Il balcone sul cortile di Antonio Pallottino: l’ansia di nuova luce.

“Se fare poesia oggi è pronunciare ancora il proprio appello alla differenza, di fronte alla universa intercambiabilità in cui è scivolato il mondo dei significati. Se fare poesia significa collocarsi nel linguaggio come colui che non si lascia annullare dalla tendenza onnivora della omologazione, pur nella consapevolezza che ciò gli costerà l’esilio dal tuo tempo. Insomma se fare poesia significa vivere la stessa crisi della ragion d’essere della poesia, ebbene Pallottino è uno scrittore che ha scelto di stare al centro stesso del problema e del tormento che la poesia vive al giorno d’oggi. La sua inattualità e la crisi della sua ragion d’essere”.

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E’ questo l’incipit dell’articolata prefazione che Luigi D’Amato dedica all’ultima pubblicazione poetica di Antonio Pallottino, (la quinta), dal titolo “Il balcone sul cortile” (EditricErmes, pagg. 131, 2013). Non è di facile acquisizione, va detto subito: è una silloge di non semplice impatto, va approfondita, taluni versi sedimentati e ripresi. Perché non è poesia, o non è poesia soltanto. E’ un andirivieni nel trascorso di noi stessi. Nel portentoso verso di Pallottino si annusa un fondo di abisso. E’ brivido vorace e, nel contempo, risale un’ansia di luce nuova. E’ vertigine, è intrusione in un’anima che cerca e ricerca. E’ solitudine e vuoto. E’ amore e odio: condizione umana che deriva da inevitabili vicende, cui proviene quel senso di vuoto, e la poesia, solo essa, sa restituire all’autore slancio e passione nuova. Poesia che ci lascia cadere in labirintici emicicli, e per incanto ci accompagna, come un Virgilio moderno, la critica dotta quanto evoluta di Luigi d’Amato.

Nelle quasi 30 pagine di prefazione, è capace di interagire con i versi (mai ampollosi e ridondanti), al punto da offrire una raffinata ri-esposizione di essi, in un sussulto di coinvolgimento totale, che, in prosa, manifesta una ben più recondita ed approfondita conoscenza dell’autore. C’è bellezza nei versi di Pallottino, c’è assimilazione di avanguardia, riflessi emotivi; c’è il luogo delle origini: il Vulture, rivisitato come in una ascesi dell’anima; e c’è candore e saggezza; inquietudine e sovversione; canto (lirico) e disincanto (anarchia). Si avverte pure, qua e là, la sua professione (di fede) verso la filosofia, sua materia di lunghi anni di insegnamento. E poi la nostalgia raccontata al suo caro amico di sempre, Pasquale Santoro. Moti interiori che l’autore sa convogliare e contagiare ad un lettore non disattento verso quanto ci gira intorno. Echi lontani da Leopardi a Sereni, al “Discanto” di Fossati, fino ai bagliori di una coscienza nuova, perché – scrive – “…ai ritorni le derive ha negato / con l’arma Ti odio di un amore mai tradito / del vano amore di lingue mute io t’amo / così si conviene / al Cielo”.

Armando Lostaglio

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Armando Lostaglio
ARMANDO LOSTAGLIO iscritto all'Ordine dei Giornalisti di Basilicata; fondatore del CineClub Vittorio De Sica - Cinit di Rionero in Vulture nel 1994 con oltre 150 iscritti; promotore di altri cinecircoli Cinit, e di mostre di cinema per scuole, carceri, centri anziani; autore di testi di cinema: Sequenze (La Nuova del Sud, 2006); Schermi Riflessi (EditricErmes, 2011); autore dei docufilm: Albe dentro l'imbrunire (2012); Il genio contro - Guy Debord e il cinema nell'avangardia (2013); La strada meno battura - a cavallo sulla Via Herculia (2014); Il cinema e il Blues (2016); Il cinema e il brigantaggio (2017). Collaboratore di riviste e giornali: La Nuova del Sud, e web Altritaliani (Parigi), Cabiria, Francavillainforma; Tg7 Basilicata.