La politica è bella.

La politica è una bella cosa. Mica darete retta a quelli che vi dicono che è brutta. Che è “una cosa sporca”. Ma figuriamoci. Poi è chiaro, lo so anche io: nella politica non c’è mica solo il lato bello, c’è anche il resto.

C’è quel legno storto che è l’essere umano. I carrieristi, gli arrivisti, i leccaculo, i falsi, i ladri, gli ignoranti, gli zelanti che scodinzolano di fronte al potere. E quelli che credono sinceramente e acriticamente agli ideali proposti dal partito, anzi dal Partito con la P maiuscola. Un mio amico era così. (Anzi, “è” così: mica è morto).

Eravamo ragazzi e c’era il Partito Comunista Italiano. Lo votavamo tutti e due. Solo che a me il comunismo non piaceva, e leggevo Solženicyn e i racconti della Kolyma di Šalamov e Milan Kundera che parlavano di regimi criminali. Voi dite: bravo furbo, non ti piaceva il comunismo e lo votavi? Eh lo so. Avete ragione anche voi. Ma è una faccenda complicata. Il mio amico, lui, non ce l’aveva questo problema: era comunista ma comunista che più non si può, e se gli dicevi, eh ma i gulag, le esecuzioni, le delazioni, i carri armati, i dissidenti e gli oppositori perseguitati e uccisi, la gente che fa la fila e fa la fame perché non c’è niente da mangiare, se gli dicevi tutto questo lui ti rispondeva che intanto c’erano molte esagerazioni dovute a propaganda reazionaria, che certamente vi poteva forse anche essere stato qualche piccolissimo errore ma che si stavano facendo grandi passi in avanti; e per chiudere il discorso ti diceva che in ogni caso l’unica ragione per cui si poteva non dirsi comunisti era l’egoismo.

L'approvazione del bio-testamento.

Se tu non sei comunista non è perché non ti piace tanto l’idea di mandare la gente a morire nei gulag (Cazzate. Inezie); è solo perché sei egoista. Vabbé. Poi cade il famoso muro e poi le due Germanie, quella Ovest e quella Est, quella federale e quella democratica (si fa per dire) si riunificano. Tutti a festeggiare sotto il muro berlinese che non c’è più, e c’ero anche io, sotto la pioggia che il Signore la mandava giù, io avevo un cappello in testa, stavamo giusto rimorchiando delle ragazze tedesche francamente ma proprio niente male, all’insegna del viva la democrazia ritrovata, andiamo a festeggiarla assieme, e si stava mettendo pure bene quando passa uno scemo da dietro (un fascista. Un provocatore) e mi frega il cappello.

Allora lo inseguiamo, “ehi this is my hat, this is my hat!” e dai e dai dopo una mezza rissa riesco a riprendermelo. Si vede che io ero egoista, che c’avevo la proprietà privata (oltre che il cappello) in testa. Lui invece doveva essere un collettivista e quindi il mio cappello era anche il suo; d’altronde scusa, una testa ce l’ha anche lui no? E allora. Potevo proporgli di dividere il cappello in due, solo che con mezzo cappello per uno ci saremmo bagnati entrambi, vedi poi perché il comunismo non ha funzionato?

Quello comunque sarebbe stato il meno. Il guaio è che una volta tornato indietro le tedesche se ne erano già partite altrove, probabilmente con qualche qualunquista che le aveva rimorchiate con argomenti demagogici e populisti. Mannaggia. Fatto sta che in quel momento lì il Partito Comunista cambia nome e diventa una roba socialdemocratica, anzi “democratica di sinistra”.

Io e il mio amico ci ritroviamo a votare di nuovo per lo stesso partito che è lo stesso di prima ma anche no. Io gli dico, e certo che sarai triste, tu che eri così comunista. Meno male che c’è Rifondazione… No no, risponde lui, i tempi sono cambiati, il comunismo è stato una grande storia, di cui siamo orgogliosi e che rivendichiamo, “certo con tutte le contraddizioni” (con questa formula uno giustifica qualunque cosa. Si dice per chiudere il discorso) ma oggi i tempi sono diversi e noi dobbiamo avere il coraggio di infrangere certi tabù, e di essere una grande forza moderna, democratica e di sinistra.

Bene. Poi pian pianino tra una cosa e l’altra quel partito è diventato il PD, il Partito Democratico. E il mio amico dice: noi siamo stati una grande forza democratica e di sinistra (la fase comunista l’ha proprio rimossa) che ha sempre lottato per i diritti dei lavoratori, però oggi i tempi son cambiati e la sinistra deve avere il coraggio di cambiare e di infrangere i tabù conservatori di ogni colore e la sfida è coniugare la globalizzazione e la flessibilità e credere all’economia di mercato che essa sola può creare benessere, e al merito e ai coraggiosi imprenditori che gettano tutto quello che hanno nell’agone per creare la ricchezza di cui poi tutti godiamo. Insomma, è liberale. Il Partito gli ha ordinato di essere liberale ed è liberale.

Il che a me va benissimo: io mi sono sempre considerato un “aspirante liberalsocialista”. Libertario, liberale e socialista. A me andrebbe benissimo un partito così. Un partito che crede a due cose: alla libertà dell’individuo (compresa quella economica, imprenditoriale), e alla giustizia sociale. Solo che per il mio amico, fino a quando il Partito non glielo aveva ordinato, i liberali erano fascisti, i liberalsocialisti dei froci traditori da fucilare, e se io dicevo “no guarda che i liberali non sono fascisti, sono liberali” (non è che ci voglia molto a capirlo: fossero fascisti si chiamerebbero fascisti), lui mi diceva che io ero amico dei fascisti, vergogna!

Secondo me, se domani il Partito gli ordina di essere un sostenitore dell’ancien régime, del primato dell’aristocrazia e del clero e dei privilegi di censo, lui dirà che la grande sfida di una sinistra moderna è avere il coraggio di infrangere assurdi tabù, che il mondo è cambiato e che oggi essere di sinistra è recuperare questi valori tradizionali ingiustamente e demagogicamente criticati. Se il Partito gli ordina di sostenere il primato della razza bianca, lui dirà che la sinistra deve avere il coraggio di infrangere i tabù e dichiararsi “francamente razzista”, come dicevano i fascisti (ma quelli veri. Non quelli finti che vediamo dappertutto). Io il mio amico lo invidio. Lui sa sempre dove andare e scriverà un’autobiografia di successo: Va’ dove ti porta il Partito. Io invece sono sempre incoerente. Ha ragione lui. Il fatto è che io credo alla politica. Ma non alla politica come fede. La fede uno ce l’ha in Dio, e io quella non ce la ebbi proprio. Io credo alla ragione critica. Al dubbio. Al discernimento. Cioè, non credo in niente.

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Edoardo Sanguineti (che era un uomo meraviglioso e un « comunistone » di ferro, altroché) aveva scritto una specie di auto-epitaffio: “non ho creduto in niente” (moglie mia, figli miei). Ma prof, cosa vuol dire? Non ha creduto in niente? Nichilista-comunista? Ma allora, il sol dell’avvenire, le masse operaie, i testi gramsciani, far finta di essere sani? E lui ti diceva (parola più, parola meno): non ho creduto in niente nel senso che non ho mai avuto la convinzione di avere una verità su cui riposare. Se uno me la spiega meglio di come l’ho capita io, e mi convince, io mi dico “’azz!” E cambio opinione.

Anche il mio amico cambia opinione, solo che chissà come mai è sempre uguale a quella del Partito. Sarà un caso, non lo so. Dicevo comunque che io non credo alla fede politica. E non credo nemmeno alla politica come continuazione delle pubbliche relazioni con altri mezzi.

Quando sento i discorsi “ma quello è di quella corrente, quell’altro è uno di d’Alema di Bersani di Renzi, ma l’Assemblea il protocollo d’accordo il documento finale sottoscritto”, per me quella è un’altra cosa. Sono burocrazie, tecnocrazie, sono lotterie per le piccole carriere personali. Cose per gente scafata, che sa come muoversi, che si costruisce un curriculum che viene sempre bene. Cose per gente intelligente.

Io invece sono scemo e quindi credo alle piccole cose. La politica è quella roba con cui ogni tanto, dai e dai, si fanno cose concrete che poi toccano le vite delle persone. Adesso, ora, il Senato ha approvato la legge sul bio-testamento. Vuol dire che, “certo con tante contraddizioni”, adesso anche (persino) in Italia, una persona può un pochettino dire la sua su come vorrebbe morire. Che è un bel modo di dire la propria su come si vuol vivere.

Ecco, questa è una bella cosa. Per arrivarci è stato un casino. Alla fine l’ha votata il Partito Democratico e anche un po’ di gente dei Cinque Stelle. E va benissimo e io li ringrazio tutti, vorrei baciarli uno per uno, quelli del PD e anche quelli dei Cinque Stelle, cioè di un partito che giammai ho votato e molto ma molto difficilmente (per non dire mai) voterei (perché non mi piace quel Movimento lì), ma oggi per un’ora sola sono sorelle e fratelli miei: avversari politici che non mi piacciono ma proprio per niente, e sorelle e fratelli miei. E se mi dite che non va bene perché magari in cambio di questo c’è stato qualche accordo sottobanco su altre cose, io vi dico che non me ne frega niente. Per usare una metafora di chiara eleganza: se per ottenere una cosa bella e giusta che può cambiare la vita (in questo caso, la morte: cioè la vita) delle persone, io devo dare via il culo, direi che lo do senza alcuna esitazione (scusate l’eleganza un po’ cicisbea, forse eccessivamente raffinata, della metafora).

La politica per me è questa cosa qua. La politica è bella, e io la amo.

Maurizio Puppo

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Maurizio Puppo
Maurizio Puppo, nato a Genova nel 1965, dal 2001 vive a Parigi, dove ha due figlie. Laureato in Lettere, lavora come dirigente d’azienda e dal 2016 è stato presidente del Circolo del Partito Democratico e dell'Associazione Democratici Parigi. Ha pubblicato libri di narrativa ("Un poeta in fabbrica"), storia dello sport ("Bandiere blucerchiate", "Il grande Torino" con altri autori, etc.) e curato libri di poesia per Newton Compton, Fratelli Frilli Editori, Absolutely Free, Liberodiscrivere Edizioni. E' editorialista di questo portale dal 2013 (Le pillole di Puppo).

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