La Tragicomica classe politica italiana

Provo a riflettere dopo la lettura de “Il Tragicomico Beppe Grillo” di Nicola Guarino nel tentativo di fare chiarezza su fenomeni che, da un ventennio e più, funestano il nostro sfortunato Paese, vittima incolpevole delle furberie, nel migliore dei casi, di una classe politica, si fa per dire, che ha avuto la capacità e la forza di snaturare il ruolo di quello strumento essenziale ed indispensabile per far funzionare correttamente la democrazia e che è il partito politico.

Se il destino dell’Italia e dell’Europa è nelle mani di Grillo e Casalegno non l’ha deciso la maggioranza degli italiani, bensì una classe politica, nessuno escluso, con modalità diverse di comportamento da soggetto a soggetto.

Tutto questo perchè sono decenni che lo strumento “partito politico”, sancito dall’articolo 49 della Costituzione, è in crisi dove pare che nessuno voglia accorgersene e prenderne atto.

Provo a ripercorrerne la storia brevemente.

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Era l’inizio degli anni Ottanta e da più parti ed a più voci si diede inizio ad una discussione interessante per certi aspetti sulla crisi delle ideologie, dove si attribuiva gran parte delle colpe dei mali del Belpaese alla disaffezione delle istanze che sottendono alla vita ed all’azione dei vari organismi politici.

Dall’alto del suo magistero non si sottrasse al confronto Norberto Bobbio, il quale pose quale premessa la distinzione delle ideologie in rigide ed elastiche, legando le prime ai totalitarismi ed ai principi negatori delle libertà, mentre le seconde a regimi autenticamente democratici, chiarendo che solo le prime possono andare in crisi, mentre per le seconde si poteva parlare di disaffezione che mai potrebbe produrre crisi in quanto portatrici di valori indelebili ed universali.

La verità consisteva nel fatto che ad andare in crisi all’inizio di quegli anni era il partito politico, privato oramai della malta (principi ispiratori e fondanti) in grado di tenere insieme gli uomini che ad esso si rifacevano.

Ma, a ben riflettere, la crisi del partito politico è datata molto più indietro negli anni. Una ricerca effettuata con Salvatore Prisco sul ruolo dei tre Presidenti napoletani della Repubblica, De Nicola, Leone e Napolitano che sarà pubblicata a fine anno, conferma che proprio con l’insediamento di Giovanni Leone al Quirinale, la giovane Repubblica italiana cominciava a dare i primi segni di cedimento: l’inizio della crisi economica, a seguire gli anni di piombo con l’assassinio di Aldo Moro fino a Tangentopoli.

L’avvento di Berlusconi è la logica conseguenza della gestione folle e pura del potere di una classe politica incapace di scontare e leggere il futuro.con azioni e scelte adeguate. Era la logica di un populismo di segno opposto a quello berlusconiano d’oggi che ha portato al grillismo. Ma le colpe non appartengono solo a Berlusconi. Tutti, nessuno escluso, hanno contribuito a badare ai propri interessi, ignorando, ancora una volta e a distanza di vent’anni, che la macchina istituzionale e politica, ormai in disuso, andava ammodernata.

Ecco perchè ( il fenomeno?) Grillo, tragicomico, è da attibuira alla classe politica dell’ultimo “Ventennio” e non agli italiani.

ILLUSTRATION FOR TIME BY JONATHAN BURTON

Nell’articolo “Le democrazie improprie” pubblicato su Altritaliani nell’ottobre dell’anno scorso, se da un lato ribadivo il concetto che la peggiore delle democrazie è preferibile alla migliore delle dittature, dall’altro citando Bukowski mettevo in guardia dal pericolo che è facile far passare per democrazia un regime che calpesta molte volte i principi di una sana democrazia con atteggiamenti che hanno solo la parvenza di una democrazia ma che in sostanza denotano contorni e contenuti di malcelata dittatura.

Un tragicomico al potere? Mi auguro che sia il primo e l’ultimo e che venga rimandato da dove proviene al più presto. Ma sarebbe un’autentica sciagura pensare che possa arrivarne un altro, e questa volta al Quirinale, quel Dario Fo al quale non so per quali meriti e qualità l’Accademia di Svezia abbia attribuito il Nobel della letteratura.

Caro Nicola,

la ricetta è una, e facilmente declinabile, se i responsabili lo vogliono. Che il partito politico ritorni all’antico ruolo di collante tra società civile e società politica, prendendo atto una volta per tutte che la politica è un servizio e non uno strumento per gonfiare il portafogli, soprattutto im modo illecito.

La buonauscita ai vari Fini, di Pietro e quanti sono rimasti appiedati non l’hanno decretato Grillo e Casalegno, come pure vitalizi stratosferici ad ex politici o sapientini pronti ad ogni evenienza che occupano poltrone di sottogoverno, vedi Finmeccanica, buoni per ogni emergenza dai trasporti alla gestione bancaria, dalla cultura ad altre amenità che una classe politica autoreferente è stata in grado di mettere all’inpiedi, ad onta di buona parte di italiani che non in grado di coniugare il pranzo con la cena.

Con l’affetto di sempre.

Raffaele Bussi

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Raffaele Bussi
Raffaele Bussi è nato a Castellammare di Stabia. Giornalista, scrittore e saggista, collabora con importanti quotidiani e periodici nazionali. Ha collaborato a "Nord e Sud", "Ragionamenti", e successivamente a "Meridione. Sud e Nord del Mondo", rivista fondata e diretta da Guido D'Agostino. E' stato direttore editoriale della rivista "Artepresente". Collabora al portale parigino "Altritaliani" e alla rivista "La Civiltà Cattolica". Ha pubblicato "L'Utopia possibile", Vite di Striscio", "Il fotografo e la Città", "Il Signore in bianco", "Santuari", "Le lune del Tirreno", "I picari di Maffeo" (Premio Capri 2013 per la critica letteraria), "All'ombra dell'isola azzurra", romanzo tradotto in lingua russa per i tipi dell'editore Aleteya, "Ulisse e il cappellaio cieco" (2019). Per Marcianum Press ha pubblicato: "Michele T. (2020, Premio Sele d'Oro Mezzoggiorno), "Chaos" (2021), "L'estasi di Chiara" (2022), "Servi e Satrapi" (2023).

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