Italinscena : conversation avec Saverio La Ruina, dans le cadre de Face à Face 2011

LA CONVERSAZIONE IN ITALIANO CON SAVERIO LA RUINA SEGUE LA PRESENTAZIONE IN FRANCESE.

Lecture en français de «La Borto» (La Vortement) de Saverio La Ruina, par Valérie Dreville au Théâtre de la Ville (Café des Œillets) le 9 juin 2011 à 18H30, dans le cadre des Chantiers d’Europe Italie et du Festival Face à Face.

Traduit de l’italien par Federica Martucci et Amandine Melan avec le soutien de la Maison Antoine Vitez, centre international de la traduction théâtrale.


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Né en Calabre, Saverio La Ruina est auteur, acteur et metteur en scène. Il est co-fondateur avec Dario de Luca de la Compagnie Scena Verticale installée depuis 1992 à Castrovillari en Calabre.

Scena Verticale a reçu en 2003 le Prix de la Critique Théâtrale décerné par l’Associazione Nazionale dei Critici Teatrali. Toujours avec Dario De Luca et la Compagnie Scena Verticale, Saverio La Ruina a pris la direction artistique du festival de théâtre Primavera dei Teatri en 1999 qui a été récompensé par le Prix Bartolucci en 2001 et le Prix UBU en 2009. En 2007, Saverio La Ruina a remporté deux autres prix UBU: celui du Meilleur Acteur principal et celui du Nouveau texte italien avec Dissonorata. Delitto d’onore in Calabria, qu’il a écrit, interprété et mis en scène. Un énième prix UBU (Nouveau texte italien) lui est décerné en 2010 pour La Borto, monologue dont il est encore une fois l’auteur, le metteur en scène et l’interprète.

C’est ce texte qui sera lu par Valérie Dreville au Théâtre de la Ville le 9 juin 2011 à 18H30.

Saverio La Ruina

A l’occasion de la lecture en français de “La Borto” au Théâtre de la Ville à Paris le 9 juin 2011, rencontre avec son auteur Saverio La Ruina.

Auteur, acteur et metteur en scène calabrais, Saverio La Ruina est un protagoniste important de la scène contemporaine italienne. Il fait partie de cette génération qui depuis le début des années 90 témoigne de la volonté de défier les conditions de création difficiles en contribuant au processus de renouvellement du langage scénique en Italie. Il est resté ancré à sa région natale où il a fondé la Compagnie, Scena Verticale, aujourd’hui réputée au niveau national notamment grâce au remarquable et chaleureux “Festival Primavera dei Teatri” que la Compagnie organise chaque année, depuis douze ans, au mois de juin et qui est aujourd’hui un rendez-vous unique dans le Sud de l’Italie.

Plusieurs fois récompensé par le prix UBU, Saverio La Ruina est le premier acteur et auteur calabrais à recevoir ce prix, reconnaissance d’importance dans le monde du théâtre en Italie. Qu’il écrive en dialecte ou en italien, son écriture est fortement marquée par ses racines, par la réalité anthropologique et linguistique de sa terre et par la tradition méridionale, d’où il tire largement son inspiration quant aux thèmes.

Dans son travail le contenu est important, le choix de ses sujets le range du côté des artistes dont la responsabilité est aussi celle de s’opposer aux réalités les plus obscures de notre présent. Mais sa singularité se révèle aussi dans sa recherche sur le langage théâtral. Ainsi dans La Borto, Saverio La Ruina est parti du dialecte sur lequel il a travaillé avec minutie pour plier la langue à ses exigences de dramaturge sans pour autant que l’artifice de son intervention n’apparaisse. La Borto est son premier texte à être traduit et lu en français.

La Borto (La Vortement), vainqueur du prix UBU (meilleur nouveau texte italien) en 2010, aborde la délicate thématique de l’avortement.

Vittoria, une femme simple et dévote, vit dans un petit village de Calabre. Selon la volonté de ses parents, elle est mariée, “vendue”, à treize ans à une espèce de monstre, deux fois plus âgé qu’elle. A vingt-huit ans, elle a déjà sept enfants. A sa huitième grossesse, elle décide de recourir à l’avortement clandestin. Vittoria raconte son histoire d’une manière bouleversante mais aussi avec sarcasme et humour. Avec ses mots de fille de la campagne sans instruction, elle raconte ce calvaire qui fut exclusivement celui des femmes et qui continue de l’être, non plus à cause des risques de l’opération, mais du fait des préjugés et de l’hostilité qui, eux, perdurent.


CONVERSAZIONE IN ITALIANO

Federica Martucci : “La Borto”, che hai scritto all’origine in calabrese, si ispira ad una realtà popolare che tu conosci bene, a fatti del tuo villaggio, si appoggia sulla tradizione del racconto orale facendo ovviamente pensare al teatro narrativo sorto in Italia negli anni 90 con Antonio Tarantino, Ascanio Celestini, Marco Baliani, Laura Curino e ben altri. Quali sono state le esperienze che hanno contribuito a formarti come autore e attore, anzi direi come autore-attore?

Saverio La Ruina : Non ci sono collegamenti molto riconoscibili. Il percorso che mi ha portato ad essere ideatore dei miei lavori parte da spinte più o meno inconsce di maestri come Leo De Berardinis e Remondi e Caporossi con i quali ho lavorato diversi anni. Come attore, dopo essermi diplomato alla Scuola di Teatro di Bologna diretta da Alessandra Galante Garrone, ho continuato la mia formazione con un attore straordinario come Jerzy Stuhr. Come autore ho molto amato i testi di Annibale Ruccello, Ascanio Celestini e Spiro Scimone. Come anche Koltes (in particolare “La notte poco prima della foresta”), o autori letterari come Celine (“Viaggio al termine della notte”), Garcia Marquez, Calvino, o il Pasolini letterario di “Ragazzi di vita” e cinematografico di “Accattone” e “Mamma Roma”. Ma la mia cosiddetta cifra autoriale (termine che uso per capirci ma che mi crea grande imbarazzo) in “Dissonorata” e “la Borto” è molto influenzata dal racconto orale dei depositari inconsapevoli di questa tradizione: persone reali riconducibili a mia nonna, le mie zie, le loro amiche, ma anche a mia madre e a mio padre e dalla conoscenza profonda della loro realtà antropologica. Naturalmente il loro linguaggio viene piegato alle mie esigenze di scrittura. C’è molto artificio, ma che non deve essere percepito dall’ascoltatore. Trattandosi di personaggi popolari l’impatto delle parole deve essere estremamente diretto e concreto. La prova del nove è la lettura che faccio ad alcuni depositari viventi della tradizione orale. Se loro non notano l’artificio, ho vinto la scommessa. Altrimenti riscrivo.

I miei monologhi si discostano dal teatro di narrazione correntemente inteso. Non c’è racconto in terza persona. C’è un personaggio che si racconta in prima persona. Ne consegue che in ogni lavoro “vive” un personaggio diverso, con una sua voce e una sua precisa partitura gestuale.

Hai scritto e interpretato La Borto in dialetto calabrese prima di decidere di tradurlo in italiano, come hai vissuto questa trasformazione ?

Saverio La Ruina

Ancora non ne ho esatta coscienza, essendo alla mia prima esperienza. Né esistono esempi a cui far riferimento nella mia regione e ancora di meno nella mia zona di provenienza. Non c’è in Calabria una tradizione in questo senso, come quella napoletana e campana o siciliana che hanno anche esempi illustri. Per cui sono andato avanti a tentativi, guidato da un “sentirmi a mio agio”. E non sempre ci sono riuscito, come quando mi è risultato impossibile restituire l’efficacia di certe espressioni dialettali o certi andamenti ritmici e melodici. Ma non sono insoddisfatto dei risultati. La ritengo una fase sperimentale che mi sta portando a una riflessione sui rapporti tra dialetto e lingua italiana che spero mi porti in futuro a una ulteriore evoluzione della mia scrittura.

Dal calabrese all’italiano e adesso al francese…in effetti all’iniziativa della Maison Antoine Vitez, La Borto è stato tradotto in francese e verrà letto da Valérie Dreville au Théâtre de la Ville a Parigi il 9 giugno. Si tratta della prima traduzione di un tuo testo in lingua straniera, cosa ti ispira questo nuovo passo ?

Si, è la prima vera traduzione. Ne sono state effettuate delle altre ma solo ai fini della sottotitolatura per le repliche dei due lavori all’estero (Inghilterra, Irlanda, Argentina, Croazia, Germania, Olanda). Quindi le traduzioni erano più che altro orientate alla pura e semplice comprensione. Per cui sono molto curioso di questa traduzione in francese. E i feedback emotivi che ne ho avuti mi fanno pensare che l’originale sia caduto in buonissime mani.

Nello spettacolo La Borto, come già prima nello spettacolo Dissonorata, hai scelto un teatro al femminile evocando destini di donne dominate dallo sguardo e l’atteggiamento predatori degli uomini. Ci puoi parlare di questo tuo impegno a dare voce al popolo delle donne ?

Le donne di cui parlo sono donne calabresi e lucane come dicevo prima riconducibili a mia nonna, le mie zie, le loro amiche, mia madre stessa. Donne che amo profondamente. Donne che sono state il vero motore delle società calabrese e lucana (in sintesi potrei dire dell’area del Pollino che include le due regioni). Gli uomini tenevano ufficialmente il comando e loro glielo lasciavano a causa di fattori culturali ereditati e da loro stesse condivisi. Ma l’energia, la forza e anche l’intelligenza istintiva che ha guidato la sopravvivenza e lo sviluppo di queste comunità a mio parere proveniva soprattutto da queste donne. Anche l’anaffettività che ha contraddistinto le figure maschili, che poi immancabilmente si addolcivano indebolendosi invecchiando, è stata compensata dalla rete affettiva che queste donne hanno saputo creare soccorrendosi reciprocamente tra mille incombenze. Mi chiedo cosa ne sarebbe della Calabria qualora queste donne, spesso semi analfabete, avessero potuto esercitare il loro sacrosanto diritto allo studio.

In Italia, hai interpretato te stesso questi monologhi di donne. Hai scelto di evocare questi destini femminili senza trasformarti in donna, senza scimmiottarle e conservando la tua identità maschile. Come si è svolto il passaggio dalla scrittura al lavoro d’attore ? Cosa ha determinato le tue scelte ?

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Volevo fin dall’inizio interpretare in prima persona questi ruoli femminili. Volevo che fosse l’uomo carnefice che desse voce alla sua vittima autodenunciando le sue colpe e le sue mancanze. Per questo non mi interessava “trasformarmi” in una donna. Volevo che l’uomo rimanesse visibile sulla sedia dell’imputato. Ma che allo stesso tempo evocasse credibilmente una donna in modo da trasmettere il suo dramma ai cuori degli spettatori perché fosse compreso e condiviso. Scimmiottare una donna avrebbe sortito un effetto grottesco che avrebbe distrutto il risultato che volevo ottenere.

Mentre scrivo dico ad alta voce le cose che scrivo. Tutto quello che risuona nel corpo e aggancia dei gesti rimane. Quello che si rivela inerte, letterario, lo riscrivo. Già nella scrittura il personaggio si rivela al cinquanta per cento, il resto durante le prove. Naturalmente ho immagini e voci precise sedimentate nella mia memoria. E quelle che mi mancano vado a cercarle di persona.

In questi spettacoli, le zie sono tante e hanno un ruolo essenziale nel racconto come anche la « nonna », cosa rappresenta per te questa figura della « zia », della « nonna » ? Pensi che sia tipica del meridione, di una certa epoca ?

In parte ne ho parlato al quarto punto.

Forse le donne da me “rappresentate” sono più tipiche del Meridione e di una certa epoca. O forse più precisamente sono più tipiche di una certa epoca. Spesso al Nord mi dicono “mia madre, mia nonna, mia zia, era proprio così”. In ogni caso la loro dignità, la loro sofferenza, gli ostacoli contro cui hanno dovuto lottare sono ancora oggi patrimonio vivo e scottante di tutte le donne del mondo. Un patrimonio di cui l’uomo non può dirsene fiero.

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Proprio in questi giorni (dal 31 maggio al 5 giugno 2011) si svolge a Castrovillari la dodicesima edizione del Festival primavera dei Teatri, Festival sui linguaggi della scena contemporanea, ideato e organizzato dalla tua Compagnia, Scena Verticale, e diretto artisticamente da te e Dario de Luca. Questo appuntamento molto apprezzato dal pubblico e dai critici ha contribuito a rivelare talenti italiani dell’ultima generazione. Come si presenta questa nuova edizione ?

Nonostante i tagli, quest’ultima edizione è a mio parere di grande interesse. Ci sono moltissime prime nazionali di artisti molto interessanti, alcuni già apprezzati da pubblico e addetti ai lavori e che il festival ha contribuito in passato a far conoscere. Ma ci sono anche tanti artisti giovanissimi e sconosciuti che non mancheranno di farsi conoscere e apprezzare proprio in questa edizione.

Come lo dimostra anche quella che viene chiamata oggi la scuola siciliana (rappresentata da Emma Dante, Tino Caspanello, Spiro Scimone…), si nota al Sud e in particolare in Calabria una volontà di resistere al disimpegno delle istituzioni e sfidare le condizione disagiate. Tu che hai una compagnia in Calabria, cosa pensi della situazione della creazione teatrale al Sud ?

Creare a sud è più faticoso perché sei più isolato e le istituzioni sono più distanti, due cose che finiscono per influenzarsi a vicenda. E questo vale soprattutto per la Calabria che non ha grandi centri culturali. Però al Sud esistono più contraddizioni e un rapporto più violento con la realtà che se giustamente incanalati e rielaborati possono portare a creazioni teatrali più vitali e necessarie.

Sarai presente il 9 giugno a Parigi per la lettura di La Borto, come ti senti all’idea di sentire la tua protagonista Vittoria parlare in francese ?

Vittoria è una persona semplice, che poco ha avuto dalla vita. E che una grande attrice come Valérie Dreville ritenga le sue povere parole degne di essere pronunciate stenta a crederci. E gliene è grata. Per lei è un di più che le ha riservato la vita. Ed è felice che le provenga da una donna. Come è felice che anche la traduzione sia stata fatta da una donna. È contenta e stupita che le sue parole interessino altre generazioni di donne e di ‘paìsi stranìari’, come direbbe lei. In altre parole ringrazia molto queste giovani amiche. Ecco, mi sembrava più giusto riportare il suo pensiero che io affettuosamente condivido.

Federica Martucci

CONVERSATION EN FRANCAIS

Federica Martucci : La Vortement, que tu as écrit à l’origine en dialecte calabrais, s’inspire d’une réalité populaire qui t’est familière, de faits advenus dans ton village, ce texte s’appuie sur la tradition du conte oral faisant bien entendu penser au théâtre de narration qui a émergé en Italie dans les années 90 avec Antonio Tarantino, Ascanio Celestini, Marco Baliani, Laura Curino et bien d’autres. Quelles sont les expériences fondatrices qui ont contribué à te former comme auteur et acteur, je dirais même comme auteur-acteur ?

Saverio La Ruina : Il n’y a pas de liens vraiment identifiables. Le parcours qui m’a conduit à être l’auteur de mes travaux est né d’impulsions, plus ou moins inconscientes, de maître comme Leo De Bernardinis, Remondi et Caporossi avec lesquels j’ai travaillé pendant plusieurs années. En tant qu’acteur, après mon diplôme à la Scuola di Teatro di Bologna dirigée par Alessandra Galante Garron, j’ai poursuivi ma formation avec un acteur extraordinaire, Jerzy Stuhr. Comme auteur, j’ai beaucoup aimé les textes de Annibale Ruccello, Ascanio Celestini et Spiro Scimone. Mais aussi Koltes (en particulier «La nuit juste avant les forêts») ou des écrivains comme Céline («Voyage au bout de la nuit»), Garcia Marquez, Calvino ou Pasolini l’écrivain de «Les Ragazzi» et le cinéaste de «Accatone» et «Mamma Roma».

Mais mon style, ma prétendue patte d’auteur (terminologie que j’utilise pour mieux me faire comprendre mais qui me met dans l’embarras) dans «Dissonorata» et «La Borto» sont très influencés par le récit oral de dépositaires inconscients de cette tradition : personnes réelles qui peuvent renvoyer à ma grand-mère, mes tantes, leurs amies, mais aussi à ma mère et à mon père. Cette patte est aussi influencée par la connaissance profonde de leur réalité anthropologique.

Bien entendu, leur langage est adapté à mes exigences d’écriture. Il y a des artifices mais qui ne doivent pas être perçus par celui qui écoute. S’agissant de personnages populaires, l’impact de leurs paroles doit être extrêmement direct et concret. La preuve par neuf en est la lecture que je fais devant certains dépositaires vivants de cette tradition orale. Si eux ne remarquent pas l’artifice, j’ai gagné le pari. Sinon je réécris.
Mes monologues se distinguent du théâtre de narration tel qu’on l’entend généralement. Il n’y a pas de récit à la troisième personne. Il y a un personnage qui se raconte à la première personne. Il en résulte que chaque travail «donne vie» à un personnage différent, avec sa propre voix et sa partition gestuelle particulière.

F.M. : Tu as écrit et interprété La Borto en dialecte calabrais avant de décider de le traduire en italien, comment as-tu vécu cette transformation ?

Saverio La Ruina

Saverio La Ruina : Je n’en ai pas encore pleinement conscience, puisque j’en suis à ma première expérience. Il n’y a pas non plus d’exemples auxquels se référer dans ma région et encore moins dans mon berceau d’origine. Il n’y a pas en Calabre de tradition en ce sens, à la différence de celle napolitaine et de Campanie ou encore sicilienne qui offrent des exemples illustres. C’est pourquoi, j’ai avancé en faisant des essais et guidé par le sentiment d’être à mon aise. Mais je n’y suis pas toujours parvenu, comme cela a été notamment le cas lorsqu’il m’a été impossible de restituer l’efficacité de certaines expressions dialectales ou certaines progressions rythmiques et mélodiques. Mais je ne suis pas insatisfait des résultats. Je considère cela comme une phase expérimentale qui m’amène à réfléchir sur les rapports entre le dialecte et la langue italienne, réflexion qui j’espère me conduira à l’avenir vers une ultérieure évolution de mon écriture.

F.M. : Du calabrais à l’italien et à présent au français…En effet, à l’initiative de la Maison Antoine Vitez, La Borto a été traduit en français et sera lu par Valérie Dreville au Théâtre de la Ville à Paris le 9 juin. Il s’agit de la première traduction en langue étrangère de l’un de tes textes, que t’inspire ce nouveau pas ?

Saverio La Ruina : Oui, c’est la première vraie traduction. Il y en a eu d’autres mais seulement pour des besoins de sous-titrage pour les représentations de «Dissonorata» et «La Borto» à l’étranger (Angleterre, Irlande, Argentine, Croatie, Allemagne, Hollande). En conséquence, ces traductions étaient surtout destinées à la compréhension pure et simple. C’est pourquoi, je suis très curieux de découvrir la traduction française. Et les retours que j’ai reçus me laissent penser que l’original est tombé dans de très bonnes mains.

F.M. : Dans le spectacle “La Borto,” comme déjà dans le précédent “Dissonorata”, tu as choisi un théâtre au féminin en évoquant des destins de femmes dominées par le regard et le comportement prédateurs des hommes. Peux-tu nous parler de ton engagement à donner la parole au peuple des femmes ?

Saverio La Ruina : Les femmes dont je parle sont des femmes de Calabre et de Lucanie, qui comme je le disais avant, ramènent à ma grand-mère, mes tantes, leurs amies, à ma mère elle-même. Des femmes qui ont été le vrai moteur de la société en Calabre et en Lucanie (en résumé je pourrais dire dans la zone du Pollino qui comprend les deux régions). Les hommes étaient officiellement aux commandes et elles le leur laissaient en raison de facteurs culturels hérités et qu’elles-mêmes partageaient. Mais l’énergie, la force et même l’intelligence instinctive qui a guidé la survie et le développement de ces communautés émanaient, à mon avis, surtout de ces femmes. Même l’absence de sensibilité, qui a distingué les figures masculines qui immanquablement s’adoucissaient ensuite en s’affaiblissant avec l’âge, a été compensée par le tissu affectif que ces femmes ont su tisser en se secourant réciproquement au milieu des mille et une tâches qui leur incombaient. Je me demande ce qu’il en serait de la Calabre, si ces femmes souvent semi-analphabètes, avaient pu exercer leur sacro-saint droit aux études.

F.M. : En Italie, tu as toi-même interprété ces monologues de femmes. Tu as choisi d’évoquer ces destins féminins sans te transformer en femme, sans les singer et en gardant ton identité masculine. Comment s’est déroulé le passage de l’écriture au travail d’acteur ? Qu’est ce qui a déterminé tes choix ?

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Saverio La Ruina : Depuis le début je voulais interpréter à la première personne ces rôles féminins. Je voulais que ce soit l’homme bourreau qui prête sa voix à sa victime en autodénonçant ses fautes et ses manquements. Pour ce faire, cela ne m’intéressait pas de me
«transformer» en femme. Je voulais que l’homme demeure visible sur la chaise de l’accusé. Mais aussi, qu’au même moment, il évoque avec crédibilité une femme, de manière à transmettre son drame au cœur des spectateurs pour qu’il soit compris et partagé. Singer une femme aurait provoqué un effet grotesque qui aurait détruit le résultat que je souhaitais obtenir.

Lorsque j’écris, je dis à voix haute ce que j’écris. Tout ce qui résonne dans le corps et accroche des gestes reste. Ce qui se révèle inerte, littéraire, je le réécris. Dès l’écriture, le personnage se révèle à cinquante pour cent, le reste vient durant les répétitions. Naturellement, j’ai des images et des voix précises en dépôt dans ma mémoire. Et celles qui me manquent je vais les chercher par moi-même.

F. M : Dans ces spectacles, “le zie” c’est-à-dire les tantes sont nombreuses et jouent un rôle essentiel dans le récit tout comme “la nonna”, la grand-mère. Que représente pour toi cette figure de la zia , de la nonna ? Penses-tu qu’elle soit typiquement méridionale, attachée à une certaine époque ?

Saverio La Ruina : Pour compléter ce que j’ai dit sur les femmes de La Borto, j’ajouterais que peut être les femmes «représentées» par moi sont plus typiques du Sud de l’Italie et d’une certaine époque. Ou peut être, pour être plus précis, plus typique d’une certaine époque. Souvent dans le Nord on me dit «ma mère, ma grand-mère, ma tante, était vraiment comme ça». Dans tous les cas, leur dignité, leur souffrances, les obstacles contre lesquels elles ont du lutter sont aujourd’hui encore un patrimoine vivant et brûlant de toutes les femmes du monde. Un patrimoine dont l’homme ne peut pas se déclarer fier.

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F. M. : Ces jours-ci (du 31 mai au 5 juin 2011) se déroule à Castrovillari en Calabre la 12ème édition du Festival «Primavera dei Teatri» («Printemps des Théâtres»), Festival des langages de la scène contemporaine, conçu et organisé par ta compagnie “Scena Verticale”, et dont tu es le directeur artistique avec Dario de Luca. Ce rendez-vous très apprécié du public et des critiques a contribué à révéler en Italie des talents de la dernière génération. Comment se présente cette nouvelle édition ?

Saverio La Ruina : Malgré les réductions de budget, cette nouvelle édition est à mon avis pleine d’intérêt. Il y aura la première nationale de nombreux artistes très intéressants, certains déjà appréciés du public et des professionnels et que le festival a contribué par le passé à faire connaître. Mais il y a aussi beaucoup d’artistes très jeunes et inconnus qui ne manqueront pas de se faire connaître et apprécier dans le cadre de cette édition.

F.M. : Comme le démontre aussi celle qui est aujourd’hui baptisée l’école sicilienne (représentée par Emma Dante, Tino Caspanello, Spiro Scimone…), on note au Sud et, en particulier en Calabre, une volonté de résister au désengagement des institutions et de défier les conditions financières difficiles. Toi qui a une compagnie en Calabre, quel est ton avis sur la situation de la création théâtrale au Sud ?

Saverio La Ruina : Créer dans le Sud est plus fatigant parce que tu es plus isolé et les institutions sont plus distantes, deux choses qui finissent par s’influencer l’une l’autre. Et ceci vaut surtout pour la Calabre qui ne dispose pas de grands centres culturels. Toutefois, au Sud il existe plus de contradictions et un rapport plus violent avec la réalité, qui s’ils sont canalisés et réélaborés avec justesse, peuvent amener à des créations théâtrales plus vitales et nécessaires.

F.M. : Tu seras présent le 9 juin à Paris pour la lecture de La Borto, comment te sens-tu à l’idée d’entendre ta protagoniste, Vittoria, parler en français ?

Saverio La Ruina : Vittoria est une femme simple, qui a reçu bien peu de la vie. Qu’une grande actrice comme Valérie Dreville retienne ses humbles paroles dignes d’être prononcées, elle a du mal à y croire. Et elle lui en est reconnaissante. Pour elle, c’est un plus que la vie lui a réservé. Et elle est heureuse que cela lui soit donné par une femme. Comme elle est heureuse que la traduction aussi ait été faite par deux femmes. Elle est heureuse et étonnée que ses paroles intéressent d’autres générations de femmes et de « ‘paìsi stranìari » comme elle le dirait dans son dialecte. En d’autres termes, elle remercie beaucoup ces jeunes amies. Voilà, il me semblait plus juste de rapporter ses pensées, que moi je partage affectueusement.

Federica Martucci

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Italinscena

Italinscena est un rendez-vous d’exploration critique des nouvelles écritures théâtrales italiennes proposé par les lecteurs et traducteurs du Comité italien de la Maison Antoine Vitez en partenariat avec ALTRITALIANI.NET

Maison Antoine Vitez

Centre International de la Traduction Théâtrale

134, rue Legendre – 75017 Paris

Membres du comité italien: Antonella Amirante (metteuse en scène), Sylvia Bagli (comédienne, traductrice), Angela de Lorenzis (dramaturge), Eve Duca (enseignante, traductrice), Olivier Favier (traducteur), Juliette Gheerbrant (traductrice), Hervé Guerrisi (comédien, traducteur, metteur en scène), Giampaolo Gotti (metteur en scène), Federica Martucci (comédienne, traductrice), Maria Cristina Mastrangeli (metteuse en scène, comédienne, traductrice), Amandine Mélan (traductrice), Caroline Michel (comédienne, traductrice), Antonia Proto Pisani (dramaturge), Julie Quénehen (enseignante, traductrice), Paola Ranzini (enseignante).

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