L’altra Venezia – Tra finzione e documentario con i piedi nella realtà

MOSTRA DEL CINEMA DI VENEZIA 2012.

A solo un anno dalla Palma d’Oro di Cannes, Terence Malick continua il suo viaggio nel segreto dell’uomo e delle sue relazioni esistenziali. I documentari tra le cose più interessanti della Mostra, un genere riscoperto da grandi firme del cinema. “Après mai” di Olivier Assayas, “Clarisse” di Liliana Cavani, il kafkaiano film di Luigi Lo Cascio ed infine qualche curiosità. Il tutto direttamente da Venezia.


To the Wonder di Terrence Malick

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Alla meraviglia, recita il titolo, alla meraviglia del mondo, della vita, delle sue complesse armonie quantunque avvincenti.
Si può passare alla storia del cinema con sei film soltanto, in quasi quarant’anni di carriera?
Si può, solo se si considera la vita artistica di Terrence Malick.
Dopo lunghi lassi di tempo fra un film e l’altro, stupisce che il suo precedente sia solo di un anno fa, quando è stato premiato a Cannes con la Palma d’oro.

E sembra che il film di Venezia 69. (in concorso) rappresenti una sorta di appendice ovvero di contraltare all’opera precedente.
Intimo e meritevole al tempo stesso, l’americano Malick affronta qui a Venezia l’idea della vita in rapporto con l’altro, con la persona amata, con la figlia, con l’amante, con la fede, con la fragilità di aderire fino in fondo ad una scelta interiore, come quella del sacerdote (un intenso Xavier Bardem).

Tutto è affrontato con la cromia del mondo, della natura: ogni concetto è allineato alla inquadratura perfetta. E’ un miracolo quanto ci propone della nostra esistenza; per Malick la vita non si riduce a un freddo teorema, l’umanità si denuda attraverso il suo occhio e viene osservata con incommensurabile pietas.

Dalla Mostra di Venezia – Armando Lostaglio

Après Mai, di Olivier Assayas

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Cos’è stato il dopo maggio 1968 in Francia? Un tempo di grandi movimenti ideologici e di contrapposizioni politiche sempre più forti e distinte, verrebbe dadire. Ma, nel caso di « Après Mai » del regista Oliver Assayas, si fafatica a capirlo. Chi scrive all’epoca aveva solo 11 anni e quelsessantotto l’ha vissuto solo attraverso le immagini televisive o i
resoconti di giornalisti d’assalto, ma quanto serba nei suoi ricordi
basta ed avanza per dire che quel 68 fu un’altra cosa. So che chiunque
si accinga a ricostruire con immagini un periodo storico, qualunque
esso sia, deve porsi il problema della verità che vuole far emergere, e
che questa deve essere poi uno specchio fedele: per chi lo vede e,
soprattutto, per chi non ne sa nulla.

Occasione sprecata dispiace dirlo
per Assayas. Soprattutto perchè il 68 come movimento « rivoluzionario »
era nato proprio lì, a Parigi spandendosi poi nel resto dell’Europa e
fu una cosa seria perchè mise in ginocchio un’intera classe sociale e
la politica che fino ad allora aveva perseguito.

Si parlava dirivoluzioni proletarie, di una possibile revisione delle linee della storia, si voleva soprattutto giustizia sociale: niente padroni, ne
sfruttati, il capitalismo borghese doveva essere abbattuto, tutto
doveva cambiare. Ma poco o nulla di tutto questo è emerso nel film che
cominciato bene, si è poi perso strada facendo, finendo per non
raccontare più nulla.

Witness: Lybia di Michael Mann

omeish-witness-libya-295.jpg Qui alla mostra idocumentari sono (quasi) tutti molto belli. Hanno uno stile forte e diretto. « Witness: Lybia » tra quelli visti è forse quello che mi ha convinto di più. Racconta della Libia di ieri e di oggi, attraverso
immagini e fotografie, tutte molto belle, dove la drammaticità,
vissuta attraverso l’operaro di un giovanissimo reporter che, ignaro
di tutto, ha voluto catapultarsi in questa terra di fuoco, in tutti i
sensi, nel tentativo di catturare realtà che sappiamo rendere
l’attualità della Libia oggi.

Un viaggio attraverso le città sedi di battaglie cruente (Bengasi, Misurata ecc) dove i teatri degli orrori sembrano ancora emergere dalle macerie di ferro e polveri che oggi lericoprono. Immagini crude, fin troppo (il reporter si era recato lì neigiorni che precedettero la cattura di Gheddafi) dove solo chi è incosciente può osare e andare oltre. Ma se un reporter non sa coglierel’attimo prima che cada una granata o che una mitragliata sorprendaqualche cecchino, è meglio rimanga a casa.

E’ quello che deve averpensato il nostro giovane protagonista ferito seriamente ad una spalla (nello stesso luogo dove due giovani suoi colleghi hanno trovatoinvece la morte). « Witness: Lybia » documentario di guerra (con immagini).
Da rivedere.
Massimo Rosin dalla Mostra del cinema di Venezia.

Clarisse, di Liliana Cavani

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I temi religiosi a Liliana Cavani non sono mai dispiaciuti. Le tematiche a lei più care sono quelle legate all’operato di Francesco d’Assisi da cui, la regista ne ricavò un bellissimo film con un indimenticabile Miky Rourke. Oggi, in questo bel documentario « Clarisse » (dura soltanto dieci minuti), la regista è entrata in un convento di clarisse.

Da brava e arguta donna qual’è, è riuscita a darci un quadro del mondo di clausura, al femminile, niente affatto scontato, dove le suore manifestano, con il garbo che gli permette l’ordine a cui appartengono, il loro disappunto sulla chiesa,tutta ancora al « maschile », denunciando così la scarsa partecipazione di tutti gli ordine confessionali, « femminili » ai temi in corso in seno alla chiesa. Una domanda della regista mi ha colpito « Ma la chiesa è misogina? » quesito che non ha trovato subito risposta, ma i sorrisi dell clarisse forse valevano più di un si.

La Città ideale di Luigi Lo Cascio

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Tra i film italiani qui alla mostra è quello che mi ha convinto di più. Per
tante buone ragioni. Una su tutte, la voglia di lo Cascio di
diversificare il quadro della narrazione, portando tutto il film su
percorsi che molto hanno a vedere anche con una letteratura fantastica di qualità.

Mi riferisco anzitutto a Kafka e al suo Castello e al film che ne ha fatto poi Orson Wells. Qui di diverso c’è solo la tranquilla
atmosfera di una città, Siena, tra le più belle della Toscana, dove si
è svolto il film. Ambiente kafkiano dicevo, perchè il protagonista, un
architetto ambientalista, si trova a dover sostenere la sua innocenza
davanti ad un giudice, che lo vorrebbe incastrare perchè lo ritiene
responsabile di un incidente stradale, dove un noto personaggio della
città, viene investito gravemente.

Dal giudice, dal suo avvocato, dall’infermiera del reparto di rianimazione dovrà guardarsi l’architetto, perchè le sue tesi, calibrate ad una lucida razionalità non sono credute quasi da nessuno. Il finale non lo svelo, perchè non si fa, e per rispetto a chi, il film lo vorrà vedere. Consigliato.

Anton tut Ryadon di Lyubov Arkus

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Viene dalla Russia questo bellissimo, delicato ed intenso docu-
film. Parla di un mondo a parte, quello dell’autismo. Quanti fra noi
« normali » si sente toccato da un dramma così grande che tocca una
percentuale bassissima di persone, ma rappresenta pur sempre un male le cui origini appaiono ancora oggi misteriose? Anton, il protagonista, è stato filmato fin da ragazzino con il placet della madre, donna coraggiosissima e molto forte.

Solo grazie a lei è stato possibile
avere questo documentario che ha ripresentato il dramma dell’autismo
anche qui alla mostra. Nella Russia di quegli anni la situazione
sociosanitaria era quello che era e chi aveva la disgrazia di avere un
figlio autistico se lo doveva tenere così com’era, inutile sperare
nelle terapie, nè tantomeno nella ospedalizazione in cliniche-lager
dove, oltre ad altri soggetti autistici, trovi di tutto: schiziofrenici, malati mentali anche gravi ecc.

Solo l’amore di sua madre, ha potuto salvarlo. Rinata, questo il suo nome, nonostante una separazione dolorosa dal marito, mai si è persa d’animo ed ha cercato di capire quali erano le anomalie comportamentali del figlio, i suoi impenetrabili silenzi, il suo chiudersi in un mondo che lo isolava da qualsiasi riscatto. Nel tempo ha trovato chi la poteva aiutare, qualche comunità terapeutica di periferia, dove, Anton ha potuto capire lo svolgersi della vita, attraverso la sua quotidiana ripetitività, attraverso le fatiche che la compongono.

Qui impara a fare il pane, a tagliare la legna, ma soprattutto ritorna a scrivere. Anton, di questo suo percorso, ha lasciato pagine e pagine del suo personale « calvario » dove ha conosciuto, alla fine, pure l’amara separazione dalla madre, morta di cancro. Recuperato, infine dal padre, ha potuto riprendere in mano la sua vita dandole nuovi percorsi, alla luce di una ritrovata identità.

Dalla Mostra di Venezia Massimo Rosin

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Armando Lostaglio
ARMANDO LOSTAGLIO iscritto all'Ordine dei Giornalisti di Basilicata; fondatore del CineClub Vittorio De Sica - Cinit di Rionero in Vulture nel 1994 con oltre 150 iscritti; promotore di altri cinecircoli Cinit, e di mostre di cinema per scuole, carceri, centri anziani; autore di testi di cinema: Sequenze (La Nuova del Sud, 2006); Schermi Riflessi (EditricErmes, 2011); autore dei docufilm: Albe dentro l'imbrunire (2012); Il genio contro - Guy Debord e il cinema nell'avangardia (2013); La strada meno battura - a cavallo sulla Via Herculia (2014); Il cinema e il Blues (2016); Il cinema e il brigantaggio (2017). Collaboratore di riviste e giornali: La Nuova del Sud, e web Altritaliani (Parigi), Cabiria, Francavillainforma; Tg7 Basilicata.