« L’Italie vue d’ici. La traduction-migration » – CIRCE.

Un ouvrage collectif, réalisé sous la direction de Ada Tosatti et Jean-Charles Vegliante – CIRCE Université de Paris 3. L' »ici » est en premier lieu la France: la conscience de l’altérité détermine alors l’élaboration de représentations, d’images, voire de stéréotypes sur l’Italie et les choses italiennes. Mais cet « ici » correspond plus largement au point de vue à partir duquel on regarde l’autre et l’ailleurs. A travers diverses situations migratoires, on observe les variations du regard sur la péninsule de la part des Italiens hors d’Italie, de leurs hôtes traditionnels mais aussi des immigrés en Italie.

Recensione in italiano di Giovanni Solinas.

L’Italie vue d’ici. La traduction-migration è l’esito dell’ultima fase della ricerca civilisationniste sviluppata nell’ambito del gruppo di ricerca CIRCE (Centre Interdisciplinaire de Recherche sur la Culture des Echanges, domaine italo-roman. Université de Paris 3). Secondo momento di una riflessione che gli studiosi del centro conducono da diversi anni, il libro raccoglie i contributi presentati in occasione della journée d’études L’Italie vue d’ici”, tenutasi nel 2009, assieme ad altri saggi scritti successivamente, tutti ugualmente riconducibili alla prospettiva d’indagine indicata in modo piuttosto chiaro dal titolo del volume: la cultura e l’immagine dell’Italia viste da qui, dalla Francia.

Alla base di quest’impostazione si trova la nozione di “traduzione-migrazione”, categoria che include l’insieme di scambi, di spostamenti, di trasferimenti, fisici o culturali, che hanno reso vicine la cultura italiana e quella francese.

Entro questo quadro di fondo, il volume decide di concentrarsi su quella che i suoi curatori definiscono «une véritable culture de la “mobilité italienne”, où la migration est physique, exil, mais aussi mouvance de textes et conscience d’une appartenance plurielle»: movimenti, dunque, di persone (i migranti), ma anche di idee; di testi e lingue, ma anche di esperienze, attività, attitudini: dall’Italia alla Francia.

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L’interpretazione e la rappresentazione che dell’Italia si ha (e si fa) in Francia (da parte dei francesi e da parte degli “italiani fuori d’Italia”) è, infatti, anche l’esito di questa serie di “migrazioni-traduzioni”, per lo più passate, ma anche recenti. Si tratta di una rappresentazione che è cambiata nel corso degli anni, e continua ad essere in costante evoluzione, talvolta (è il merito di alcuni dei saggi farcelo comprendere) anche in base alle reazioni con cui, a sua volta, gli italiani di Francia o d’Italia rispondono all’immagine di sé che lo sguardo degli altri restituisce loro. È a questo tessuto di influssi reciproci, a questo movimento di continuo “aller-retour”, e dunque ad una visione dinamica della nascita delle rappresentazioni dell’altro, che i saggi del libro si interessano.

Il volume si articola in tre parti.

La prima si apre con l’articolo introduttivo di Jean-Charles Vegliante, che solleva una serie di problematiche e propone alcune possibili piste di ricerca attorno alla questione della migrazione-traduzione: centrali, in particolar modo, sono i cenni alle condizioni di “trasparenza” (indotte soprattutto dalla politica assimilatoria del governo francese) degli italiani in Francia, almeno nella fase iniziale dell’ondata migratoria e lo strano disequilibrio fra l’importanza della loro presenza, a livello numerico, e la scarsa produzione di opere che riflettano tale presenza.

Ci si concentra poi specificamente, in questa prima parte, appunto sull’immagine dell’Italia restituita dai media ed in particolare dai giornali, in diversi momenti della nostra storia recente. Alcuni saggi analizzano il riflesso che sulla stampa francese hanno avuto gli eventi cruciali degli anni settanta: Nicolas Violle ci fa vedere in che modo, mano a mano che gli eventi precipitavano verso il loro esito tragico, si sia evoluta la rappresentazione dell’Italia proposta dai giornali francesi negli articoli dedicati al rapimento Moro. Ada Tosatti analizza i motivi dell’appello contro la violenza repressiva del governo italiano dell’epoca apparso su Lotta continua nel 1977 e firmato da diversi nomi sacri dell’intellighenzia francese di quegli anni. Antonella Usai ricostruisce invece l’accoglienza negativa dei giornalisti francesi alla mostra Italia Nova, allestita al Grand Palais pochi anni fa.
Ma i saggi che compongono la sezione non si interessano soltanto alle testate francesi: Julie Rousseau attira la nostra attenzione su come, durante il fascismo, il Corriere della Sera leggesse in modo propagandisticamente distorto (evidentemente favorevole al regime) l’immagine dell’Italia che si dava in Francia, mentre Luc Nemeth introduce e traduce l’articolo di Dando Dandi sulla figura dell’italianissimo (sorta di modello negativo di italianità), pubblicato nel 1942 dal giornale italiano L’adunata dei refrattari, che usciva negli Stati Uniti.

La natura mutevole e in continua ridefinizione delle visione francese dell’Italia è evidenziata in modo chiaro dagli articoli, ed ancor di più la complessità dei flussi, dei “transferts” fisici e culturali, che, disegnano una sorta di tracciato continuo e quasi circolare da una parte all’altra delle Alpi, e che paiono davvero i fattori principali nel determinare il profilo dell’Italia vista da altrove. Si pensi, per fare soltanto un esempio, a quanto è fitta la rete di movimenti e di influenze reciproche (dall’Italia alla Francia e viceversa) descritta da Ada Tosatti: i filosofi francesi degli anni settanta (Deleuze e Guattari in testa) sono fra i numi teorici del movimento del ’77 italiano: quest’ultimo (ed in generale il laboratorio politico e sociale che in quegli anni l’Italia rappresentava) è a sua volta oggetto di interesse prioritario per una certa sinistra francese (delusa dall’estinzione della spinta sessantottina in Francia); tale interesse porta a sua volta alcuni nomi di spicco del movimento, in Italia, a rivolgersi ai francesi per dar vita ad un’azione di pressione e di denuncia contro i giochi di potere che si stanno tenendo in Italia…insomma, uno scambio quasi vorticoso, in cui la direzione dei vettori si inverte continuamente, alimentando un dibattito comune e una costante ri-negoziazione dell’immagine dell’altro.

Nella seconda parte, invece, si prendono in analisi soprattutto dei casi di emigrazione reale. Gli articoli di Francesca Andreotti, di Catherine Popczyk e di Lidia Di Carlo ricostruiscono la vicenda di tre contesti microcomunitari italiani, formatisi in Francia attorno a tre realtà diverse: il primo racconta la nascita e lo sviluppo della radio italiana di Grenoble, le cui trasmissioni sono state –scrive l’autrice- l’occasione di una “élaboration d’une mémoire collective” e allo stesso tempo della “construction d’une identité nouvelle”. Il secondo illustra l’evolversi del Circolo italiano di Rouen e delle sue attività, parallela al modificarsi dell’idea sull’Italia e sugli italiani (fino alla definitiva scomparsa dei clichés più ostilmente anti-italiani) dei francesi locali. Nel terzo articolo si analizza il caso felice e piuttosto infrequente di una “intégration immédiate” (secondo l’espressione dell’autrice), quella della piccola comunità di lavoratori (quadri d’azienda e operai specializzati) italiani trasferitisi in Francia per lavorare nella fabbrica Piaggio a Fourchambault. Mélanie Fusaro si concentra invece sul fenomeno dei brasiliani di origine italiana che richiedono la doppia nazionalità, cercando di aggiungere il passaporto italiano a quello del loro paese. Dai tre articoli precedenti si distingue, in parte, quello di Isabelle Felici. Quest’ultima, infatti, sceglie come oggetto della propria analisi un testo letterario, l’ormai noto Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio, scritto in Italiano dall’autore algerino Amara Lakhous; un testo che fornisce l’occasione di ribaltare il punto di vista: non più gli italiani come migranti, ma gli italiani (e la loro immagine, nello sguardo di chi emigra in Italia) come comunità di accoglienti.

Le questioni sollevate in questa seconda sezione sono anch’esse varie ed evidentemente molto ampie: il privilegio ma anche la difficoltà di vivere quella sorta di stato di duplicità, di “entre-deux” che caratterizza la condizione di chi emigra (la possibilità preziosa di possedere una sorta di doppio punto di vista sulle cose, ma, a volte, la sensazione di essere, assieme, dimenticati dal paese che si è abbandonato, e “trasparenti” per il paese che accoglie); la volontà, per i membri delle comunità italiane, di conservare e perpetuare una memoria identitaria ed un senso di appartenenza, di recuperare il legame con la propria cultura di origine (di rintracciarlo o di ri-tracciarlo), e di condividerlo; la distanza fra l’Italia ricordata (o immaginata, filtrata dal racconto dei più vecchi) e la realtà dell’Italia attuale.

Nuovamente, nei casi studiati, particolarmente interessante è la natura dialettica del processo che porta alla formazione di una certa immagine del nostro paese: per chi accoglie, perché la presenza dei migranti e l’interazione con essi filtra e ridefinisce la rappresentazione che i “locali” si fanno dell’Italia e della sua cultura; ma anche per i migranti stessi presso cui la questione è forse più complessa: l’immagine della propria terra d’origine e della propria “italianità” è per loro, infatti, il frutto del sovrapporsi di vari piani: quello della memoria, innanzitutto, o per le seconde generazioni di un’idea filtrata dal ricordo e dal racconto di altri; ma anche quello dell’immagine stessa, più o meno stereotipata, che gli abitanti del paese di accoglienza hanno dell’Italia, e con cui gli emigrati si confrontano, che rifiutano o che (anche in questo caso si pensi soprattutto alle seconde o terze generazioni) assorbono, più o meno consciamente.

La terza parte è dedicata, infine, all’insegnamento: Massimo Lucarelli, Claudia Zudini e Colbert Akieudji si occupano de nesso fra l’immagine dell’Italia all’estero e l’insegnamento della letteratura e della lingua italiana: il primo analizza i programmi del concorso per il concorso dell’Agrégation d’italiano in Francia, utilizzandoli per comprendere quale sia l’idea francese della letteratura italiana, la seconda suggerisce alcune piste metodologiche per l’insegnamento della lingua attraverso i giornali italiani –un insegnamento che si concentri non solo sui contenuti, ma anche sulla retorica del linguaggio giornalistico, sulle distorsioni che essa veicola etc. Il terzo autore, infine, fa un panorama dell’insegnamento dell’italiano in Cameroun e, attraverso esso, dell’immagine dell’Italia.

Anche in questo caso, dunque, scelte e pratiche (la scelta dei programmi, le attività di insegnamento) che sono capaci di indirizzare fortemente la produzione, o il rimodellamento dell’immagine culturale di un altro paese.

In conclusione mi sembra che il saggio, per la sua scelta di dislocare su un punto di vista esterno la rappresentazione del noi, riesca a fornire materia d’interesse non solo al lettore francese (che si vede, così, messo a confronto con le retoriche con cui negli anni ha ritagliato la definizione, più o meno semplificata, di coloro cui la propria nazione consentiva l’accesso), ma anche –e forse soprattutto- al lettore italiano: lo sguardo su di sé che proviene dall’altro, o meglio dall’altrove (chiariscono i curatori che l’ “ici” del titolo è in primo luogo la Francia, certo, ma corrisponde all’altrove, al “point de vue (…) à partir duquel on regard l’ailleurs”), è del resto ciò a cui ci rivolgiamo per capire se esistiamo veramente. Lo sforzo di ritrovare l’immagine del proprio sé nella percezione e nel giudizio degli altri è un esercizio ineliminabile e costante, credo, per ogni cultura. È lo sforzo di voler essere tradotti. Collocarsi su questa faglia, su questo territorio di transizione, cercare di capire in che modo si è tradotti, è probabilmente la cosa da fare per il ricercatore che qui, in Francia, si occupi dell’Italia.

Giovanni Solinas

LINKS UTILI:

Editions L’Harmattan

CIRCE

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