Tagli o riforma delle Province? Il governo dei territori in Italia

Dopo il voto della Camera del 7 agosto, che ha convertito in legge il decreto sulla cosiddetta spending review (tagli alla spesa pubblica), il Consiglio delle Autonomie Locali – composto da sindaci di Comune e da presidenti di Provincia – ha tempo fino ad Ottobre per esprimere una proposta di riordino delle Province, vale a dire un taglio al loro numero. Ogni Regione italiana avrà quindi 20 giorni di tempo per proporre emendamenti alle proposte, ma sempre nel rispetto dei criteri stabiliti dalla nuova Legge.

Da molto tempo si parla del futuro delle Province in Italia. Com’era prevedibile, il governo dei tecnici ha deciso a favore del compromesso, non ascoltando le trombe populiste suonate da chi voleva chiuderle tutte – considerandole enti inutili e dannosi per l’erario – e neppure chi invece voleva salvarle in blocco per una non meglio precisata opposizione alla politica dei tagli – considerandoli il prodotto di forze tanto oscure quanto anti-popolari.

Pur nel compromesso, il messaggio dato dal governo è stato tuttavia chiaro: le Province sono enti utili poiché consento la gestione di aree vaste, l’amministrazione di quei distretti territoriali su cui si fonda il decentramento e la pluralità dell’Italia; tuttavia occorre un riordino per ridurre l’impatto sulla spesa pubblica e quindi sul debito dello Stato.

Cosa accadrà ora? Difficile è dire se e quanto il costo di questa operazione inciderà sui conti dello Stato e sulla sua efficienza amministrativa. Ad ogni buon conto, aver riconosciuto alle Province il ruolo di enti utili è indubbiamente una vittoria dell’intelligenza. Si può discutere sulla mancata riforma di questo ente, ormai adatto più al governo regionale su aree vaste che al controllo dello Stato centrale.

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Come accade altrove, si sarebbe potuto ridurre anche la funzione politico-rappresentativa delle Province. Ciò probabilmente avrebbe avuto effetti anche sui costi della politica. Ma visti i toni del dibattito, si può essere soddisfatti. Il messaggio del governo è chiaro: le Province sono un utile strumento del decentramento, non il costoso residuo di un passato centralista.

Tuttavia è proprio ora che iniziano i problemi. Poiché se il riordino potrebbe essere il momento in cui, a livello regionale, si decide di riorganizzarsi seguendo un progetto di governo del territorio, per altri versi potrebbe generare paralisi e confusione. In Toscana, ad esempio, ormai da anni le Province contribuiscono al governo di aree vaste regionali. In considerazione del fatto che una tendenza verso i tagli alla spesa pubblica comunque c’è già da tempo e che inevitabilmente proseguirà in futuro, ci si potrebbe attendere un pizzico di buon senso nell’accorpare le ben dieci Province attuali.

Il presidente della Regione Enrico Rossi ha opportunamente proposto di procedere forzando i “duri” (e pertanto ignoranti) criteri numerici della Legge, proponendo tre aree vaste così distribuite: un sud molto ampio, con Grosseto, Siena e Arezzo; la costa che sale verso nord, con Livorno, Pisa, Lucca e Massa/Carrara; e infine un’area metropolitana centrale, con Firenze, Prato e Pistoia.

La proposta è talmente sensata che difficilmente il Consiglio delle Autonomie Locali potrà non tenerne conto. Ma il problema resta e concerne la questione dei nuovi capoluoghi: Arezzo o Siena? e, soprattutto, Pisa o Livorno?

images-8.jpg Si può pensare che soprattutto nella Toscana dei campanili, delle contrade e delle rivalità storiche, l’applicazione della Legge rischia di risolversi solo con il sangue che scorre. Il presidente delle associazioni Combattentistiche e Partigiane, tal Stefano Mangiavacchi, si è già pronunciato in difesa della Provincia di Arezzo: « La Provincia di Arezzo è una delle poche decorate con Medaglia d’Oro al Valor Militare. Non possiamo accettare che venga cancellata nell’ambito del riordino delle Province ». Ma è facile prevedere che tali rivendicazioni ci saranno anche altrove, perfino con toni da ultras se non revanscisti. Per ora livornesi e pisani ne parlano sotto gli ombrelloni, ma ad un certo punto salirà lo scontro tra la città del porto e dell’industria e la città dell’aeroporto e dell’Università.

Comunque andrà, è chiaro che la nuova Legge non è soltanto una decisione sulla spesa (spending review), ma la base per una riforma nel governo dei territori. La sua applicazione, però, non dipenderà dal governo centrale, bensì dal sistema delle autonomie locali e regionali.

Una occasione importante per il Paese dei distretti e del governo non centrale, un’opportunità per l’Italia di continuare ad essere un modello internazionale di decentramento amministrativo, oppure no.

Emidio Diodato

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Emidio Diotato
Professore associato di scienza politica presso l'Università per Stranieri di Perugia

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