theHand e Giordano Bruno, ovvero disegnare la filosofia.

Di fronte al foglio bianco: può essere il momento più complesso del mettersi all’opera. Scrivere, disegnare, che si lavori o no di fantasia (poi, a ben vedere, bisogna intendersi sul termine “fantasia”) è un momento talvolta preceduto da lunghi periodi di apparente inattività, in cui a lavorare è solo la mente, ferme le mani. Si articolano, si compongono, si animano pensieri e forme prendendo posto, muovendosi e quasi organizzandosi in maniera autonoma; un lavorio remoto e presente al tempo stesso, un tramestio ovattato, lubrificato in modo particolare dai vapori del dormiveglia.

Talmente efficace che, soddisfatti, si constata di aver praticamente tutto pronto. Si tratta solo di mettere nero su bianco; invece, poi, quella superficie rettangolare, il famoso foglio, è sdrucciola e le idee vi esitano o prendono impreviste andature.

Niente di grave, è il pensiero in movimento, quello che prende le forme più varie rubando materia all’inchiostro, ai pigmenti, alla pietra; contaminandosi con parole, forme, linee e geometrie e con immagini prese da fuori e da dentro di noi, davanti e dietro gli occhi. Perché all’origine, quando è ancora immateriale e fluttuante, una è l’arte, uno il fare, uno il pensiero che cerca i suoi strumenti tangibili. E questi ne vengono compenetrati, sembrano divenire vivi e attivi, “diabolicamente” autonomi.

© theHand

Lo sapeva bene Italo Calvino, quando nel 1977, sul numero 224 di “Derrière le miroir” [[Oggi in Saggi 1945-1985, I, Mondadori, Milano 1995 e in La penna in prima persona (Per i disegni di Saul Steinberg), “Riga”, 24, Marcos y Marcos, Milano 2005, pp. 218-221.]], scriveva a proposito di Saul Steinberg, il grande disegnatore di origini rumene, cittadino americano, anima cosmopolita protagonista di tante straordinarie copertine del settimanale statunitense The New Yorker (solo per ricordare le sue illustrazioni più famose). Per raccontare e commentare Steinberg, la sua linea corrente ed emancipata, Calvino andò a scomodare persino Guido Cavalcanti, poi Michelangelo Buonarroti e Francisco de Hollanda. Del primo, ricordava il sonetto 18 delle Rime (Noi siàn le triste penne sbigottite/ le cesoiuzze e’l coltellin dolente…), dove gli arnesi che parlano in vece dell’autore ne mettono a fuoco il fare poetico, in un’immagine di fisicità e presenza. Gli altri due sono i protagonisti dei dialoghi immaginari redatti e conclusi dal de Hollanda tra il 1548 ed il 1549; di quelli con Michelangelo, vale la pena di riportare il passo che affascinò lo stesso Calvino: «(…) Talvolta io penso e immagino che tra gli uomini esiste una sola arte e scienza, e che questa sia il disegnare o dipingere, e che tutte le altre siano sue derivazioni (…) Certamente, infatti, ben considerando tutto quel che si fa in questa vita, vi accorgerete che ognuno, senza saperlo, sta dipingendo questo mondo, sia nel creare e produrre nuove forme e figure, come nell’indossare vari abbigliamenti, sia nel costruire e occupare lo spazio con edifici e case dipinte, come nel coltivare i campi, nel fare pitture e segni lavorando la terra, nel navigare i mari con le vele, nel combattere e dividere le legioni, e finalmente nelle morti e nei funerali, come pure in tutte le altre operazioni, gesti e azioni»[[ Ivi, p. 220.]].

Dunque, ogni moto – esterno ed interiore – lascia una scia, un segno, una linea o una composizione di linee, visibili o invisibili nella realtà ma tutte trasformabili in un disegno, in una rappresentazione, in una grafia.

Gli uomini dell’età moderna erano così fortemente convinti di tale concezione, essa era parte talmente fondante il loro approccio al mondo, da far nascere sull’arte grafica non solo una vasta cultura e letteratura artistica, ma una vera e propria cultura filosofica, che fondeva ed assimilava al disegno le dinamiche mentali, i procedimenti della conoscenza, le tecniche della memoria, le reazioni ed i voli della fantasia; tutto in una visione unitaria, in cui fluttuanti erano i confini tra pensiero e corpo dell’opera, tra materia naturale e materia artificiale, tra soggetto che rappresentava e cosa rappresentata. E se la facoltà immaginativa era considerata tramite tra cielo e terra negli orizzonti teologici ed in quelli più tradizionalmente ideologici, un’altra schiera di pensatori – i cosiddetti filosofi naturali – loro sodali gli artigiani e gli artisti, affermavano una dimensione sapienziale nella quale la natura, la materia, gli elementi, il loro studio e la loro combinazione trasmutavano continuamente l’uno nell’altra, legandosi ad una teoria generale delle cose, materialista ma non prosaica, ideale e concreta insieme.

Di questa schiera faceva parte il filosofo Giordano Bruno, che non a caso appassionava Italo Calvino (ne ha parlato estesamente Michele Ciliberto [[M. Ciliberto, Umbra profunda, Studi su Giordano Bruno, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1999, pp. 320-321.]]), il quale lo nominava insieme a Dante e a Jean Starobinsky in quella “lezione americana” intitolata Visibilità [[I. Calvino, Lezioni americane, Mondadori, Milano 1997(8), pp. 91-110.]].
Era affascinato, Calvino, dalla concezione dantesca della fantasia come di «un posto in cui ci piove dentro» [[ Ivi, p. 91.]], e da quella bruniana dell’umano spirito fantastico come di un vaso, un “golfo” in grado di accogliere infinite immagini e di combinarle fra loro infinite volte, in infiniti modi diversi, così che la conoscenza s’imponesse nella sua identità di atto creativo e “visionario” e l’immaginazione «come repertorio del potenziale, dell’ipotetico, di ciò che non è né è stato né forse sarà ma che avrebbe potuto essere» [[ Ivi, p. 102.]].

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Lungi dall’essere mera speculazione astratta, le riflessioni del Nolano – affidate ad una miriade di scritti in volgare ed in latino – si schiudevano a una complessa teoria sull’essere umano, considerato in un universo infinito ed antigerarchico di cui non era più il centro (come voleva un certo Rinascimento), facendone parte intrinsecamente, partecipando della stessa energia vitale che muoveva la natura a crearsi e ricrearsi di continuo in varie forme, a reinventarsi in nome di una “intelligenza” e di un moto vicissitudinale che le era proprio. Le conseguenze di tale pensiero si riversavano su ogni piano dell’esistenza, facendo saltare i pilastri apparentemente incrollabili su cui era fondata la società del tempo. Non era, quello di Bruno, un ribellismo sterile, né uno scettico nichilismo; attraverso una fantasmagoria di metafore, usate per traghettare immagini e ragionamenti, le sue parole tendevano a scoprire e smontare le bugie, le mistificazioni, le violenze di cui si servivano il potere religioso ed il potere politico. Egli prefigurava utopisticamente (e non sapeva quanto!) una riforma del genere umano, che si sarebbe liberato dagli errori di un «mondo pazzo, sensuale, cieco e fantastico» [[G. Bruno, De l’infinito universo e mondi (1584), in D.W. Singer, Giordano Bruno, seguito dal testo originale de L’infinito universo et mondi, Longanesi, Milano 1957, p. 369.]].

Anche per il lettore odierno è l’aspetto certamente più interessante della sua filosofia: la presenza costante di un’attenzione all’umano, l’urgenza di quel richiamo di moderna (o forse antichissima?) concezione: «Stay human» [[Il riferimento è al noto motto che ha caratterizzato l’azione di Vittorio Arrigoni, volontario in difesa dei diritti della Palestina, rapito ed assassinato nel 2011.]]; soprattutto, concepito sulla base della ricerca di una verità di specie, individuata non nelle ragioni di stato, di fede, etc. ma nella peculiarità di una mente creativa, che si oppone naturalmente alle coercizioni di natura astratta. Unita ad una vicenda esistenziale dai toni drammatici (esilio, peregrinaggio, ostilità, tortura e condanna a morte), che ne fa una figura di fortissimo impatto, pertinace in una virtuosa eresia quanto nella coerenza, tuttora fonte di inquietudine per le menti meno che aperte e libere.

Stanti queste premesse, si profilano alcune contingenze interessanti.

Da un lato, non sembra innaturale che la filosofia vada a braccetto con l’arte, che questa incontri la ricerca gnoseologica e che tutte insieme creino prodotti di grande interesse umano ed estetico. Dall’altro, si assiste a strane resistenze (almeno, in Italia) quando si parli di Giordano Bruno o almeno si tenti di portarlo fuori dall’alveo della trattazione specialistica, tutto sommato ancora riservata agli addetti ai lavori. E mentre altri “maledetti” riscuotono consensi e successi impastati di popolarità, un gran riserbo aleggia sulla figura di chi, invece, dovrebbe essere dichiarato il più grande filosofo del Cinquecento italiano.

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È nel viluppo di questi sentieri che si può incontrare, pubblicato da Mimesis con una preziosa prefazione di Giuliano Montaldo, un libro a fumetti piuttosto particolare, autore Maurizio Di Bona, alias TheHand: Chi ha paura di Giordano Bruno. Viaggio ragionato dentro il libro sul Nolano che non s’ha da scrivere né disegnare (Milano 2006).

Il primo dei suoi lati curiosi è il fatto che narra ed illustra la storia di un altro libro, un romanzo grafico sulla vicenda del filosofo, concepito dal medesimo autore nell’ormai lontano 2001 senza trovare editori ma solo spazio informativo sul web, la forma di alcune tavole generosamente anticipate al pubblico, un tentativo – non andato a buon fine, almeno per ora – di autoprodurlo con il contributo dei potenziali lettori tramite “Produzioni dal basso”, un profilo Facebook dedicato, video di presentazione e “denuncia” del caso su Youtube, infine un progetto multilingue a cura dell’autore su www.giordanobruno.es, intitolato Giordano Bruno Nolano Italiano, work in progress dell’opera che attende di arrivare nelle librerie, ossia THE NOLAN – Giordano Bruno è tornato. Da allora ancora nulla è cambiato.

Altri motivi che lo rendono addirittura intrigante sono: 1) l’interrogativo sul perché la casa editrice che ne ha condiviso l’intento non si è poi anche proposta per realizzare il progetto originale; 2) una grande qualità grafica, che non smentisce la fama dell’autore; 3) il volto del personaggio principale, che credo nessuno al mondo possa non riconoscere; 4) l’intreccio delle suggestioni iconiche, che facendo convergere nel fumetto cinema, filosofia, letteratura, coinvolgono il lettore attento in linguaggi diversi e continui rimandi di memoria.

© theHand

Ma andiamo per ordine. La casa editrice Mimesis non è nuova all’interesse per il Nolano, sia per la pubblicazione di sue opere (ad esempio Le ombre delle idee a cura di M. Maddamma nel 1996, La magia e le ligature a cura di G. Parinetto nel 2000, Il sigillo dei sigilli e I diagrammi ermetici a cura di U. Nicola nel 2005), sia per la pubblicazione di testi critici su di lui: ricordiamo di S. Mancini La sfera infinita. Identità e differenza nel pensiero di Giordano Bruno (2000) e la riproposizione recentissima dei documenti del processo veneto, curati da M.L. Ghezzi e arricchiti di un saggio di L. Parinetto (Processo e morte di Giordano Bruno, Milano-Udine 2012). Bei titoli, che stanno dignitosamente di fronte ai testi più noti della filologia bruniana; l’intento divulgativo ben risponde all’originario intento del filosofo, convinto che le sue teorie dovessero arrivare – prima o poi – a tutti, contenendo la chiave di un riscatto possibile per gli uomini e le donne.

Dunque non può essere sfuggito agli editori la potenziale diffusione ed il forte impatto che il progetto originario avrebbe potuto riscuotere (e non solo sulle giovani generazioni, come potrebbe far pensare l’appartenenza al genere dei comics), forse colmando un vuoto della cultura italiana generalista, ancora reticente a rendere piena giustizia al pensatore dei mondi infiniti. Non è forse vero, d’altronde, che l’ideazione d’una gustosa Storia della filosofia a fumetti (una su tutte, quella di Richard Osborne, Editori Riuniti, 2004) è stata un successo? Dunque, perché non proporre un’opera monografica, che togliesse l’aura seriosa ed ultra-accademica di cui sono solitamente impregnati gli studi filosofici?

Cercando le risposte al dubbio inevaso, veniamo all’oggetto in questione, che forse potrebbe contenerle. I disegni sono quelli di una mano – anzi, della Mano – nota in Italia per le sue collaborazioni con giornali di “tendenza”, tra satira politica ed informazione libera: da “il Fatto quotidiano” di Marco Travaglio e Antonio Padellaro, attraverso il “Misfatto”, per finire con il settimanale “Il Ruvido”, diretto da Roberto Corradi e Marco Presta. In passato le chine di TheHand erano finite in una linea di merchandising per i Cranberries, poi all’asta per Gillian Anderson e ad informare la campagna animalista (We must be their voice) da lei promossa; quindi la collaborazione con Beppe Grillo, in particolare per il progetto Santi laici (www.santilaici.it): vero allenamento nel voler restituire memoria storica, disegnandone le fattezze, a chi ha pagato con la vita il prezzo di scelte scomode; in mezzo, una serie inesauribile di caricature e vignette su personaggi famosi del mondo dello spettacolo e della politica, corredate di testi pungenti e sagaci. Anche lui “achademico di nulla Achademia” [[È la definizione che Bruno dà adi se stesso all’inizio del Candelaio (1581)]], vista la formazione da autodidatta, lascia che le sue creature corrano e parlino in piena libertà.

Il testo è parte non irrilevante anche di quest’opera: è un racconto appassionato, a tratti lirico, a tratti asciutto, traslato scrittorio del tratto disegnato, testimone sia della ricerca di cui Maurizio Di Bona ha fatto oggetto Giordano Bruno, che della vicenda personale che a tale ricerca s’è intrecciata. Emerge immediatamente, per esempio, il lavoro di documentazione che ha permesso a Di Bona di elaborare un gran numero di immagini suggestive, invenzioni sempre sature di possibilità e verosimiglianza storiografica, oppure di pregnanza simbolica e allusiva. Una vera ars combinatoria di cui Bruno stesso sarebbe stato soddisfatto, come quando l’autore ci mostra in che modo la figura del filosofo errante sia apparsa gradualmente alla sua mente in una serie di “fotogrammi” che la ritraggono emergere dalle acque scure della laguna veneta, grondante come quella un naufrago, annegata in una pioggia che ne confonde i lineamenti, facendo percepire la fatica esistenziale dell’uno e la fatica creativa dell’altro.

Il lettore assiste così alla fuga dell’indeterminatezza di un volto che in nessun modo la storia ci ha restituito, ma che la fantasia di Thehand riesce a ricomporre.

Infatti, non esistono affidabili ritratti di Bruno: i più noti sono solo ricostruzioni verbali che lo stesso Nolano dà di se stesso («cane c’ha ricevuto mille spellicciate» si definisce nel Candelaio [[G. Bruno, Candelaio (1581), a cura di G. Barberi Squarotti, Einaudi, Torino 1964, p. 14.]]) o che ne dette George Abbott (corpo magro, viso scavato, una barbetta rada sul mento), che lo incontrò a Londra [[Era docente al Balliol College al tempo delle lezioni di Bruno che scandalizzarono i dottori di Oxford.]]; a fronte di tutte le improbabili deduzioni grafiche che ne sono derivate, forse persino più suggestivo è uno schizzo, un petit bonhomme avvolto dalle fiamme, che una mano non pietosa ha fatto a margine del documento che attestava l’avvenuta morte del frate sul rogo, colui di cui non doveva restare neanche il corpo, neanche le ceneri
[[Dal registro della Confraternita che assisteva i condannati a morte, presentato al pubblico in occasione della mostra “Caravaggio. Una vita dal vero”, catalogo De Luca, Roma 2011. La curatrice Orietta Verdi ne ha parlato in occasione della presentazione del libro di chi scrive “Caravaggio, Giordano Bruno e l’invisibile natura della cose” (L’Asino d’oro, 2011), Villa Apolloni di Frascati, 10 novembre 2011. Lo schizzo sarà pubblicato a cura di O. Verdi e M. Di Sivo nel prossimo numero di dicembre di Bruniana & Campanelliana, rivista semestrale di ricerche filosofiche e materiali storico-testuali diretta da E. Canone e G. Ernst.]].
© theHand

Così, come Di Bona stesso ci racconta, sulle sue tavole i lineamenti di Bruno hanno optato per un modello di carne viva, anzi, non esattamente: l’immagine cinematografica che lo aveva avuto all’origine nella pellicola di Giuliano Montaldo, apparsa nelle sale italiane nel 1973, e nella forza espressiva del protagonista, Gian Maria Volontè. Chi conosce il film Giordano Bruno, ricorda l’intelligenza e la peculiarità artistica della sua sceneggiatura (così capace di dire il vero attraverso la finzione e persino la voluta alterazione documentale), le luci del grande Storaro, la direzione accurata e affilata sui primi piani, la magistrale prova d’attore ed il trasformismo sconcertante di Volontè. Lo ritrova così in quel volto su cui Di Bona ha ritagliato il suo Nolano, utilizzandone la mimesi facciale e, se possibile, incrementandola. Attorno a lui si muovono altri personaggi, rare figure femminili, amici fedeli incontrati proprio qui, proprio adesso, mentre i fogli si spaginano, i nemici corrotti.

Ha chiesto, il nostro autore «all’intuito, all’immaginazione, nonché ai, sempre fondamentali sogni, short-cut con l’invisibile e con l’Anima mundi più di quanto non si pensi, di esprimersi (…)» [[M. Di Bona, cit., p. 21.]].

Il risultato finale è un “oggetto” scatenante passioni, indignazione, partecipazione, affetti che procedono su corsie a doppio, triplo senso di marcia; si parla di Filippo Bruno Nolano e del libro su di lui, ma poi accorrono altre figure dalla storia, quella passata e quella futura, tutte a dare testimonianza della vita travagliata della libera cultura e della libera espressione. Che forse non a caso sono termini di genere femminile, vasi e golfi, specchi pensati e pensanti, da cui brunianamente pescare un’identità umana più umana.

Noi attendiamo che il progetto della grafic novel sul Nolano abbia compimento com’è nelle intenzioni di Di Bona. L’esegesi che l’autore ne ha voluto fare e che qui s’è presentata offre ulteriori motivi per sostenerlo, se fossero necessari; ho detto esegesi, ho sbagliato, dovevo dire sceneggiatura, perché più di questo si tratta, e la fine non è ancora stata scritta. A lui, a TheHand, va il saluto e l’augurio di perseveranza che l’autore del Candelaio scrive alla sua Morgana: “state sano, e amate chi vi ama”.

Anna Maria Panzera

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Anna Maria Panzera
Anna Maria Panzera vive a Roma. Insegnante e storica dell'arte, collabora con istituzioni museali e universitarie per attività di ricerca, didattica dell'arte, formazione e comunicazione. Autrice di numerosi articoli su riviste scientifiche e divulgative, ha pubblicato vari volumi, tra cui, con L'Asino d'oro edizioni, "Caravaggio, Giordano Bruno e l'invisibile natura delle cose" (2011) e "Camille Claudel" (2016).

2 Commentaires

  1. theHand e Giordano Bruno, ovvero disegnare la filosofia.
    Complimenti per il sito,visto che tanti nolani scrivono solo stronzate ,e sempre solo per i gigli.Auguri da Tony L’americano di Radio Antenna Campania.

    • theHand e Giordano Bruno, ovvero disegnare la filosofia.
      Caro Tony, leggo il tuo messaggio solo ora: un anno di ritardo è troppo?
      Il merito per la ricchezza del sito va soprattutto ai suoi appassionati curatori, ma se ti è piaciuto anche l’articolo sappi che la ricerca sui « nolani » non è giunta al termine e, quando vorrai, sono a disposizione per metterti al corrente degli aggiornamenti!
      Anna Maria Panzera

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