Gianfranco Lauretano: lo spirito cristiano della poesia.

Se la poesia avesse una fede sarebbe quella di Gianfranco Lauretano che nell’azzardo della poesia si presenta, nella sua complessità di autore romagnolo che traccia con cura e amore indicibili i tratti più chiari e onesti della lirica contemporanea, nondimeno come autore cristiano facendo di questa sua dimensione il suo stile, il suo timbro, la sua stessa creatura poetica.

È nato il 19 febbraio 1962 a Sessa Aurunca, provincia di Caserta, da padre campano e madre romagnola. Eccetto i primi mesi di vita, non ha più vissuto al sud. Invece dai tre ai cinque anni ha abitato a Zurigo, in Svizzera, dove i genitori erano emigrati per lavoro. Lì ha frequentato un asilo di lingua tedesca. All’età di 6 anni è tornato in Italia, definitivamente a Cesena. Diplomato all’Istituto Magistrale “Carducci” di Forlimpopoli, ha frequentato la Facoltà di Lettere e Filosofia, Corso di Laurea in Lingue e letterature Straniere Moderne dell’Università di Bologna. Lingua quadriennale: russo. Seconde lingue: inglese e spagnolo.

Gianfranco Lauretano

Sposato nel 1993 con Sabina Zanelli, vive e lavora a Cesena, dove è docente di scuola primaria. Nel 1996 è nata la figlia Agnese. Sempre nel campo dell’insegnamento tiene, in qualità di relatore e direttore, corsi per docenti sulla Didattica della Poesia, di cui è esperto. Numerosi anche gli incontri coi ragazzi e i cicli sulla poesia e la scrittura creativa, dalla scuola primaria all’università.
Nel campo dell’editoria dirige la collana “Poesia contemporanea” e il trimestrale letterario “clanDestino” per la casa editrice Raffaelli di Rimini. È fondatore e direttore letterario della rivista di arte e letteratura “Graphie” (editore Il Vicolo, Cesena) e fa parte del comitato di redazione della rivista di critica e letteratura dialettale “Il parlar franco” (Pazzini Editore, Villa Verucchio, RN).

Ha pubblicato i volumi di poesia: La quarta lettera (Foum, Forlì, 1987); Preghiera nel corpo (NCE, Forlì 1997 – ristampa: Ellerani, San Vito al Tagliamento 2011); Ortus exitiosus (ora nel’antologia “Bona vox”, Jaca Book, Milano 2010); Occorreva che nascessi (Marietti, Milano 2004); Sonetti a Cesena (Il Vicolo, Cesena, 2007); Racconto della Riviera (Raffaelli, Rimini 2012).

Ha pubblicato il volume di prose liriche Diario finto (L’Obliquo, Brescia 2001). Sempre in prosa i volumi monografici La traccia di Cesare Pavese (Rizzoli, Milano 2008) e Incontri con Clemente Rebora (Rizzoli, Milano 2013); in collaborazione con il Touring Club Italiano, per conto della casa editrice Il Vicolo, ha scritto i volumi sulle città romagnole Cesena nello sguardo nella mente nel cuore (2010), Cesenatico nello sguardo nella mente nel cuore (2011), Milano Marittima nello sguardo nella mente nel cuore (2012).

Sue traduzioni dal portoghese e dal russo sono pubblicate su antologie e riviste e nel 2003 in volume, presso l’editore Raffaelli di Rimini, è uscito Il cavaliere di bronzo di Aleksandr S.Puškin. In uscita per le edizioni del Saggiatore la raccolta La pietra di Osip Mandel’štam. Svolge attività di critica letteraria su periodici e quotidiani. Ha curato, tra l’altro, il commento ai canti XXIX, XXXII e XXXIII del Purgatorio di Dante (Rizzoli, Milano 2001).

*****

Conosco Gianfranco Lauretano ormai da oltre quindici anni. Ho sempre pensato di lui che fosse un poeta vero, un poeta nell’anima e che amasse la poesia a tal punto da averla interiorizzata, da renderla parte della sua vita stessa, anche per la maniera di porgerla ai suoi lettori, ai suoi ascoltatori. Per un periodo di due anni ha frequentato, in qualità di curatore di un laboratorio di poesia, il gruppo del Laboratorio di Parole del Circolo La Fattoria di Bologna – curandone tra l’altro l’uscita della prima antologia dei poeti, nel 2002 – gruppo che allora anch’io frequentavo piuttosto attivamente. Ricordo molto bene il suo modo di parlare della poesia, il suo raccontarci degli autori, le sue osservazioni sui testi dei componimenti dei poeti del gruppo stesso. Una modalità semplice ed elegante, alta e umile al tempo stesso: un parlare franco e sentito che poche volte mi è capitato di ascoltare dalla voce di un poeta. Così, come lui dice in un suo testo, dal libro Occorreva che nascessi: «Le cose aspettano il mio innamoramento» credo che la poesia aspettasse il mio innamoramento, e che io mi sia innamorata definitivamente della poesia leggendo la sua e sentendo quanto amore scaturiva da quei versi, quanta gioia c’era nel suo scrivere in poesia.

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La raccolta Occorreva che nascessi porta una nota appassionata di Davide Rondoni (di cui abbiamo recentemente parlato) curatore, tra l’altro, della collana di poesia per la Marietti, dove viene sottolineato di come Lauretano sia un «poeta che non ha pudore a toccare temi e modi che sembravano banditi, o almeno sconsigliati, in quello che lui stesso ha definito il regno del “poetically correct”» in quanto – dice ancora Rondoni – «Nella sua lingua piana e pur densa […] appaiono la figlia Agnese, la moglie ragazza Sabrina, l’indignazione, l’eredità di fede, il lavorare quotidiano, i panorami non eccezionali. Ma appaiono […] senza chiedere il permesso alla letteratura, e vengono affidati alla poesia come a un gesto semplice e vitale perché essi hanno un valore positivo e infinito.»

La memoria delle cose che, nell’intenzione del poeta, è necessario conservare si inserisce dunque nella poetica di Lauretano facendo da filo conduttore a tutto il bellissimo libro con uno stile chiaro e pur tuttavia, deciso, energico tanto da farci riconoscere le persone, i luoghi, le immagini, i pensieri di cui parla, di cui ci vuol trasmettere, appunto la memoria.

Da Occorreva che nascessi (Marietti, 2004)

Ora che ti ho chiamato
sei venuta, per obbligo
ma io chiamavo l’inchiamabile
e sei qui lo stesso

come se tra mistero e prostituta
la differenza fosse il luogo
entrambi impossedibili

e io dove sono l’ho dimenticato
se non in te parola
simile a una merce
che appari e in quel momento
sei di un altro.

*****

Adesso sei nell’aria
notizia che s’incarna
regalo che ricambia
il bene che ho dato.

Tra questi muri-culla
dimorerà un destino
ricevo oggi un tempio
di braccia piccoline.

Sappi che sei attesa
e segno così bello
che temo che me stesso
per l’anima non degna.

*****

Vedi, occorreva che nascessi perché prima
c’era nel mondo un buco di parole
a chiederti così dolorosamente
da essere senza fiato né voce
da non sapere che eri tu
che giochi e ridi di nascosto
tu così, tu figlia
eri tu che non c’eri
in quel vuoto che non ricordo
tanto era assurdo
che non mi figuro più
come se fossi qui da sempre, tu che ci
sei sempre stata.

*****

Io sono cristiano, grido
unanime nella storia
bocca spalancata
a raccogliere il sacro

pane e indizio, domanda
che non si esaurisce
mai
.. sono cristiano, figlio
di una notizia sorprendente
di una nuova razza
non di terra e confini
di una buona grazia

del suo popolo dignitoso
e facente, sofferente
massacrato delle pianure
dal Nilo al Fiume Giallo
per fastidio del potere

io sono cristiano, lavoro
e non so cos’è la solitudine
i suoi premi perituri
un coro canta sempre
e mi prepara un posto.

*****

Ma ancora Lauretano ci sorprende e ci incanta con un racconto in poesia, dal titolo “Racconto della riviera” edito da Raffaelli nel 2012. Di seguito la mia recensione.

 “Racconto della Riviera” di Gianfranco Lauretano (Raffaelli)

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Con la poesia si può raccontare un fatto, una storia, un accadimento? Si può parlare di ciò che abbiamo visto succedere, di ciò che ci ha colpito come fosse una cronaca in versi ed elevare la narrazione tanto da portarla verso il sacro ? Evidentemente sì. Gianfranco Lauretano lo ha fatto, e in modo esemplare. Ha in fondo lanciato un messaggio, una sfida: guardate, poeti dal verso incomprensibile, dalla metafora oscura, dal significato che lascia incompiuto il suo ruolo, guardate come si racconta una storia in poesia. Con quale arte si possono trasmettere le immagini, disegnare i personaggi, descrivere le sensazioni, i colori, gli odori, la vita, la morte… con quale poesia, figlia dei nostri padri, nostra sorella di sangue si può imprimere nella mente un semplice ragazzo, Marco, e renderlo attraverso il suo calvario e la sua resurrezione, una figura cristologia.

E’ così: il protagonista di Racconto della Riviera fugge da un padre che non sente tale, quasi putativo; si butta nel branco, tra la gente, ma se ne estranea, li guarda quei suoi compagni come dall’alto di un’altra dimensione e in fondo li accetta, senza giudicarli; sa riconoscere il bello, ciò che lo avvicina al divino e lo sente suo ma, prima di raggiungere quello stato di grazia, dovrà avere la sua crocifissione, per poi tornare di nuovo dal padre. Intanto, intorno a lui la vita scorre come sempre, il tempo non ci pensa neanche a fermarsi, la notte si alterna al giorno, la discoteca allo jogging, la birra alla droga, le parole alle botte… Cambiano i miti, invece, non ce n’è più uno che duri un po’ a lungo, che lasci un reperto, una scia sulla terra da seguire, un rifugio sicuro. Tutto è veloce e crudele, neanche l’amore sopporta quel ritmo, si ritira, si annulla, si fa da parte per non disturbare. E la poesia lo raccoglie e lo racconta, tutto questo. Si mette in gioco per cantare ancora una volta coi suoi legami di assonanze, con le parole che crea come nuove ciò che sente dell’uomo. Questa volta tocca al branco, allo spazio di cui si appropria nella vita di un Marco qualunque, di questo Marco che subisce,che soffre, che muore dentro per rinascere una mattina.

Ma i versi di Lauretano, se pure raccontano un fatto, non si limitano a descriverlo estraniandosi dall’evento, come se in questo teatro di strada il poeta fosse un attore – descrittore di metodo brechtiano, non propongono una realtà come mero accadimento, lasciando che il lettore giudichi la situazione secondo i dati rappresentati. Lauretano non ce la fa a non essere partecipe di ciò che mostra, le sue emozioni sono forti, toccano il lettore e, aristotelicamente, gli propongono la catarsi finale dove l’immedesimazione nel protagonista consente, attraverso il suo desiderio di salvezza, di avere una possibilità di scelta.

Riuscita la partitura del testo nei titoli lapidari: Partenza, Branco, Chiara…, Amore e morte, Musica!, Un mare di guerra, Sogno e non sogno. I titoli, infatti, segnano la scansione e il ritmo di questa breve ma intensissima raccolta, di questo poemetto incalzante che rende conto delle problematiche dell’adolescenza, ma che rende giustizia alla mente umana, a quei giovani che sanno fermarsi al momento giusto. Perché non è vero, e non è stato mai vero, che “i giovani sono tutti uguali” come si sente dire da un certo paternalismo esasperato.

La poesia, per fortuna, sa dire anche questo e lo dice, quella di Lauretano in particolare, usando al tempo stesso toni forti e pacati, crudeli ma sinceri, costruendo parole che si fanno significato, oltre che significante, e che amplificano quel significato per mostrarsi portatrici di realtà senza moralismi, di comprensione senza pietismi. Per offrire con l’arte più antica del mondo, una via di fuga, come spiegano semplicemente i versi finali:

[…]qualcosa si è rotto, qualcosa
di infernale che non fa paura
una mano buona tiene
fermo il cuore, l’ha capito
ciò che è stato non va via
andrà a casa a mangiare
a casa a riposare a lavorare
e chissà magari sulla porta
con la faccia preoccupata
e gli occhi grandi, amabili
che aveva, certo, aveva
suo padre lo sta aspettando.

Cinzia Demi

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Cinzia Demi
Cinzia Demi (Piombino - LI), lavora e vive a Bologna, dove ha conseguito la Laurea Magistrale in Italianistica. E’ operatrice culturale, poeta, scrittrice e saggista. Dirige insieme a Giancarlo Pontiggia la Collana di poesia under 40 Kleide per le Edizioni Minerva (Bologna). Cura per Altritaliani la rubrica “Missione poesia”. Tra le pubblicazioni: Incontriamoci all’Inferno. Parodia di fatti e personaggi della Divina Commedia di Dante Alighieri (Pendragon, 2007); Il tratto che ci unisce (Prova d’Autore, 2009); Incontri e Incantamenti (Raffaelli, 2012); Ero Maddalena e Maria e Gabriele. L’accoglienza delle madri (Puntoacapo , 2013 e 2015); Nel nome del mare (Carteggi Letterari, 2017). Ha curato diverse antologie, tra cui “Ritratti di Poeta” con oltre ottanta articoli di saggistica sulla poesia contemporanea (Puntooacapo, 2019). Suoi testi sono stati tradotti in inglese, rumeno, francese. E’ caporedattore della Rivista Trimestale Menabò (Terra d’Ulivi Edizioni). Tra gli artisti con cui ha lavorato figurano: Raoul Grassilli, Ivano Marescotti, Diego Bragonzi Bignami, Daniele Marchesini. E’ curatrice di eventi culturali, il più noto è “Un thè con la poesia”, ciclo di incontri con autori di poesia contemporanea, presso il Grand Hotel Majestic di Bologna.

1 COMMENTAIRE

  1. Ho letto con il piacere che da’ leggere scritti ricchi di due elementi fondamentali: la concretezza informativa: impari e conosci, e la comunione fra scrittura alta elargita e raro tocco emotivamente vivo. Non esiste piu’ uno spazio dell’arte letteraria poetica, che non conosca il tocco di Cinzia Demi come raramente, forse mai, si spenda in qualità di strumento partecipe di diffusione, passionale e obiettiva.
    Le qualita’ di Gianfranco Lauretano vengono velate per chi non segue da vicino i suoi passi, daĺl’incredibile modestia, non saprei usare altro termine, che lo caratterizza. Ha uno spessore che la scrittura di Cinzia evidenzia, ma che lui stesso non ha fatto nulla per rendere pubblico, addirittura conosciuto. Le sue posizioni dirigenziali in diverse realtà di rilievo culturale, restano intime, al punto da consentire talvolta il dubbio sulla posizione rispetto all’editore, che invece emerge, forse per l’impegno che ha con istituzioni ed evidenza pubblica.
    Grande poeta Lauretano, sguardo di zaffiro, attivita’ di area vasta, parco ad esporsi… Altri lo devono quasi scoprire…e Cinzia lo fa molto bene.

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