Il PD dei giovani leoni.

Il dibattito nel PD, il bisogno di riformare tutta la politica. Oggi tocca al PD, ma presto potrebbe toccare agli altri. Decisioni difficili, drammatiche, nelle ore in cui si deve dare un governo al paese. Ma il futuro di un paese sempre più vecchio è nei tanti giovani che si stanno affacciando alla politica. Giovani leoni di cui sentiremo parlare spesso.

Mentre il PD sembra in ginocchio in un crescendo di rancori e colpi bassi, nel Friuli Venezia Giulia, la giovanissima democratica Debora Serracchiani vinceva, a questo punto contro ogni pronostico, l’elezioni regionali. Elezioni che registravano, per la cronaca, la perdita del 14% dei voti per i grillini. Un dato che suona emblematico.

Un’apparente contraddizione che dimostra quale errore sarebbe, per il centrosinistra, la dissoluzione del Partito Democratico. Un partito certamente che ha bisogno di chiarire alcune cose al suo interno.

In un partito che per statuto non riconosce le correnti vi sono nell’ordine:

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I “bersaniani” che fanno capo all’uscente segretario Bersani e che comprendono fra gli altri la portavoce Alessandra Moretti il lucano presidente del gruppo alla Camera Roberto Speranza Vasco Errani, nonché l’area detta dei “giovani turchi” tra cui l’economista bocconiano Stefano Fassina e Matteo Orfini.

Poi c’è Andrea Orlando che è un “turco” ma oggi più vicino alla corrente dei “dalemiani” (quelli di D’Alema) tra cui vi sono Latorre, Marco Minniti ed altri.

I “prodiani” sono storici avversari dei “dalemiani” ed hanno alla loro testa Rosy Bindi ma anche Sandro Gozzi, Margherita Miotto.

I “dalemiani” hanno buoni rapporti con i “popolari” altra corrente di area cattolica ex DC, di cui fanno parte Franco Marini e Beppe Fioroni ma è bene ricordare che anche Franceschini e la Bindi, nonché Letta, tra gli altri, sono di origine democristiana.

Ma Letta ha una sua corrente i “lettiani” di cui fanno parte Francesco Boccia, De Micheli e Alessia Mosca.

Anche Francescini ha una sua corrente: “areadem” di cui fanno parte il capogruppo al Senato Zanda nonché l’ex presidente della regione Piemonte Bresso, Marina Sereni spesso in TV a difendere le ragioni del PD.

Poi ci sono i “Veltroniani”, che fanno capo a Walter Veltroni; tra di loro Verini e Giorgio Tonini.

Ancora la “nuova sinistra” è una corrente, vi fa parte l’economista Fabrizio Barca già del governo Monti, figlio del partigiano Luciano e con lui, fra gli altri, l’ex rottamatore Peppe Civati tra quelli che ha spinto di più sul nome di Rodotà per la presidenza della repubblica. Laura Puppato già candidata alle primarie, Cofferati, nonché il sindaco di Bari Michele Emiliani.

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Ed eccoci ai “Renziani” vicini al sindaco di Firenze, Gentiloni ma anche il presidente dell’ANCI, Graziano Del Rio che molti vedrebbero come successore di Bersani nella conduzione del PD, Simona Bonafé già portavoce di Renzi nelle primarie, Dario Nardella.

La neoeletta presidente della regione Friuli Debora Serracchiani si tiene fuori dalle correnti, ma sembra molto vicina ai temi di svolta proposti da Matteo Renzi.
Ha senso vietare le correnti quando nei fatti sono cosi numerose?

L’esistenza di correnti non va demonizzata, specie in un partito che affonda le sue origini oltre che nel PCI, nella democraziacristiana che seppe fare della sintesi tra le correnti la sua arma in più. Il problema è che queste correnti vanno appunto sintetizzate in una visione comune, in un progetto comune di società che si fondi su valori nuovi ed adeguati a questi tempi di modernismo liquido. Occorre una sintesi, non scacciare via le correnti che soccombono nelle fasi congressuali, altrimenti si innesca un gioco alla highlander dove alla fine ne resterà uno solo o meglio nessuno.
Peraltro, senza invocare il centralismo democratico, occorrerebbe almeno una democrazia interna responsabile.

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In cui una volta presa una decisione all’unanimità o a maggioranza, non si puo’ fare una gara a smentirla e distruggerla. E questo ad onor del vero va detto in particolare a quei rappresentanti del PD che non sono stati coerenti e corretti come in occasione del voto per Prodi, dove alle acclamazioni e al voto unanime nella riunione di gruppo, hanno fatto seguito 101 francotiratori che hanno affossato il fondatore dell’Ulivo. Una scelta gravissima, perché quella candidatura era, lo dico con pragmatismo, la migliore e più naturale per il PD, data l’esperienza non solo in materia economica, ma anche la competenza internazionale, specie in chiave europea del professore. Il quale avrebbe peraltro ben avrebbe potuto nominare come capo del governo Rodotà.

A quel punto sarebbero stato interessante comprendere la reazione dei grillini che sarebbero stati posti di fronte al dilemma di un accordo con il centrosinistra, oppure smentire l’amore per il grande giurista, che nelle loro presidenziali aveva avuto appena quattromilaseicento voti.

Questo accresce l’amarezza per gli errori di Bersani che ha tuttavia ignorato, in subordine a Prodi, la possibile candidatura dell’ex presidente del PDS, Stefano Rodotà.

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Credo che nel PD nessuno voglia un governo con Berlusconi, ma a meno che non si voglia essere irresponsabili e distruttivi come i grillini che avendo la meravigliosa possibilità di governare con il centrosinistra, imponendo quello che volevano ad un Bersani che avrebbe comunque accettato pur di evitare il cavaliere, hanno rinunciato chiudendo la porta a questa possibilità.

Francamente al PD si chiede un sacrificio immenso, che dal di fuori noi di Altritaliani possiamo capire bene avendo sempre avversato il berlusconismo. Ma questo è il risultato elettorale. L’assurdo del tripolarismo, in un sistema che sognava di essere maggioritario. E’ il risultato di un’incapacita politica che per venti anni ha consentito un’anomalia (quella berlusconiana) che non sarebbe stata possibile in nessun paese occidentale. Un’anomalia che ha allontanato la politica sempre di più dalla società e dalla realtà.

Ormai, non c’è più tempo per ragionamenti snobistici e ipocriti, un governo bisognerà pur farlo, e si impone. Non fosse altro che per dare ossigeno alle imprese, garantire un sostegno economico ai cassaintegrati e agli esodati, per fare una legge elettorale che eviti futuri impasse, per dare almeno un segnale virtuoso di tagli alla politica, riducendo i parlamentari, magari abolendo le provincie, abolendo (sarebbe ora) il finanziamente pubblico ai partiti, costringendoli a dichiarare tutti i finanziamenti ricevuti e sottoponendo al controllo della Corte dei Conti i loro bilanci; trasformare il bicameralismo (direi rigido) più che perfetto che attualmente abbiamo.
Sento proposte, anche renziane, di riforma costituzionale per trasformare la nostra costituzione in forma presidenziale con l’elezione diretta del Presidente. E’ una cosa che non mi convince e su cui bisognerà tornare più nello specifico. Il vero punto ma vale per tutti i partiti è la necessità di una riforma della politica. Un rinnovamento negli ideali ma anche negli uomini per avviare finalmente questa terza repubblica che appare sempre prossima ma mai raggiunta, una diabolica chimera che si lascia sempre intravedere, ma mai cogliere.

La presenza nel PD di tanti giovani che dimostrano energie, idee e proposte impone, con le mille contraddizioni e difficoltà del metodo democratico, la necessita di dare spazio a questo cambiamento.

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Il punto, come è stato rilevato da diversi politologi, è che paradossalmente, il partito meno personalizzato che è fuori dalle logiche proprietarie e populiste di Berlusconi e Grillo, è il partito che sta soffrendo di più. Tuttavia, la mia convinzione è che da tante sofferenze il PD, se saprà tenere duro sul suo metodo, cresciuto negli anni con le primarie e le consultazioni frequenti del proprio popolo, accrescendo l’uso della web, ma non nel modo fasullo di Grillo, ma come uno strumento di confronto d’idee, se saprà cogliere il suo rinnovamento anche nelle periferie del territorio, il PD non potrà che uscirne rafforzato. In tal senso sarebbe bene anche un atteggiamento più attendista, un contributo più di dialogo delle altre componenti del Centrosinistra.

Perché un Vendola che l’altro ieri proponeva, mischiamoci al PD ed oggi, si sfila, alla prima (sua) delusione, proponendosi di rifondare l’8 maggio la sinistra in aperta rottura con il PD, non è normale.

Occorrono quindi regole e razionalità politica sia nell’alleanza del centrosinistra sia all’interno del PD. Meglio accettare l’esistenza trasparente di correnti, ma al contempo stabilire anche che l’adesione ad un partito in democrazia non puo’ essere utile solo a dare spazio alle proprie tesi e convinzioni, come se fossero avulse da qualsivoglia sintesi. Le decisioni prese, discusse, vanno poi condivise anche se non sempre questa condivisione è semplice e leggera. La storia insegna che nei partiti l’abilità delle minoranze interne alle formazioni politiche, è proprio nel non contraddire sempre quanto deciso dalla maggioranza, ma nel lavoro interno per modificare e migliorare nel tempo quelle idee.

Un processo dialettico di formazione delle idee che serve a dare solidità ad una forza politica.

Questa è la democrazia, non quella di Gherardo Colombo, l’ex magistrato, che in modo paradossale e offensivo vuole chiedere le tessera del PD per strapparla, manifestando cosi il suo “vanitoso” dissenso.

Come dice proprio Bersani, essere soggetto politico impone avere una colonna vertebrale, che permetta di restare impiedi in un sistema di regole che va accettato anche quando le decisioni non coincidono con quelle desiderate. Solo cosi un partito democratico di fatto, e non solo di nome, puo’ costruire la sua storia.

Avremo tempo di riflettere sui difficili e a volte contradditori ideali dei partiti italiani e dello stesso PD, in una fase cosi complessa della storia politica italiana. Ma sento che uno dei temi forti del rilancio della politica deve essere l’opposizione e la proposta contro l’attuale politica liquida che sembra premiare i populismi piuttosto che i cittadini e la democrazia.

E’ evidente che con questi numeri in un sistema malsano e tripolare, diventa una scelta obbligata fare un governo e se i grillini che potevano non hanno voluto compiere l’atto di generosità, di avviare il cambiamento in Italia per chiudere l’epoca del berlusconismo, oltretutto avendo la possibilità di realizzare punti programmatici da loro proposti, questa generosità (è duro dirlo) spetterà al PD e (ripeto è duro dirlo) al PDL con Monti, che paradossalmente sono gli unici che stanno dimostrando sostanza politica e interesse alla difesa dei cittadini italiani.

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Si dirà che Berlusconi ha altri scopi. Ne sono convinto. Ma la realtà è tale che la scelta è obbligata. E sia chiaro è veramente infame prendersela con Napolitano, dopo essere andati a scongiurarlo di ritornare al Quirinale.

Ora dire che non si puo’ fare è utopia. Perché l’alternativa è votare con questo sistema elettorale, la cui responsabilità è di tutti questi partiti, che non hanno saputo ancora riformarsi.

Tutto il resto è demagogia vana ed inutile, un parlottare radical chic, sulla pelle di italiani che soffrono davvero.

Nello stesso tempo si avvia la riforma del PD, dove detto della normalità delle correnti, che oltretutto evitano di pedere componenti che sono patrimonio storico del partito, detto che non è più possibile procedere per l’accoltellamento dei dirigenti (prima Veltroni, poi Franceschini e Bersani, passando per il duello rusticano D’Alema vs. Prodi), visto che non tutti hanno la lealtà di Renzi che le sue battaglie le fa all’interno ma alla luce del giorno, restando in ogni caso al servizio del partito qualunque sia la linea vincente, occorre un sistema di responsabilizzazione delle scelte del partito.

Va detto che evidentemente il PD è più esposto a queste crisi, ma viva iddio il PD è un partito democratico e non ha padroni come quello di Berlusconi o di Grillo.

Partiti quelli dove finanche la democrazia è solo un annuncio, visto che poi le scelte esplicitamente o attraverso l’uso truffaldino del web sono prese solo da Grillo e Casaleggio. Da un punto di vista etico, potrà non piacere quello che dico, è meglio Berlusconi che almeno “onestamente” dimostra di essere il padrone senza fare finta che le sue siano scelte condivise.

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E’ il populismo. Quello si un cancro della politica. A cui si aggiunge oggi un becero populismo della rete, fatta d’insulti, di proposte demagogiche, di strategie al limite dell’eversivo. Di castronerie come quelle di Grillo che in 24 ore passa dal Golpe di Napolitano, al golpettino a di nuovo al golpe. Dove bastano un centinaio di persone che tifano Rodotà ( a cui va tutta la mia simpatia) o un centinaio di fascisti di Casa Pound, adunati dalla rete in piazza a gridare, un migliaio di urla su twitter per mettere in crisi linee e scelte politiche.

Questa non è democrazia, questa è schizofrenia.

I partiti dovrebbero essere portatori di idee, progetti ma anche di un’etica. La politica deve fondarsi su radici solide storiche e su una tradizione culturale altrettanto solida. Sull’acqua tranne le palafitte non si costruisce nulla, se non paranoie populiste che in altri tempi ma temo anche nei tempi attuali alla lunga possono portare a violenze, ad un clima da guerra civile a tentazioni golpiste…..ma vere non quelle inventate da Grillo.

Dovremo e lo faremo aprire un dibattito su Altritaliani su come riformare la politica italiana, quali strategie per avere dei partiti rappresentativi eliminando le anomalie che hanno ammalando il nostro sistema.

(nelle foto dall’alto in basso: Alessandra Moretti, Simona Bonafé, Matteo Orfini, Roberto Speranza, Debora Serracchiani, Matteo Renzi, Peppe Civati)

Nicola Guarino

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Nicola Guarino
Nicola Guarino, nato ad Avellino nel 1958, ma sin dall’infanzia ha vissuto a Napoli. Giornalista, già collaboratore de L'Unità e della rivista Nord/Sud, avvocato, direttore di festival cinematografici ed esperto di linguaggio cinematografico. Oggi insegna alla Sorbona presso la facoltà di lingua e letteratura, fa parte del dipartimento di filologia romanza presso l'Università di Parigi 12 a Créteil. Attualmente vive a Parigi. E’ socio fondatore di Altritaliani.

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