L’aria del continente.

In Sicilia vince Ferrandelli. Siamo all’ennesimo smacco per il PD. La gente è più politicizzata dei partiti, come dimostrano le ultime primarie di Palermo e Genova. Che Fare? Ma questa volta perdono anche Di Pietro e Vendola. Il PD deve sciogliere i suoi dubbi e decidersi a fare politica.

Fabrizio Ferrandelli ha vinto le primarie in Sicilia battendo la candidata Rita Borsellino sponsorizzata dal PD di Bersani, dall’IdV di Di Pietro e dalla SEL di Vendola. Anche a Genova ha vinto le primarie un candidato non portato ufficialmente dal PD. Eppure la Borsellino per il suo nome e per la sua storia e testimonianza contro le mafie appariva un candidato imbattibile. Viceversa, quasi sempre i candidati appoggiati dal partito democratico sono sconfitti. Come a Milano, Napoli, Cagliari, per citare solo alcuni esempi.

La sconfitta del PD ufficiale e anche dei suoi alleati SEL e IdV, ha delle particolarità tipiche della situazione palermitana. Vengo da lì dove sono stato alcuni giorni ed essendo nell’imminenza del voto per le primarie, è stato inevitabile che parlassi con alcune persone del luogo per capire l’aria che tirava. Ebbene, in primo luogo sono rimasto colpito oltre che dall’accoglienza tradizionalmente generosa dei siciliani, e dal cibo sempre squisito, nonché dall’indiscutibili bellezze della città, da altre cose meno piacevoli, un senso di arretratezza culturale e sociale crescente, una città che appare un cantiere a cielo aperto (e mi dicono da sempre), con lavori infiniti in un contesto di fatiscenza e precarietà strutturale.

In questo contesto, si avvertiva che queste primarie erano diverse. Manifesti, striscioni, volantinaggi dappertutto, un clima di competizione aggressiva e dura, qualcosa di diverso da una democratica e serena competizione interna ad uno schieramento che comunque dovrebbe condividere ideali e progetti comuni. Uno scontro come tra avversari politici di vecchia data. Parlando con i cittadini, nell’albergo, nei ristoranti, ecc., si avvertiva che la strada per la Borsellino non sarebbe stata facile.

Dovunque echeggiava il nome di questo giovane 31enne, Ferrandelli. Molti mi rilevavano che la Borsellino non vive neanche a Palermo, che era stata imposta da Roma (la diffidenza dei siciliani verso il continente resta costante nel tempo) più per il nome che per le sue qualità, che c’era bisogno di aria nuova. Ferrandelli, l’enfant terrible, fuoriuscito dall’IdV, ha materializzato i peggiori incubi del PD e dei suoi occasionali alleati, vincendo le primarie.

Va detto subito che le primarie sono state un successo. Trentamila votanti in una realtà come Palermo non sono poche e dimostrano che i cittadini non hanno una disaffezione verso la politica, piuttosto l’hanno verso questa politica.
Ma bisogna chiedersi cosa c’è dietro questa sorta di maledizione che vuole i candidati di Bersani & c. come gli eterni sconfitti.

Credo che a Palermo ci sia molto di specifico, ma credo che ci sia anche, come nella Cagliari di Zedda, un grande desiderio di nomi e volti nuovi, di giovani che abbiano lo slancio, per portare idee ed energie nuove nella politica.

DOVE-SI-VOTA1.jpg Credo solo in parte, forse è vero per Palermo, tradizionalmente città moderata, che la scelta di Ferrandelli sia frutto di un diverso clima politico nazionale, derivato dalla nascita del governo Monti. Palermo non è città che segue volentieri le vicende romane e comunque continentali. E del resto questo non spiegherebbe perché a Genova abbia prevalso un candidato meno moderato di quello indicato dal PD.
Piuttosto è vero che il governo Monti rappresenta un’altra Italia meno cialtrona e sognatrice di quella berlusconiana, un’Italia più sobria e che guarda alla realtà delle cose. In questo senso sì, la ragion pratica dei palermitani dimostra che più che gli effetti speciali e il sussulto emotivo che può dare il nome Borsellino, si vogliono persone realmente concrete e vicino alla città per cercare di uscire dall’attuale realtà degradata del capoluogo.

Penso vi siano due fatti su cui riflettere. In primo luogo il PD dovrebbe costruire la sua rete organizzativa, ritornare nel territorio, riaprire quelle che ai tempi del PCI si chiamavano sezioni, riabituarsi ad ascoltare i cittadini, essere presente ai problemi delle famiglie a quelle dei quartieri, coinvolgendo tutti nelle piccole scelte, prima che nelle grandi, come le primarie. Più che velleitarie e inascoltate TV come Youdem, o di pagine su Twitter e Facebook, poco lette e seguite solo da una parte (nemmeno grande) di giovani, occorre un partito che ricostruisca un modo di stare insieme, che prepari i cittadini e li guidi nelle rivendicazioni per il proprio territorio, preparare sul campo una nuova classe politica in cui ciascuno si riconosca senza calarla dall’alto, magari da qualche vertice di partito. Insomma, non si può scomparire per anni e poi credere di avere con venti giorni di campagna elettorale o di primarie, ristabilito un rapporto con la comunità.

Come insegnavano i dirigenti comunisti, ma anche democristiani, questo rapporto si consolida con anni di lavoro e d’iniziative, attraverso un rapporto diretto e personale che renda protagonisti e partecipi gli stessi cittadini.

Ma, aldilà dell’aspetto organizzativo, che resta essenziale, si pone un ulteriore problema.

Qual è il progetto del PD? a che tipo di società si pensa? il PD promuove quale modello di sviluppo?

La mancata crescita di consenso del partito è frutto di un vuoto ideologico, ovvero dell’assenza di un pensiero che unisca le persone che le sintonizzi su una visione del futuro in cui ci si possa riconoscere.
Su questa crisi economica, sull’Europa, sui temi etici, su quale sviluppo per la società non si è sentita una sola parola chiara. Si parla astrattamente di questi temi senza mai dettare una linea politica riconoscibile, su cui si possa aggregare un consenso che vada aldilà dei sondaggi che sono spesso espressione irrazionale degli umori popolari.

Si parla di crescita, ma quale crescita? Si parla di aumentare i consumi, ma siamo certi che il fine di una società sana sia il consumismo? Si parla di salvare l’euro (cosa sacrosanta), ma siamo certi che l’Europa possa avere come unico obbiettivo la sua moneta comune? Si parla di laicità, ma siamo sicuri che con la doppia anima cattolica e socialista si possa dare risposta sui temi bioetici, piuttosto che sui pacs ed altro? Sul lavoro, siamo certi che il protezionismo sindacale sia l’unica soluzione, o forse bisognerebbe ridiscuterne evitando conflitti generazionali? Rispetto alla mondializzazione, qual è la visione del PD? Rispetto ai mercati finanziari e ai loro privilegi? E le banche? Quale modello di benessere si pensa per i cittadini?

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Su questo ed altro non si può dire un giorno una cosa e l’altro un’altra. Occorre una linea univoca e se non tutti sono d’accordo chi è in minoranza resta e accetta oppure… prego andare.
Anche in temi di alleanze: si va con la sinistra estrema (Vendola, Ferrero) e giustizialista (Di Pietro) oppure si cerca una via moderata con il terzo polo?

Queste scelte presuppongono punti ed idee comuni, nonché una volontà chiara e coerente.
Il vero problema è che nella prima repubblica vi erano ideologie chiare (resto dell’idea che l’ideologia non sia una bestemmia), oggi si fa dell’ideologismo, ci si contrappone per partito preso su tutto, dando prova che il maggioritario all’italiana, non è ancora maturo per un confronto serio, per quanto serrato e duro, sui modelli di società che si vogliono costruire.

Venti anni di tempo perso con Berlusconi, offrono ora, con la decantazione e la pesante cura di Monti, la possibilità di ricostruire la politica e il suo rapporto con i cittadini.

Troverei terribile che alla fine del 2013, la politica abiurasse ancora alle sue responsabilità, invocando l’intervento di papà Monti.
Quando Monti avrà concluso il suo percorso deve uscire di scena, magari potrà essere un ottimo presidente della repubblica (e non è poco) ma nulla di più o di diverso.
L’attuale classe dirigente del PD (ma il discorso vale per tutti i partiti) deve agire in questo senso oppure deve dare spazio ai giovani che magari potranno offrire idee e metodi nuovi, restare arroccati in una gare con la destra a chi perde di meno è suicida ed irresponsabile, verso una comunità nazionale che si sente priva di rappresentanza ed inascoltata.

Se la politica perde la sua visione complessiva e i suoi riferimenti ideologici (di una nuova ideologia) certi è evidente che le primarie si ridurranno ad un’asfittica competizione sui particolari della propria città o della propria regione, e la soluzione non è certo quella di truccare le primarie (unica intelligente e coraggiosa scelta dell’Ulivo e poi del PD), di addomesticarle per ottenere il risultato desiderato dalla dirigenza centrale, il vero punto è il costante coinvolgimento culturale e politico dei cittadini, far crescere una coscienza politica che è stata demolita negli anni dal terrorismo e poi dal craxismo ed infine dal berlusconismo.

Occorre un capillare lavoro di convegni, incontri, assemblee ed iniziative che ricostruiscano quel tessuto culturale che costituiva il terreno fertile di un paese dove i cittadini erano informati (seriamente) e partecipi, capaci a loro volta di proposte ed iniziative.
Affidarsi alla comunicazione televisiva per risolvere tutto e a mio avviso sbagliato ed inutile come confidare anche nel solo confronto virtuale su internet. Il mezzo televisivo ormai è desueto, vecchio e non soddisfacente per i suoi limiti tecnici. Internet è il futuro, ma occorre che questo futuro si coniughi con il presente e comunque dubito che la politica virtuale possa del tutto sostituire quella reale, semmai può essere, come dimostra la “Primavera araba”, un mezzo, ma poi la politica si fa nelle piazze, nelle strade, nei luoghi di lavoro, nelle scuole e nelle università, finanche nei bar, ecc., in una parole nelle situazioni di aggregazione.

La sobrietà di Monti e il consenso che raccoglie dimostrano che i cittadini vogliono qualcosa di più del virtuale, chiedono un contatto serio e direi fisico con la politica e non accettano più di essere solo spettatori della commedia televisiva che è oggi la politica italiana. Una fiera stanca di banalità ed ipocrisie.

Nicola Guarino

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Nicola Guarino
Nicola Guarino, nato ad Avellino nel 1958, ma sin dall’infanzia ha vissuto a Napoli. Giornalista, già collaboratore de L'Unità e della rivista Nord/Sud, avvocato, direttore di festival cinematografici ed esperto di linguaggio cinematografico. Oggi insegna alla Sorbona presso la facoltà di lingua e letteratura, fa parte del dipartimento di filologia romanza presso l'Università di Parigi 12 a Créteil. Attualmente vive a Parigi. E’ socio fondatore di Altritaliani.