Stefano Benni e il bancomat parlante: relazioni monetarie moderne.

Su cosa si fondano le relazioni economiche oggi? In che rapporto sono moralità e debito? L’impulso alla spesa come modus di incidere nel futuro accelerando il presente. Ne « L’ultima lacrima« , Benni fa luce sulla dinamica uomo-bancomat (nel racconto «Mio fratello bancomat») e precipita verso un finale sorprendentemente umano.

Il signor Piero, un giorno come tanti, fa una sosta, come tante, al bancomat dietro casa. E scopre di essere diventato ricco. Si è arricchito speculando senza saperlo sul suo stesso dramma. La moglie lo ha lasciato “a tradimento” e ha spostato tutti i soldi del conto in comune su quelli dell’amante, ma niente è perduto. Forse sembrerà il solito triangolo amoroso con il “cornuto” che rischia di soccombere, ma se si considera che il bancomat in questione ha una precisa coscienza politica e una morale che permettono il recupero di un bottino in favore del poverino
[[ «[parla il bancomat umanizzato] So distinguere le operazioni che mi passano dentro. Un conto poco pulito, quello del Dottor Vanini. Per lui mi sono collegato con certi computer svizzeri che sono delle vere centrali segrete…che schifo.», S. Benni, L’ultima lacrima, Feltrinelli, Milano, 1994.]]
– di gran lunga più generoso di quello perso-, il triangolo diventa un casting eterogeneo allargato ad un interprete robotico: lo sportello bancario.

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Benni, bolognese, intellettuale con più di un asso nella manica artistica, dà vita a questo tipo di personaggi in una raccolta di ventisette racconti (L’ultima lacrima, 1994), tra cui spicca la storia del signor piero dal titolo: «Mio fratello bancomat».

In realtà, dietro la godibilità dei racconti assurdi e divertenti, istantanee sui nostri giorni allucinanti, si cela uno stile in cui l’ironia gioca un ruolo preponderante. Benni usa vari cannocchiali attraverso cui guarda la realtà odierna; lenti graduate che la distorcono a volte fino a creare dei mostri, che però non sono così diversi da quelli con cui, in piena volontà, abbiamo deciso di convivere.

L’uso del plurale di prima persona mi sembra di immediata condivisione e immedesimazione per il lettore: l’interrogazione del conto è ormai un’azione che potremmo includere nella lista dei verbi riflessivi appartenenti a quel lessico frequente declinato per indicare le attività quotidiane (svegliarsi, lavarsi i denti, vestirsi, recarsi a ritirare il contante e fare l’estratto e il saldo). Sebbene riguardi tutti, è interessante appurare l’anima radicalmente individualista della procedura: lo spazio riservato alle operazioni da sportello è singolo, modellato su una unica testa china sulla tastiera numerica e un’inquadratura calibrata su una persona, il resto escluso.

Siamo da soli di fronte al nostro risultato numerico settimanale o mensile, alla cifra della nostra produzione, al resoconto dei nostri fallimenti, allo stupore dei nostri accrediti, allo sgomento delle nostre morosità e delle nostre pendenze, al cappio al collo del nostro debito che cresce giornalmente e matura gli interessi.

Senza fare incursioni in dinamiche proprie del mondo finanziario, mi soffermerei sul canone sociale che gli scambi monetari moderni hanno intaccato e irrevocabilmente modificato, soprattutto in Paesi mediorientali come la Turchia.

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I Veri Amici (IVA): a partire da diciotto anni in poi tutti i ragazzi turchi vengono “battezzati” dai loro genitori che diventano per costoro garanti per aperture di conti bancari basati su desideri senza buste paghe.

Le carte di credito trovano impiego in una scala di copertura di valori che vanno da una lira turca per il caffè, alle rate a più zeri per una BMW sportiva. La parcellizzazione del costo-valore degli oggetti costituisce uno strumento potentissimo di attrazione e persuasione: si può optare per sei rate abbinate all’acquisto di una semplice camicia di cotone e si può anche distribuire il pagamento su carte differenti. Ne consegue che in una città come Istanbul non vi troverete mai a corto di contante, bombardati da più parti dai loghi illuminati che vi ricordano che non siete soli, che potete comprare e godere di qualcosa anche sotto lo slogan del “pagherò”!
[[Un tempo si diceva che bastasse osservare la concentrazione delle banche o degli sportelli bancomat in una città per individuarne il centro o la zona più ricca; in città come Ankara mi pare che questa regola assiomatica non valga. Gli sportelli bancari sono disposti anche negli ospedali e nelle periferie più desolate. Anche per l’antropologo Daniel Graeber si può parlare del denaro come di una convenzione sociale, di una promessa, di un pagherò (che però nel 2008 ha portato Grecia e Spagna alla crisi totale e alla richiesta illimitata di sostentamento dei mercati internazionali). Fonte Debt: the first 5.000 years, Melvillehouse, 2011.]]

La sensazione è quella di massima credibilità e affidabilità: in una società avvezza all’ isolamento sospettoso dei prossimi, macrocosmo in cui la fiducia si paga (letteralmente) a partire dal lettino dello psicologo, gli istituti bancari ce la forniscono gratis inseguendoci persino con telefonate e messaggi sui cellulari! Dall’esterno all’interno dei setting pubblici, modernissime scatole dispensatrici di banconote trovano posto accanto ai gabinetti pubblici del secolo scorso con scritte sacre su mosaico e naturalmente in tutti i ristoranti e i bar. Alla proliferazione dei luoghi di raccolta e elargizione di denaro, si aggiunge una curiosità per il viaggiatore attento; i bancomat hanno duplice funzione: emissione e ricezione soldi. Le fauci meccaniche si aprono impassibili soprattutto per riprendere quello che hanno dispensato nel corso dei giorni precedenti: sopra si riceve e sotto si restituisce. Il processo al cento per cento informatizzato alimenta senza stand by la fede nella macchina e nel suo potere di problem solver: niente file, anonimato assoluto, filtro emotivo da cattivo pagatore ridotto a zero.

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Pare che dividere il carico della spesa (seppur irrisoria) in mille tranches, abbia potere lenitivo e balsamico rispetto alla constatazione della crisi in atto e del debito che quotidianamente accumuliamo. Abdicare alla responsabilità del pagamento totale in favore di una dilatazione infinita della “pena”, rappresenta la scelta di individui non più raggruppabili sotto una bandiera o un’altra, in un ceto sociale o un altro. Tutti necessitiamo dei Veri Amici, della carta di credito che ci dà l’illusione di poter agire in qualche modo nei contesti in cui ci muoviamo, che si abbina bene alla rapidità elettronica e informatica alla quale siamo abituati in altro tipo di operazioni. Per alcuni rappresenta quel Valore Aggiunto di cui una società moderna non può più fare a meno, una volta che se ne son fatte gustare alla collettività le potenzialità. Si deve per l’appunto rimarcare che molte trattative economiche oggi vedono esclusi gli utenti sprovvisti di carta (per compagnie aeree low cost, offerte viaggi last minute, shopping on line è indispensabile). La carta ritarda e “scarta”; il contante è puntuale e ci lega all’altro che lo riceve.

imagesCA0HLLLO.jpgA pensarci bene, in funzione opposta al procedimento messo in atto dal saldo totale al momento dello scambio merci, la carta di credito ci sposta nel futuro, in avanti. E forse anche per questo piace e vince. Pagare tutto e subito, al contrario, non soltanto ci fa venire alla mente i nostri bisnonni che si presentavano a comprare le cinquecento con le 90 lire una sull’altra (modalità oggi attribuita ai matusa), frutto di sacrifici indicibili, ma è una sorta di archiviazione nel passato della memoria dell’acquisto. In una tale rimozione del prima e dopo, riferita al pagamento, sembra quasi che il presente non esista; la merce è carpita oggi ma pagata in un diem sconosciuto. Vado più a fondo.

Rimandare il conto significa certamente procrastinarlo a tempi migliori; quindi si parte dall’idea che questi tempi migliori certamente arriveranno e noi potremo estinguere il debito e magari contrarne altri. Questa previsione di un futuro prolifico mette sicuramente di buon umore e fa passare la paura. Il punto è che proprio i punti fermi oggi scarseggiano: se l’idea di debito in sé non è malvagia, considerata come una promessa di pagamento su basi di guadagni in progress, contrarre un debito per estinguerne un altro diventa una prassi con handicap, un bypass disattivo.

I Falsi Amici (IFA): Benni lo comunica chiaramente e sinesteticamente che il Bancomat è più forte del signor piero
[[L’uso della minuscola rispetta fedelmente una scelta dell’autore stesso che mi pare possa interpretarsi come una riduzione del personaggio-vittima del tradimento e dell’abbandono, abbinata al minuscolo delle battute da lui pronunciate. Viceversa, l’amante ha un cognome e un titolo borghese ben chiaro (Dottor Vanini), completato dall’uso proprio della maiuscola.]]
: come? Se è vero che la scelta dei caratteri in un testo scritto oggi è entrata di diritto nella struttura delle opere stesse non soltanto come metalinguaggio, questo scrittore poliedrico, famoso anche per aver creato la Pluriuniversità dell’immaginazione, caratterizza le battute della macchina con il MAIUSCOLO URLATO CHE STRIDE E COZZA con il minuscolo insicuro e sussurrato del malcapitato. La macchina può cambiarci la vita grazie ad una combinazione numerica. La cifra rappresenta il tempo che ci separa dal nostro padroneggiare il mondo e sentircene parte attiva.

Tutto questo ha un prezzo?

Nella pagina letteraria, Benni preconizza un avvenire in cui gli onesti saranno ricoperti di soldi disonestamente guadagnati e quindi riceveranno per contrappasso una sorta di risarcimento dalla società che li ha visti in un prima temporale (lungo anche una vita intera), vittime sacrificali e perdenti cronici. Nella realtà dei fatti, le cronache ci parlano di furbastri che pagano con la carta di credito del Cittadino pasticcerie e centri estetici per dimagrimento; soldi che rimangono impuniti nei traffici politici melmosi e nell’avvicendarsi delle poltrone che confondono giudici assonnati, noi Cittadini.

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La Clonazione (fattore C): un risvolto interessante pare comunque insito nel sistema del credito by card: la sua tracciabilità e la verifica a posteriori delle azioni compiute dal singolo. Dal momento che ogni innovazione, soprattutto in tema di legislazione governativa, comporta immediatamente l’anti innovazione, come una costola incrinata di Adamo che vanifica tutti gli sforzi fatti per il progresso dell’umanità, il pagamento in nero si allarga a macchia d’olio, quasi motivato e giustificato dalla necessità di latitare per aver commesso un reato non reato (lavorare). Quindi optiamo per essere pagati con liquidi o in bustarelle consegnate ex manibus al fine di non dover corrispondere tasse; riteniamo preferibile una non comparsa sul palcoscenico sociale all’appello ‘dichiarazione dei redditi’, fattasi incombente dopo i vari test prospettici di fresco rodaggio. Il problema ulteriore della possibilità di duplicarci nella spesa (perdendo la carta) o cedendola involontariamente ad un altro utente della spesa, un altro noi, per la macchina similes e equivalente, minaccia i nostri acquisti e ci fa sentire sabotati. Il danno si materializza nel momento in cui il nostro debito (o la potenzialità di contrarlo), come promessa quantificata in termini di moneta, si connota di impersonalità e trasferibilità su un altro individuo, un’altra testa davanti alla tastiera cifrata.

“Da ciascuno secondo le sue capacità e a ciascuno secondo i suoi bisogni”
[[Marcel Mauss e le relazioni economiche di tipo comunista. Per approfondimenti si veda B. Karsenti, L’ uomo totale. Sociologia, antropologia e filosofia in Marcel Mauss, Il ponte, 2005.]]:
un dietrofront storico potrebbe chiarire procedure non più in uso. (Che peccato).

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Proprio in Mesopotamia, non lontano dai luoghi in cui scrivo, oggi teatro di scontri disumani, già nel 3200 avanti Cristo, si riscontra una digestione precoce del concetto di baratto (tu mi dai una vacca e io ti do venti galline) e di una riproposizione moderna di quello di denaro (preciso sistema di misurazione della merce in unità di conto).

Esistevano già in tempi non sospetti un sistema piuttosto elaborato di denaro di conto e uno di credito. Soltanto il denaro inteso come mezzo di scambio o come un insieme standardizzato di unità circolanti in oro, argento, bronzo o altro, arriverà più tardi. Il mito della vacca e della gallina è in realtà da collegarsi ad Adam Smith che ne fece il prodromo della scienza economica. Ma per quello che concerne il nostro discorso, mi limito a constatare quanto sia di fatto violentato il principio maussiano e quanto sia invalso quello smitthiano. Quali i nostri bisogni odierni? Come quantificarli? Il signor piero, nella sua modesta richiesta di tre o quattrocento mila lire per arrivare alla fine del mese, era ancora protetto da una capacità di quantificazione del bisogno parallela e coerente alle sue entrate mensili, al suo portafoglio da salariato. Quello a colpo sicuro, che si riempie il ventisette del mese.

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In questo momento nessuno può pulire le nostre “tavolette” e ridarci respiro; volontariamente, per chiudere il cerchio aperto nell’incipit, abbiamo deciso di convivere con l’ansia da riscossione e ora ce la teniamo. La bancarotta mesopotamica era una forma di protezione sociale grazie alla quale, alla fine di una contrattazione andata male, tutti i pegni offerti a garanzia del debito potevano tornare a casa. Le tabulae erano ripulite e si ricominciava da zero. E per spingerci al reperimento di un supporto linguistico, ricordo che la parola sumerica amargi, referente semico del concetto di libertà, significava assoluzione dal debito e ritorno alla “Madre”. Alla madre vita, si intende, in una prospettiva più ampia. Mutui, prestiti, ipoteche concorrono alla creazione di un passaggio ulteriore a quello che vede un pronto bene e un pagamento a misura di quest’ultimo: ora il passaggio è triplice e mette in campo Bene- Debito- e di nuovo Bene confiscato, a più titoli. Il ritorno c’è, ma in direzione di uno Stato che si riappropria di quello che ha dato, forse incautamente in prestito. Il vaticinio da scongiurare è quello vissuto già dall’antichità: una popolazione di debitori che cammina sull’orlo del disastro.

Per chiosare sul nostro ormai simpatico Signor Piero, possiamo dire che esiste sempre una qualche moralità sottesa a quella che chiamiamo realtà economica. Nel suo caso, la macchina umanizzata ha ritenuto giusto restituire il mal tolto. E nel nostro? In un auspicabile ricongiungimento di intenti, nella selva scura di chi ruba nei supermercati perché ha fame o di chi, costruendoli i supermercati, ha rubato, si potrebbe forse avvalorare un posizionamento mediano, nel rispetto di una legge dei mercati esterni e interni che tenga conto anche delle nostre coscienze parlanti.

R. Chiara Vitolo
Università di Ankara

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