Donne italiane immigrate in Francia: il mestiere baliatico.

Con quali competenze lavorative le donne italiane si inserirono massivamente nei flussi migratori? Nel seguente articolo del nostro Dossier scopriremo il legame tra regione di provenienza e occupazione lavorativa femminile, ponendo particolare attenzione sulle balie italiane in Francia, sulle critiche annesse e sulle ripercussioni sociali che ne seguirono in alcune zone depresse del Bel Paese.

Link alla presentazione del Dossier bilingue: «Odissea italiana. Storie e analisi dell’immigrazione italiana in Francia. 1860-1960 e oltre» e agli articoli pubblicati in italiano.

Version française du même article

Fonti: Immigrazione italiana delle donne in Francia di Sonia Salsi per Dialoghi Mediterranei (n. 22 Novembre 2016) e carteggi dell’Archivio Paolo Cresci (Lucca – Italia).

Balia emigrata in Francia, ritratta con la mamma e il bambino © Reperto fotografico della Fondazione Paolo Cresci di Lucca

Il mestiere baliatico come emancipazione femminile

Seppur la storia riconosca agli uomini il ruolo indiscusso di protagonisti all’interno del processo migratorio, agli inizi dell’Ottocento le donne, appartenenti (similmente agli uomini) ai ceti più poveri della società, si svincolarono dal compito di accudire figli e anziani e presero parte ai flussi provenienti sia dal Nord che dal Sud Italia. Tale intraprendenza è stata inoltre confermata dagli atti notarili di compravendita di fine Ottocento che testimoniano il progressivo emergere della presenza femminile. L’emigrazione rappresentò per le donne un espediente di emancipazione sociale portandole ad acquisire, assieme all’indipendenza economica, libertà e nuovi diritti anche all’interno della coppia, attenuando così la sudditanza femminile nei confronti del partner. La maggior parte di loro si mosse, però, seguendo la via del ricongiungimento familiare (legalmente o in forma clandestina) con i propri figli o al seguito di piccole comitive che si formarono grazie ad organizzazioni umanitarie come la Croce Rossa.

Principali centri di provenienza femminile

La città di Torino, nel 1947, fu il principale snodo dell’emigrazione italiana legale in Francia grazie alla presenza dell’Office National d’immigration, responsabile per l’inserimento lavorativo dei migranti. Generalmente, le donne piemontesi e lombarde si proponevano come personale di servizio, braccianti agricole stagionali, venditrici ambulanti o governanti; mentre dalle Alpi (e sempre dal Piemonte) provenivano stiratrici, lavandaie e cameriere.

Francia, Lione. Le sorelle Falsone, originarie di Vigevano, lavandaie© Fondazione e Museo Paolo Cresci di Lucca.

Le occupazioni più diffuse e qualificate erano legate, però, alla lavorazione tessile e reclutate in Veneto, Emilia, Calabria e Sicilia; le toscane, umbre, venete, laziali e calabre erano ritenute maggiormente competenti in ambito culinario. Ciononostante, le emigrazioni clandestine continuarono e molte di queste riguardarono il mestiere baliatico che interessò soprattutto la componente femminile proveniente dal Lazio, Piemonte, Toscana, Veneto e Friuli (regioni caratterizzate da una forte emigrazione stagionale maschile).

Il mestiere baliatico

Le balie in Francia erano molto ben pagate, si riteneva facessero un lavoro rispettabile e riconosciuto anche dallo Stato francese che le considerava un valido aiuto per la crescita del tasso demografico. Generalmente guadagnavano molto più di un operaio, disponendo inoltre di vitto e alloggio presso la famiglia, di un guardaroba di biancheria ben fornito ed elegante, nonché di accessori come gioielli di corallo rosso che fungevano da identificatori estetici del loro operato nella società. Essendo, le donne dell’epoca, abituate a mettere al mondo più di due figli, il mestiere di balia poteva durare diversi anni seguendo necessariamente la stessa procedura: al termine di ogni ciclo lattifero la donna richiamava a sé il marito facendosi nuovamente mettere incinta e lasciando i propri figli ai nonni o a famiglie temporanee. Il lavoro poteva essere offerto loro da ricche famiglie francesi (signori e nobili locali) oppure da istituzioni caritative o asili.

Una professione non poco criticata in Italia…

Tale professione, un po’ per il potenziale emancipatore della donna, un po’ per gli effettivi problemi di salute che venivano involontariamente arrecati ai bambini cresciuti senza il latte materno, sollevò non poche critiche soprattutto in Garfagnana (area compresa fra le Alpi Apuane e l’Appennino Tosco emiliano) che, per qualche decennio, fu soggetta a questo tipo di emigrazione tutta al femminile. L’articolo di giornale che troverete di seguito (reperibile presso l’Archivio Cresci per l’emigrazione italiana nel mondo – Lucca) conferma senza ambiguità l’ampiezza e l’imponenza del fenomeno denunciandolo pubblicamente. Il testo cui mi sto riferendo fu pubblicato sul settimanale «La Garfagnana» in data 19 settembre 1901 ed è intitolato Le Balie e il Giubileo. Se ne riportano alcune delle parti più significative al fine di comunicare ai lettori il contesto socio-culturale in cui scoppiò la polemica.

«Crediamo opportuno ritornar adesso alla carica, perché in questo tempo di Giubileo un caldo fervore di carità cristiana sembra voler conquistare i cuori intiepiditi o indifferenti al culto di quei doveri che costituiscono il codice di ogni buon cristiano.

È inutile infatti parlare al popolo il linguaggio della scienza e del cuore, quando mostra di non intenderlo: è inutile insistere ad enumerare i danni fisici che possono incogliere ai figliuoletti che vengono crudelmente privati dell’alimento materno, quando esso è più necessario allo sviluppo fisiologico dei quei poveri piccini, se coloro che devono ascoltarvi fanno l’orecchio da mercante o mostrano di farsi beffe del vostro consiglio troppo dottrinario o troppo ragionato.

I contadini credono soltanto ai loro vecchi proverbi trasmessi fedelmente da padre in figlio; ma si guardano bene di prestar fede a tutte “le stregherie che ha inventato la scienza a danno dell’umanità”.

Spiegate a questa gente nel modo più facile e intellegibile che la scarsità del latte e tanto più l’assoluta mancanza di questo non può essere utilmente sostituita dai soliti biberoni, dalle pappine, da tutte le porcherie on le quali si sciupa lo stomaco debole e gracile di tutti questi infelici diseredati che si abbandonano con sì deplorevole leggerezza in mani mercenarie.

Gridate loro con tutta la forza dei vostri polmoni che il rachitismo, la scrofola, le dispepsie infantili che mietono largamente queste piccole esistenze dando una spaventevole percentuale di mortalità. (…) Ho detto che non si può neppur tentare, con qualche profitto, di intenerire il cuore di queste madri snaturate e di questi babbi sfruttatori della salute e della vita dei loro teneri figliuoletti; però che l’interesse materiale accieca ed affoga qualunque sentimento gentile e contende all’ignorante la percezione esatta dei suoi doveri di padre, di marito, di figlio. (…) Sono parecchi anni che noi battiamo il ferro su quest’incudine, ma dobbiamo convenire anche a nostro disdoro, il ferro che abbiamo sottomano non è punto malleabile e si può ritenere quasi insensibile all’azione del calore.

Si diceva: è la miseria che spinge tante povere madri ad abbandonare la loro prole.

In parte l’obbiezione era giusta; ma ora l’inverecondo traffico si continua per abitudine e perché le madri trovano in Francia bocconi più grassi di quelli che non può offrire loro il desco del pigionale o del contadino perché i mariti non si offendono di certe preferenze sospette né di certe impazienze che tradiscono un sentimento più forte e più colpevole di una maternità prestata a un tanto al mese, e non se ne offendono perché la loro connivenza è pagata a un tanto il mese (…).

Quale turpe abbassamento del senso morale, quale odiosa noncuranza della più nobile, della più cara della più sublime missione che la natura e la società affidano ad una madre.

(…) Disgraziatamente questa marea montante di immoralità, che è la piaga più vergognosa che affligge la Garfagnana, non accenna punto a decrescere quantunque l’autorità politica e giudiziaria si siano unite con lodevole slancio a questa campagna che abbiamo ingaggiato e proseguiamo fiduciosi, colla migliore intenzione.»

Il giornalista prosegue descrivendo balie dalle orride sembianze: «donnette» o «in generale vecchierelle grinzose», povere ed improvvisate nell’atto di allevare due figli (l’uno loro e l’altro no) per «dieci o quindici franchi al giorno». Il Giubileo è quindi un pretesto per l’autore di richiamare l’attenzione moralizzatrice degli ecclesiastici, chiedendo loro di perdonare la Garfagnana per il peccato commesso.

Balia italiana emigrata in Francia ritratta con il bambino © Reperto fotografico della Fondazione Museo Paolo Cresci di Lucca

Concludendo…

Prendendo per vere le indiscutibili ripercussioni sulla salute dei bambini italiani che non crescevano con il latte materno, è praticamente impossibile immaginare che la balia garfagnina come una «vecchia, brutta, sdentata, poverissima» e «improvvisata»; innanzitutto per il limite d’età che necessariamente l’atto del concepimento richiede e in secondo luogo poiché, com’è noto, tale occupazione richiedeva un abbigliamento elegante e appropriato (si parla di vero e proprio «corredo da balia» con tanto di biancheria), nonché un accertato stato di buona salute.

Seppur sia, perciò, difficilmente ipotizzabile che il lavoro baliatico riguardasse la tipologia di donna descritta nell’articolo (le foto dell’epoca raffiguranti le balie con i bambini ne rendono merito), è immaginabile che nell’Italia dell’epoca, impregnata di principi cattolici, tale professione fosse moralmente e socialmente «condannata», che riguardasse gli strati più poveri della popolazione e che, infine, in alcune regioni abbia provocato un abbassamento del tasso demografico.

Giulia Del Grande

LINK INTERESSANTE: FONDAZIONE E MUSEO PAOLO CRESCI PER LA STORIA DELL’EMIGRAZIONE ITALIANA, DI LUCCA con i ringraziamenti della nostra redazione per le foto a corredo dell’articolo.

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Giulia Del Grande
Giulia Del Grande, toscana di origini, dopo una lunga permanenza in Francia, dal 2018 risiede stabilmente a Copenhagen. Dopo aver ottenuto la laurea in Relazioni Internazionali ha specializzato la sua formazione nelle relazioni culturali fra Italia e Francia in epoca moderna e contemporanea lavorando a Bordeaux come lettrice e presso varie associazioni e istituti del settore, svolgendo, in ultimo, un dottorato in co-tutela con l'Università per Stranieri di Perugia e quella di Toulouse 2 Jean Jaurès. Collabora con Altritaliani dal 2016.

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