Anagnina, una foto

Lessi tanti anni fa una frase attribuita a Marx, che diceva qualcosa come : l’unico sentimento legittimo nei confronti della patria è la vergogna, e me ne sono appropriato. Pure, con il passare del tempo, mi ci sento meno a mio agio : la vergogna in fondo non è che l’altra faccia della fierezza, ed entrambe mi sembrano inadeguate ad esprimere la relazione affettiva con il posto in cui, per caso, si è nati. Perché mai si dovrebbe tirar merito, o demerito, inorgoglirsi o arrossire per i trionfi o le sciocchezze, voire les crimes, commessi da qualcuno, anche lui nato per caso nello stesso paese ? (È una reazione di legittima difesa, direbbe forse uno psico-segugio, per i troppi anni passati a scusarsi dei troppi obbrobri dell’era berlusconiana).

Ma – anche mi dico – non è così semplice. O meglio, se (mi) è facile scartare come insulsa la connessione «fierezza / patria», per le ragioni sopra addotte (mi ritrovo senza riserve nel celebre aforisma di Samuel Johnson : il patriottismo è l’ultimo rifugio dei cialtroni), più complesso mi sembra quel che concerne il sentimento della vergogna, che forse non può ridursi solamente ad un’inversione della prima. Non voglio qui affrontare la difficilissima questione storica delle responsabilità collettive di un popolo (esistono ? non esistono ? come individuarle ?), ma quella, più banale e individuale, dell’inevitabile senso di disagio che si prova di fronte a certi particolari crimini commessi da individui usciti dalla nostra stessa comunità, che possiedono la nostra stessa lingua madre. Ne ho avuto una prova due giorni fa, a Roma.

Diretto a Ciampino (da lì partiva l’aereo che doveva riportarmi a Parigi), sono arrivato alla stazione della metropolitana di Anagnina. Mi sono avvicinato, curioso, ad una colonna che spiccava da lontano vivace, tappezzata com’era con foto, drappeggi dai diversi colori, e tanti, tanti messaggi : in rumeno – e mi sono ricordato, con improvviso sgomento, che proprio lì era stata uccisa, solo pochi giorni prima, Maricica Hahaianu.

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Sgomento: innanzitutto per quella vita, finita per futili motivi (un diverbio da nulla, e quel pugno che esplode spropositato, smisurato, inatteso), e per l’indifferenza agghiacciante che l’ha accompagnata, quella fine (ha fatto il giro del mondo il video che riprende i passanti assistere al diverbio, e poi continuare imperturbabili a passare oltre, aggirando sul marciapiede la donna in fin di vita, il suo corpo ormai inerte, per lunghi minuti, forse meno, ma sembrano ore, infinite…) – quindi, anche, sgomento per il contesto xenofobo dentro il quale quella violenza assurda ha potuto esprimersi (intendo “collettivamente”, ché forse, “individualmente”, l’assassino, appunto italiano, è solo un balordo, e non aveva intenzione di uccidere, o forse, anche, non era esplicitamente razzista la sua motivazione: ma questo, importante certo in sede processuale, non cambia nulla alla gravità del contesto “collettivo”. E del resto, poi…: chi e come processerà quei passanti “indifferenti”?). Sgomento infine perché, fra i tanti messaggi, non ne vedevo in italiano.

Ma poi, ecco, uno l’ho trovato, era scritto da un’altra donna. Lo sgomento, certo, non è finito, ma ho sentito, come dire, una sorta di ineffabile filo che mi univa a quella mano, che aveva scritto appunto nella mia stessa lingua – così, ho preso una foto, pensando che valeva la pena mostrarla nel sito.

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E nel caso la definizione non fosse abbastanza buona perché vi si legga dentro direttamente, trascrivo qui sotto, senza cambiare una virgola e senza commento, quelle parole. Come una testimonianza di qualcosa di orrendo che, sempre di più, sta succedendo laggiù…

MI VERGOGNO DI ESSERE ITALIANA,

QUESTO PAESE DI MERDA

NON SARÀ MAI LA TERRA

PROMESSA DI NESSUNO HA

UN INFERNO DI VIOLENZA

E XENOFOBIA. CHE SCHIFO.

SOLIDARIETÀ DA PARTE DI

CHI CONSIDERA IL RAZZISMO

IL PRIMO REATO

Giuseppe A. Samonà

Foto Metrò Anagnina di G.A. Samonà

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Giuseppe A. Samonà
Giuseppe A. Samonà, dottorato in storia delle religioni, ha pubblicato studi sul Vicino Oriente antico e sull’America indiana al tempo della Conquista. 'Quelle cose scomparse, parole' (Ilisso, 2004, con postfazione di Filippo La Porta) è la sua prima opera di narrativa. Fa parte de 'La terra della prosa', antologia di narratori italiani degli anni Zero a cura di Andrea Cortellessa (L’Orma 2014). 'I fannulloni nella valle fertile', di Albert Cossery, è la sua ultima traduzione dal francese (Einaudi 2016, con un saggio introduttivo). È stato cofondatore di Altritaliani, ed è codirettore della rivista transculturale 'ViceVersa'. Ha vissuto e insegnato a Roma, New York, Montréal e Parigi, dove vive e insegna attualmente. Non ha mai vissuto a Buenos Aires, né a Montevideo – ma sogna un giorno di poterlo fare.