Le “gouache” napoletane. Testimonianze del Grand Tour.

Nelle gallerie di Palazzo Zevallos Stigliano, via Toledo, a Napoli e nel Museo di San Martino la collezione Alisio. Dipinti, schizzi, bozzetti, acquerelli e gouache una preziosa documentazione sul vedutismo europeo della scuola pittorica napoletana da non perdere.

Numerosi i turisti nella città di Partenope, baciata dal bel tempo. Non solo pastori e presepi come nei giorni delle feste natalizie. Folte schiere di stranieri, giunti in città, per scoprire o riscoprire anche luoghi e siti sulle orme di illustri personaggi che sul finire del diciassettesimo secolo, rampolli di famiglie aristocratiche inglesi (ma anche francesi, russi…), destinati a carriere diplomatiche e scrittori affermati, arrivavano nel nostro Bel Paese per arricchire le proprie conoscenze.

Pietro Fabris, Il venditore di cocomeri
Pietro Fabris, Il venditore di cocomeri

Prima tappa Parigi per perfezionare il francese, lingua ricercata dell’epoca. Sosta obbligata del Gran Tour, com’era chiamato l’avventuroso viaggio a cavallo o in carrozza che durava settimane, era Napoli, terza metropoli d’Europa, città ospitale e con la presenza di Sir William Hamilton, rappresentante di sua Maestà Britannica presso il Regno di Napoli, appassionato di archeologia, precursore di vulcanologia, collezionista di opere d’arte e autore di molti dipinti con paesaggi, ruderi. Strenuo sostenitore dei primi scavi di Pompei ed Ercolano. Le cronache dell’epoca riportano la notizia del suo matrimonio con Emma Lyon, lui sessanta anni, la moglie ventisei, che ben presto diviene amante dell’ammiraglio Horatio Nelson, relazione alla quale Sir William non si oppose.

Pietro Fabris, Vista di Napoli 1776-1779
Pietro Fabris, Veduta di Napoli 1776-1779

Testimonianze di quei viaggi le gouache. Patrimonio, gelosamente custodito nelle gallerie di Palazzo Zevallos Stigliano, la ricca raccolta del Banco di Napoli e nel Museo di San Martino la collezione Alisio, un centinaio tra dipinti, schizzi, bozzetti, acquerelli e gouache che costituiscono una preziosa documentazione del vedutismo europeo in cui la scuola pittorica napoletana ebbe un ruolo di primo piano.

Pennellate rapide e decise per l’essiccamento veloce del colore su tavolette, tela inamidata e pezzi di carta per ricordare e mostrare ad amici e parenti Naples and the Vesuvius. I monumenti, l’eruzione del Vesuvio, il panorama, le prime casuali scoperte degli scavi, sotto Carlo III di Borbone, di Pompei, Ercolano. Le gouache, massima espressione artistica e culturale dell’epoca hanno fatto la storia del vedutismo napoletano e sono presenti anche in molti musei italiani e stranieri.

Filippo Hackert, Il porto di Napoli
Filippo Hackert, Il porto di Napoli

Nome illustre di questa tecnica, Filippo Hackert giunto in Italia alla corte di Ferdinando IV di Borbone. Il teutonico Hackert, pittore e incisore, insegnò l’arte della pittura di paesaggio a Johann Wolfgang von Goethe impegnato a sua volta a scrivere il famoso diario di Viaggio in Italia (1828). Una targa in Via Atri 23 ne ricorda la visita a Napoli. Hackert considerato, il padre delle “gouaches napolitaines” nonostante avesse avuto in città illustri predecessori (l’inglese Pietro Fabris, il francese Pierre Jacques Volaire), seguito da altri grandi pittori come D’Anna, Della Gatta, Fergola.

Pierre Jacques Volaire (1729-1799) - Foto di Omega - Flickr
Pierre Jacques Volaire (1729-1799) – Foto di Omega – Flickr

La gouache è il nome della tecnica pittorica, un quadro dipinto con acquerello alla gouache, parola francese derivata dall’italiano “guazzo” o guàdo. La tavolozza delle gouache è formata da poca acqua addensata con otto colori: nero d’avorio, blu cobalto, terra d’ombra naturale, terra di Siena bruciata, rosso cadmio, verde smeraldo, giallo Napoli od ocra giallo bianco di zinco. Colori stemperati, collanti vegetali, pigmenti; un intruglio misterioso che ogni autore di questo genere mantiene segreto. Visto da una certa distanza il quadro somiglia ad una pittura ad olio. Pur non trattandosi di una scuola d’applicazione il procedimento ha visto nel Novecento l’interesse di Picasso, Moore, Sutherland, Ben Shahn e si diffuse nella produzione dei cartelloni pubblicitari ed è tuttora utilizzato per scenografie e decalcomanie.

Saverio Della Gatta, Il ritorno di Maria Carolina dalla Sicilia a Napoli (1799)
Saverio Della Gatta, Il ritorno di Maria Carolina dalla Sicilia a Napoli (1799)

L’espressione “Gran Tour” si deve alla prima guida turistica di Richard Lassels “Italian Voyage (1670) – The Grand Tour of France and the Giro of Italy” e per aver avuto da sempre l’Italia e la Campania in particolare, un patrimonio inestimabile di monumenti, raccolte d’arte e paesaggi invidiati e osannati da illustri personaggi come Montesquieu, Goethe, Lamartine, Stendhal fino a Charles Dickens nel suo viaggio a Napoli (1845). La Rivoluzione francese e Napoleone dopo sconsigliarono ai rampolli inglesi di intraprendere avventurosi viaggi sul continente.

Ora con i moderni mezzi di trasporto torna in auge il Gran Tour con visite guidate alle chiese, ai musei, alle isole, ai Campi Flegrei, Pompei, Ercolano, Vesuvio, costiera amalfitana e Paestum.

Mario Carillo

Le sale di Palazzo Zevallos Stigliano

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Mario Carillo
Mario Carillo, iscritto all’ordine dei giornalisti della Campania. Prime esperienze alla Redazione napoletana del Giornale d’Italia di Roma, Agenzia Radiostampa, Agenzia NEA, collaboratore fisso da Napoli per il Secolo XIX di Genova, collaboratore del giornale Il Roma di Napoli, Il Gazzettino, Il Brigante, Albatros magazine, Altritaliani.net di Parigi, responsabile napolinews.org, socio Giornalisti Europei, Argacampania (giornalisti esperti agroalimentare).

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