Intervista al musicista Giacomo Lariccia.

Dal Belgio, la musica indipendente di un “altro” italiano. “Colpo di sole” è finalista per la Targa Tenco alla migliore opera prima. Trovare musica d’autore italiana di ottima qualità a Bruxelles mi ha colpito. La musica è una musa a cui piace farsi rincorrere, cercare. Pensi di conoscerla, ed invece scopri che i suoi confini sono molto più ampi di quello che t’immagini. Giacomo Lariccia con “Colpo di sole” riesce a dare all’ascoltatore un disco completo fatto di musica e poesia con molte sfaccettature, tutte d’assaporare. Il musicista ci racconta inoltre la sua storia d’emigrazione.


Giacomo Lariccia – Quanta strada – Vidéoclip 2017
Animazione: Benedetta Mucchi
Testo e musica: Giacomo Lariccia
Arrangiamenti: Marco Locurcio

Ho incontrato, per caso, la tua storia d’emigrazione su un giornale on line. Mi ha colpito. Cosa ti ha fatto prendere la decisione?

Sono venuto a Bruxelles per studiare al conservatorio Chitarra Jazz. All’epoca non esistevano in Italia quindi l’unica soluzione era quella di partire.

Il tuo ultimo disco “COLPO DI SOLE” è stato in parte finanziato dai fans ed hai sviluppato l’esperienza dei concerti “casalinghi”. Hai cercato di affrontare così la crisi commerciale della musica o provi strade alternative dove, chi fa musica, possa trovare il proprio spazio felice, il proprio spazio di libertà?

Tutto il mondo della discografia è in crisi e non esistono più strade battute. Anche le grandi majors brancolano nel buio e cambiano direzione ogni tre mesi. La fantasia è al potere e io ho scelto di proporre alle persone che ascoltano e apprezzano la mia musica di sostenermi in questo percorso, di partecipare alla produzione di questo disco. Abbiamo chiamato « Avventura in musica » la produzione collettiva che ha portato la mia idea musicale al disco finito. Il tutto è stato promosso inizialmente con dei concerti nelle case dove la distanza tra musicista e pubblico è ridottissima e la magia è creata solo dalle storie e dai racconti che puoi fare. Sono stati dei bellissimi momenti dai quali ho imparato molto.

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Hai ricevuto diversi riconoscimenti ma pochissimo eco in Italia, si è concluso il periodo dei cantautori oppure fanno ancora paura ai media?

A dir la verità in un periodo in cui c’è poco spazio per la musica italiana e ancor meno per la canzone d’autore sono stato stupito di quanto interesse abbia suscitato questo mio disco. Oltre ai premi di cui parli c’è stato l’interesse dei tre telegiornali della Rai che mi hanno dedicato dei servizi e diversi quotidiani nazionali. E tutto cio’ da Bruxelles e senza nemmeno un ufficio stampa che lavorasse per me.

Non credo si possa dire che oggi i cantautori fanno paura. Piuttosto c’è da chiedersi se i cantautori abbiano oggi qualcosa da dire che non sia la ripetizione delle immagini del passato e, cosa sgradevole ma vera, se gli amanti del genere siano disposti ad acquistare la loro musica oppure preferiscano continuare a pescare negli stagni del download illegale facendo finta di ignorare che si stanno prosciugando e che presto non ci rimarranno più pesci dentro. Trovo estremamente fastidioso il lamentarsi sul fatto che Amici o X Factor vincano tutti i premi più importanti dimenticando che probabilmente gli ascoltatori di questi cantanti sono gli unici a comprare la musica legalmente.

La tua formazione musicale è legata al jazz, come sei riuscito portare la tua esperienza nella musica cantautoriale italiana? Hai avuto difficoltà nell’avvicinare questi due stili diversi?

Ho fatto un disco di jazz nel 2008 (Spellbound, Label Travers) e uno di canzone d’autore nel 2011 (Colpo di sole, Avventura in musica). Non hanno quasi niente in comune se non l’onesta e la genuinità della loro concezione. Il jazz, e lo studio della musica in generale, mi ha aiutato nella composizione e nella facilità di giocare e stabilire i limiti entro i quali comporre. In modo tale da concentrarmi in maniera sempre più consapevole sui testi e sui messaggi. La canzone d’autore ha accompagnato tutta la mia vita: mi sono tenuto lontano dalla scrittura per un sacro timore dal quale oggi mi sono finalmente liberato.

Nella canzone “Camaleonte” è chiaramente percettibile una sorta di “rabbia giocosa”. Quanto senti il protagonista della canzone vicino?

Camaleonte è la più comune fra le bestie umane. Fa parte di tutti noi e ognuno ci si puo’ rispecchiare anche se personalmente penso che ognuno debba combattere il Camaleonte che è in se.

Camaleonte è l’uomo che non sa scegliere e che, per comodità, rimane bambino evitando di responsabilizzarsi. E’ un po’ il dramma della mia generazione. In amore, pero’, questo atteggiamento non è possibile: o ci si reinventa e si continua a crescere e andare avanti oppure la relazione muore.

Dove ha origine la povertà italiana che canti in “Povera Italia”. Quali sono le ragioni dello sbandamento nazionale?

La canzone “Povera Italia” è il grido di rabbia di chi ha visto l’Italia, in questi ultimi anni, abbassarsi, scadere nei toni, nello stile, nell’etica, cadere in ginocchio. E’ un grido che accomuna tante persone solo che io lo interpreto dalla mia prospettiva di italiano all’estero. Da fuori si è meno coinvolti nelle piccole vicende quotidiane, dal polverone alzato dai media, e si ha una visione di insieme spesso più chiara.

In più c’è il confronto con la politica e lo stile di vita in altri paesi d’Europa. Senza dilungarmi in analisi e riflessioni forse fuori luogo in questa intervista, posso dire che a volte in Italia manca un senso civico e di amore per tutto quello che è « bene comune ».

Il Belgio è una antica terra d’emigrazione italiana, ne hai trovato traccia?

Non subito. Questo perché Bruxelles è una città particolare e molto diversa dal resto del Belgio. Nella Bruxelles che ho conosciuto e frequentato fino ad oggi prevalgono le nuove immigrazioni dei giovani laureato con il portatile e lo zaino, per intenderci.

Negli ultimi mesi, pero’ sto lavorando ad un progetto multimediale (foto, musica e film) sulle miniere e sugli italiani che sono venuti in Belgio a lavorare sotto terra a scavare carbone. Sono storie affascinanti e dolorose, che ci riportano quasi ad una società lontana e allo stesso tempo a temi che rimangono invariati negli anni e nei cambiamenti epocali. La nostalgia, il ricordo, la mitizzazione dell’Italia che si è lasciata, le difficoltà di identità e di integrazione, la discriminazione.

Hai già affrontato qualche canzone usando il francese? Quali sonorità, quali sfumature e adattabilità rispetto alla lingua italiana?

Non ho mai scritto in francese ne in inglese. Non ci ho mai provato. Non so dire nemmeno se ci riuscirei o no. Semplicemente il mio piacere, per ora, è quello di scrivere in una lingua che sento mia fino in fondo.

Come è stato vivere così tanto tempo senza governo?

Per me, abituato al fatto che anche quando c’è un governo le cose non funzionino, è stato soprendente constatare come in Belgio, nonostante non ci fosse un governo per molti mesi, tutto funzionasse alla perfezione.

Com’è la situazione della musica indipendente in Belgio? Trovi spazi e pubblico attento?

Trovo che ci sia molta apertura e attenzione alle novità, alle produzioni originali. Nel mio percorso musicale quando ho presentato i miei dischi ho sempre avuto delle bellissime sorprese dalla stampa, dalla radio e naturalmente dal pubblico.

Se potessi lanciare un messaggio a reti unificate in Italia, cosa diresti?

Darei appuntamento a tutti sul sito www.giacomolariccia.com che è la piazza virtuale dove posso accogliere tutti.

Per saperne di più

FB: https://www.facebook.com/giacomolaricciamusic

TWITTER: https://twitter.com/#!/giacomolariccia

YOUTUBE: http://www.youtube.com/user/giacomolariccia?feature=mhee

ITUNES: http://itunes.apple.com/be/album/colpo-di-sole/id492647955

Un intervista di Pietro Bizzini per Altritaliani

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