E ritornammo a riveder le stelle: due ap-punti sul Movimento5S.

Ma Grillo è l’antipolitica? Gli M5S sono il cambiamento, il nuovo? Perché il successo di Grillo? Si proietta una visione religiosa della democrazia. Democrazia partecipata e via i partiti, un po’ come dire credo in Dio ma non nell’apparato ecclesiastico.

Al barbuto Beppe Grillo si deve riconoscere un merito: è riuscito a far parlare di sé almeno ai livelli del Cavaliere più in forma. Arricchire il quadro delle opinioni sembra difficile. Il motto di La Rochefoucauld: «se ne parli bene o male, l’importante è che se ne parli», ha spinto persino chi generalmente si occupa di altro a prendere carta e penna e a interrogarsi sugli scenari post-voto. Le modalità grilline attivate nell’agone (o agonia?) elettorale hanno convinto tutti a documentarsi, a uscire da quella condizione di ignoranza bollata dallo stesso garante del Movimento pappa per deficienti (dummies). Il suggerimento ad uscire dalle tenebre della notte dei morti viventi è allettante.

Ho iniziato dunque il mio processo di risalita verso le stelle non dal blog, ma dai libri: Borcio e Natale, Tarchi, Sartori, Mortati, Mill [[Politica a 5 stelle di R. Borcio e P. Natale, Feltrinelli, 2013; L’Italia populista. Dal qualunquismo ai girotondi di M. Tarchi, Il Mulino, 2003; La democrazia in trenta lezioni, di G. Sartori, Mondadori, 2008; Forme di Stato e forme di governo: nuovi studi sul pensiero di Costantino Mortati, a cura di Mario Galizia, 2007, Giuffrè; Saggio sulla libertà di S. Mill, Il Saggiatore, 2009.]]. Paradossalmente, «quando si hanno dubbi interpretativi, si coltivano dietrologie, o semplicemente si avverte la necessità di chiarimenti»[[Dal blog di Grillo (www.beppegrillo.it)]], le cose che si vorrebbero facili e lampanti diventano più complesse e articolate. E allora le urla e i coccoloni da poli-comico di Grillo eccitano di meno. Gli interrogativi si diffondono pandemicamente: Grillo come nuovo volto dell’antipolitica? L’unica speranza di cambiare l’Italia? La boutade di un comico miliardario? Un insieme di persone finalmente serie e oneste unite dalla rete?

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Di Politica, quella con la P maiuscola, quando ero piccola sentivo parlare a tavola dopo pranzi luculliani. Fumando, si discuteva di cose serie e si autorizzavano i più piccoli a far confusione lontano da lì. Come se la cosa pubblica non ci riguardasse; come se si trattasse di un sistema molto distante da quel piatto di fusilli messo a tavola a saziare tutti. Ora che quel piatto ricco è definitivamente diventato povero, se non vuoto, lei, la Sig.ra Politica, sembra accessibile a tutti. Un processo di sublimazione del fusillo o, come gli esperti amano chiamarla con acribìa tecnica, la nascita della democrazia a partecipazione diretta? Di pari passo al crescente interesse dei cittadini per gli avvicendamenti di palazzo Montecitorio aumentano anche mistificazioni e semplificazioni delle azioni degli eletti.

La Politica, lo ripeto, non si improvvisa in una cascata di impropèri ad effetto, ma si costruisce con analisi multi-prospettiche e capacità di bilanciare “pesi” diversi con misure omogenee. Necessità di strutture di pensiero e di capacità di convertire il concetto in atto fruibile dai più. Lontana dalla natura volatile e momentanea del fuoco d’artificio, anche nella protesta dovrebbe mirare ad una rilevanza futuribile.

Una delle risposte più naturali al successo di Grillo è che evidentemente gli italiani sono in sofferenza. Tuttavia, una conclusione del genere non regge da sola la significatività del risultato ottenuto. C’è la concomitanza della protesta contro la classe politica tradizionale, specchio che rimanda da tempo immagini sempre più remote al senso comune. C’è il terrore di non poter più attingere al contributo familiare, alla casa familiare, ad un futuro familiare. C’è la minaccia della fine delle risorse naturali e l’arretramento biancorossoverde nello scacchiere europeo. Si ha fame atavica di cambiamento, di verità, di stabilità, di giustizia e di moralità senza dubbio. Ma per essere più pantagruelici e meno filosofi, direi che si ha fame nel senso letterale di brontolìo dello stomaco. Questo affaire di stato forse ci farà arrossire, perché da italiani ammirati (e ora emigrati) all’estero, tendiamo a disconoscere volgari urgenze di sopravvivenza, in netto contrasto con l’immagine edulcorata che rimandiamo al mondo.

Un popolo di santi, poeti, navigatori, eroi e depositari della ricetta della dolce vita e del buon gusto. Il bisogno e la difficoltà, si sa, portano l’uomo a ingegnarsi o a delinquere. Politica e corruzione hanno goduto in patria per troppo tempo di sinonimìa e ora sembrerebbe arrivato il loro V-day. L’humus di proliferazione del fenomeno Grillo è innaffiato proprio da queste urgenze di svecchiamento del guardaroba politico e di intolleranza alle consuetudini della Politiké technè. Niente da obiettare fin qui.

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Un catalogo ap-puntito ridotto all’osso potrebbe però mettere in discussione l’originalità della formazione grillina risultata vincente lo scorso febbraio:

Il M5S è anti-politico: inesatto. Se si affronta il problema dell’antipoliticità pensando soltanto alla mancanza di appoggio di una scuola di partito d’annata e di ordini di scuderia che una tessera cartacea può dare al suo iscritto (tra l’altro qui rappresentati per esempio nell’arma dell’espulsione), si limita l’orizzonte di analisi. Grillo, al contrario, è fortemente politico nella ricerca del consenso (con buona pace di Berlusconi). Chiodo e martello sono i suoi attrezzi linguistici: frasi semplici sintonizzate sulle corde del malcontento. Emotività a livelli esasperati, dissacrazione fisica di quanto ritenuto intoccabile al pari della Madonna e di Napolitano. Grillo dice di voler fare un’irruzione ecologicamente corretta in bicicletta rinunciando all’auto blu; è politico nella misura in cui insinua che non c’è più spazio per i tempi sbollentati della comunicazione tradizionale alla Ugo La Malfa. Sull’onda liquida della rabbia che ci portiamo dentro incide il segno e dà una lettura parziale dei fatti e non soltanto perché ha il fiatone. La gente è ritornata a casa dai comizi con in bocca slogan semplici: «Tutti a casa», «Acqua pubblica», «Assegno di cittadinanza». Missione compiuta. Il comizio di piazza ricalca mutatis mutandis format già sperimentati anche all’estero (Piraten &Co.). Atti eroici come le bracciate nello Stretto di Messina richiamano alla memoria happening quasi dannunziani. Il tradimento del déjà vu non è però soltanto nella lingua o nel gesto simbolico.

Grillo scàlpita per la democrazia partecipata, ma anche per l’abolizione definitiva dei partiti. Un po’ come dire «credo in Dio, ma non nell’apparato ecclesiastico». Delle due l’una? I rami (partiti) di un albero (Stato) sono il filtro tra il terreno (società dei cittadini) e le foglie (uomini eletti a rappresentanza). Le radici (tradizioni) servono a ricordare l’anno di semina dell’albero. Uscendo dalla metafora, l’organizzazione strutturale dello Stato in partiti è base indispensabile per qualsiasi gestione politica democratica. D’altra parte, le forme di Stato e le forme di Governo hanno un senso solo se esprimono democrazia. Ne consegue che i partiti sono lo strumento per la democrazia. Il vero megafono in filodiffusione. I “contenitori” istituzionali, dalla giunta comunale alla Commissione europea, sono ancora i tupperware necessari per includere ordinatamente gli ingredienti della volontà dal basso. La gestione entropica del caos improvvisata non funziona (da mai). Grillo farebbe bene a riconoscerlo quanto prima, visto che il suo è, a tutti gli effetti, il primo partito della Repubblica Italiana.

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Il M5S è anti-televisivo: inesatto. Beppe Grillo non si è concesso volontariamente alle emittenti televisive italiane, ma siamo riusciti a portarcelo noi. La fatwa contro i talk show ha sortito un effetto transfer, lo spostamento di campo, dal piccolo schermo (tv) al piccolissimo schermo (rete). Dei due media ha scelto quello che striscia meglio sotto le nostre dita, infiltrato speciale tra musica e videogames. Da buon interprete “dell’aria che tira”, ha capito che anche la tv tradizionale, quella che vede la tavola rotonda con gli esperti emeriti è in via di estinzione. È roba da paleolitico che stufa, mette l’ascoltatore in una condizione di inferiorità insopportabile. I neuroni specchio e l’amigdala presenti nel cervello si attivano in modalità non empatica. La rete invece potenzia come uno stupefacente la nostra aspirazione al contenzioso, alla parolaccia (anche sottoscritta), all’esposizione -seppur filtrata dal grande moderatore nascosto (GF)-, globale. Cosa c’è di più tele (a distanza) visivo (che si vede) di questo? Il Movimento è stampellato da un media, il re dei media, internet: funziona perché non è diverso dalle modalità di apertura al mondo alle quali l’elettore maschio (sui 35 anni, con media istruzione, storicamente vicino alla sinistra estrema, principale supporter del M5S) è aduso. Grillo dovrebbe ammetterlo.

Mi sembra doverosa sul finale qualche precisazione. Non mi metto sulla strada di quanti vedono in Grillo un futuro dittatore alla Hitler. Attribuire etichette che screditino il personaggio non ci rende molto diversi da quanti usano lo schema del frame inglobante o escludente per manipolare le informazioni. Nemmeno l’idea del cambiamento di rotta rispetto alla filosofia del programma dovuto alla presa di potere mi vede sostenitrice. Molto semplicemente, Grillo non convince nelle modalità di cambiamento proposte di cui anche io, ovviamente, ho sete. L’Italia è vulnerabile e preda facile per diversi cacciatori. I movimenti sovversivi, di qualsiasi bandiera e colore politico, attecchiscono laddove stagna una crisi. Il terreno è frolloso e si presta meglio alle concimazioni perché crea dei buchi, dei vuoti. È lì che è più visibile la confusione dei cittadini; è lì che si ripete l’ennesimo copione tutto italiano della scelta del meno peggio.

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Movimento e crisi, curiosamente, hanno una certa affinità semantica: spostamento e cambiamento. Ci muoviamo per trasformarci e per rinascere con nuove albe (non dorate), a condizione che il ruolino di marcia e il condottiero siano ben presenti nell’immaginario collettivo. Io voglio l’Uomo (politico). Il presentabile senza ma e senza se. Proprio la mia incapacità di envisager un Uomo e un Futuro sostenibile mi frena negli entusiasmi grillini da rottura con il precedente: la sovranità italiana va difesa senza dimenticare che siamo uno dei tupperware all’interno del contenitore europeo. Il lungo elastico con ai poli sussidiarietà e democraticità mi pare sia ancora l’indirizzo di un buon governo. Il matrimonio d’amore e di fiducia tra governo di maggioranza (e non di tre minoranze come quello attuale) e cittadino che vota deve essere ricostituito, non tanto per salvare la faccia oltreconfine, ma per riprendere un processo identitario faticosamente iniziato con tutt’altro Movimento, quello comunale del XIII secolo.

Guglielmo Giannini (1891-1960) ne «L’uomo qualunque» del 1946, si premura di far sapere che il movimento politico che è sul punto di costituire agirà in forme del tutto diverse da quelle che contraddistinguono i concorrenti: darà prova di «formidabili dimostrazioni di potenza senza uscire di casa», rimarrà un fenomeno di opinione senza concedere spazi a burocrazie e gerarchie interne (ma, si intuisce, a dirigerlo sarà lui solo), crescerà su basi spontanee e ultrademocratiche. Grillo sarà anche autenticamente votato a risanare l’Italia senza metterci la faccia (anche se la sua faccia è la prima cosa che viene in mente pensando al M5S), ma ha dietro di sé vari esperimenti perlopiù fallimentari. Non troppo originale dunque.

«Ritorniamo a riveder le stelle» non c’entra niente con l’Alighieri. È un invito accorato ad una revisione di fattibilità di appoggi e veti nelle già traballanti consultazioni che stanno per prendere il via.

R. Chiara Vitolo

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