ma ci impediscono di avanzare, di esprimere i nostri sentimenti e le nostre idee liberamente, ma [**un fatto è sicuro*]: chi riflette un’energia negativa finisce con la sconfitta: la vita è come uno specchio che ti riflette i risultati dei peccati commessi. [[F. A., insegnante a Eskişehir (testimonianza raccolta personalmente).]]

[…] Ogni sera alle 21 usciamo e camminiamo per 3 ore, ci facciamo sentire. Chi sta in casa suona pentole dalle finestre. Nelle piazze ci sono persone di tutte le età, credenti a atei, gente di destra, di sinistra, nazionalisti, ragazze velate. È una reazione del popolo intero, non c’è un motivo per tutti, c’è un motivo diverso per ognuno. Chiediamo al governo di non intervenire nella vita quotidiana con continui divieti, di non disprezzarci, di rispettare il nostro fondatore Atatürk, di lasciare libera la stampa, di non divederci. [**Dovete*] smettere di usare la religione per sottometterci e per realizzare gli interessi personali di pochi[[E. S., guida turistica ad Ankara (ivi).]].

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[**Napoleone amava solo i suoi soldati, ai quali si mescolava e di cui esaltava la dedizione alla causa, la devozione assoluta al Capo, la lealtà in tempo di pace e l’eroismo sui campi di battaglia. Li incoraggiava con l’esempio, viveva tra loro, mangiava con loro, discuteva con loro le strategie. Aveva una parola di elogio per tutti, e a chi gli chiedeva come vincesse tante battaglie rispondeva: »Con i sogni dei miei soldati ». Ora, Presidente E., Lei li ama i miei studenti che manda a massacrare gli altri miei studenti? Lei, le strategie di fallimenti devastanti, le condivide con loro? Lei, in sintesi, vuole bene ai loro sogni di democrazia? Resistere.*]

Quello che oggi viviamo in Turchia non è una guerra. Questo secondo me è il popolo che si risveglia. Un governo che si rispetti non può scegliere al posto del popolo, ma deve guidarlo, aiutarlo e sostenerlo. I turchi pretendono che Lei, Primo Ministro, ascolti tutti, anche chi non ha votato per Lei. Ecco perché protestiamo e non molleremo[[B. C., avvocato a Istanbul (ib).]].

[**A presto,

F. R.*]

Chi ha scritto questa lettera? Si tratta di uno sfogo corale o singolo? Come va letta? Di seguito le chiavi interpretative che potrebbero far luce, svelandoli, gli indizi disseminati nel testo-collage.

LEGENDA:

  • I corsivi: segnalano l’inizio di un differente capoverso, ovvero l’’entrata’ nel corpo del testo di un nuovo scrivente. I loro nomi, apparsi su quotidiani, settimanali e social network (La Stampa, Internazionale e Facebook), sono riportati in nota con le iniziali. Proprio i social network hanno avuto un ruolo strategico nella propagazione in tempo reale delle notizie.

  • [**I caratteri azzurro*]: segnalano la mia personale intromissione sottoforma di aggiustamenti grammaticali e, talvolta ortografici, indispensabili per dare carattere di coerenza e continuità ai vari spezzoni di lettere ed email che ho cercato di incollare insieme in un unicum.

  • [**F. R.*] sono le iniziali, rese al plurale, di un titolo cinematografico del 2012 (cfr Il fondamentalista riluttante, diretto da Mira Nair e ambientato in parte in Pakistan).

La Turchia è in rivolta e i giovani turchi ne sono i protagonisti. Avvicinarsi all’argomento della ribellione al sistema presuppone coraggio, sangue e sudore; l’ispirazione parte proprio dai simboli della bandiera della Repubblica di Mustafa Kemal Atatürk: coraggiosa come la stella che le fa luce, rossa come il sangue versato per ottenerla, sudata come la falce che le consente di alimentarsi nel lavoro produttivo.

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Ho ritenuto inutile scrivere, ripetendole in prima persona, considerazioni che storici, politologi ed esperti hanno saputo dire più sagacemente e con più cognizione di causa. Diverso è il punto di vista allargato ai molti, a quanti davvero nelle piazze sono andati per manifestare il loro ‘esserci’; ai tanti giovani turchi che hanno rifiutato la visione passiva delle soap opere e hanno preteso di andare in onda, in tutti i sensi. Probabilmente non consapevoli fino in fondo di quanto, per fortuna, Taksim non sia già diventata stigmatizzazione di dispotismi e di regimi e di come sia possibile ancora ambire ad una qualità di vita ‘in casa propria’ senza emigrazioni di ripiego. A una improvvisazione alquanto disordinata dei cortei corrisponde per altro l’idea di disordine alla quale il mondo mediorientale ci ha abituati: colori dissonanti, rumori e moltitudini senza volto. E invece, per una volta, il corteo mi sembravano riconoscibili i singoli volti dei partecipanti.

La Turchia è in rivolta, pare, per una ‘manciata’ di alberi che dovrebbero lasciar posto ad un moderno centro commerciale. Eppure esistono alberi che rivestono, per la bellezza e la storia, più del valore economico che si può attribuire al peso del legno di cui sono fatti. E non mi riferisco soltanto ad un aspetto comprensibilmente emotivo in coloro che quell’albero lo hanno piantato, l’hanno curato e la cui presenza ha accompagnato lo svolgersi della propria vita e di quella dei propri cari. Ci sono alberi che diventano un simbolo, che incarnano, meglio «inradicano» (Tiziano Fratus ne La Stampa del 28/6/2013 chiarisce bene il concetto) qualcosa di profondo, tanto da diventare sinonimi del luogo. Si pensi ai baobab in Africa, al cipresso El Gigante nel cimitero di Santa Maria del Tule a Oaxaca, in Messico, visitato nel 1803 da Alexander von Humboldt e in epoca nostrana da Oliver Sacks, o alle sequoie millenarie della Sierra. L’albero è radicato nella terra ma rivolto con i suoi rami verso il cielo; l’albero è, come l’uomo stesso, un’immagine dell’essenza dei due mondi e della creatura che concilia l’alto con il basso (su/giù). È inoltre ben noto il significato tabù di certi alberi del paradiso biblico; per il Buddismo, non a caso, l’albero della Bodhi (Ficus religiosa), sotto il quale Budda ebbe l’illuminazione, rappresenta il grande risveglio[[H. Biedermann, Enciclopedia dei simboli, Garzanti editore, 1995, p. 15 e seguenti.]].

Un albero può nascere da diversi semi e su diverse ‘fondamenta’. I frutti potranno conservare in sé parte delle fondamenta e diventare così ‘fondamentalismi’, oppure essere commutati in altro, svilupparsi esaltando la loro parte migliore e più autentica.

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In ogni caso, tra motivi reali e motivi apparenti, il fatto è che la ‘minaccia’ dell’edificazione di un centro commerciale aveva causato una protesta con echi riscontrabili anche in terre storicamente nemiche della Turchia (Grecia e Balcani). Il progetto architettonico del Premier vedeva in campo la triangolazione tra un centro commerciale, una moschea e la ricostruzione di una caserma ottomana che avrebbe comportato anche un riavvicinamento storico con l’esercito, da sempre vicino alla corrente kemaliana. Di una certa rilevanza appare anche constatare che all’interno del Paese il Premier abbia importato evidenti simboli di filiazione occidentale, come centri commerciali e parchi spesa, mentre in Africa l’azione di marcare la presenza turca si sia concentrata sulla costruzione della seconda moschea più grande al mondo. Adiacenze interne all’edilizia urbana e verticalismi d’esportazione extraurbana (i minareti, considerati “baionette” dallo stesso Premier, dominano i territori in altezza).

Tra simboli e dietrologie resta un dato concreto: di qualche giorno la notizia che il tribunale di Istanbul ha annullato il progetto immobiliare considerato la pietra dello scandalo. Le foglie degli alberi si sono mosse, stimolate da venti buoni, ‘fondamentali’ per la rigenerazione. Un processo di fotosintesi clorofilliana di una società che, per alcuni aspetti, troppe volte è stata vittima di scarsa padronanza delle proprie radici.

Rosa Chiara Vitolo

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