L’invenzione di Morel. Come fuggire dall’isola ?

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Consiglio sempre ai miei amici, con passione, di leggere La invención de Morel : in spagnolo, quando è possibile (è la lingua in cui è stato pensato e scritto dal suo autore, Adolfo Bioy Casares), altrimenti in francese, in italiano, in inglese, in turco, in ebraico… in qualunque traduzione – perché è splendido, o meglio, come ha detto Jorge Luis Borges (poi « raddoppiato » da Octavio Paz) perfetto. Perfetto anche nei dettagli, e trasversalmente alle diverse lingue e culture.

Se poi lo consiglio qui, adesso, è perché da solo potrebbe raccontare, spiegare il tema del mese, nella sue diverse sfaccettature e piani — ma, come dire, in una prospettiva sinistra, inquietante, che al di là della congiuntura, getta una luce sul nostro intero futuro, ma un futuro speciale: perché … è già cominciato, lo stiamo già vivendo, senza saperlo. Dopo aver letto questo libro nessuno è più come prima.

(Mi sono accorto, rileggendo il libro pochi mesi fa, che il futuro di quando lo lessi per la prima volta, verso la fine degli anni settanta, è diventato presente, o persino passato — chiedendomi se quando il mio passato e il mio presente erano il futuro di Bioy, il suo presente essendo il 1940, anno in cui fu pubblicato questo folgorante capolavoro, ed io ancora non esistevo, se allora dunque quel libro si volesse una sorta di visione anticipatrice, e ripercorrendo il lungo lasso di tempo fra le mie due letture mi è sembrato, mi sembra adesso, di star cadendo ancora di più in quel futuro, ancora di più, di più, di più…)

Tale trasformazione avviene attraverso grande complessità di livelli e piani, psicologici, filosofici, persino metafisici, sociologici che s’intrecciano e si organizzano come all’insaputa di chi legge, e s’intrappola : la trama infatti, come il luogo dell’azione, è di una semplicità assoluta — verrebbe da dire : è un gioco.

bto-003-copie_1195426704_copie.jpgSiamo su un’isola deserta ; in realtà, alcuni Bianchi l’avevano un tempo abitata, sembrerebbe brevemente, per poi abbandonarla – del loro passaggio restano poche tracce : un museo, una cappella, una piscina… -, forse a causa della sua inospitalità : certo è che vi alberga una malattia letale, e misteriosa.

(Attenzione, non si tratta di un luogo fantastico, come Ogigia o Lilliput — l’isola, pur apparendo lontana, ai margini, come in un altro mondo, esiste veramente, indizialmente all’Est – già, ma se si guarda dall’Argentina ? la terra è rotonda… -, anzi, è persino nominata, dovrebbe appartenere all’ arcipelago delle Ellice, in Polinesia; tuttavia, la sua descrizione non corrisponde affatto, quasi a dover svanire proprio nel momento che crediamo di averla localizzata, afferrata – essa insomma appartiene piuttosto alla categoria dei luoghi veri, ma introvabili, con tante associazioni possibili : alla mia prima lettura, ad esempio, mi venne in mente Francesco Guccini, con l’ isola non trovata ; alla seconda Melville, con Queequeg, it is not down in any map … true places never are – solo che in questo caso il luogo « non luogo » si rivela laboratorio, in cui si prepara il mondo di domani, che è per oggi…)

Il protagonista, colui che racconta (in spagnolo: è Venezuelano), vi si è rifugiato per sfuggire alla giustizia (ed ecco che dopo poche parole il contesto, nel contempo futuribile e attuale, è già chiaro: … il mondo, con il perfezionamento dell’apparato poliziesco, dei documenti, del giornalismo, della radiotelefonia, delle dogane, rende irreparabili gli errori della giustizia, è un inferno senza vie d’uscita per i perseguitati..., con sullo sfondo l’idea che tutti siamo potenzialmente, possiamo diventare perseguidos. p.s. Non è in sé sinistro che fra i tanti poteri della giustizia ci sia quello di significare… il contrario di quel che significa ?).

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Dettaglio interessante, curioso : questo luogo-non luogo è stato trovato su indicazione di un mercante italiano di tappeti, a Calcutta, in italiano (en su lengua), pur se, nota bene, il mercante aveva sconsigliato fortemente di andarci… Il “perseguitato” tuttavia aveva proprio bisogno di un luogo-non luogo, inaccessibile agli altri uomini, alla loro giustizia.

Non dovrebbe succedere nulla, dentro quel mondo deserto – ma si produce un miracolo (anzi, è così che il racconto comincia : Hoy, en esta isla, ha ocurrido un milagro). Senza che ci siano stati arrivi di navi o aerei, appare, come dal nulla, una comitiva di vacanzieri.

Ed ecco, del bisogno di sfuggire a questa gente che potrebbe tradire il suo nascondiglio, è più forte l’attrazione. Il fuggitivo nota fra gli intrusi una donna, e se ne innamora perdutamente: Faustine (così apprenderà che si chiama l’oggetto del desiderio, i vacanzieri in effetti sono – sembrano? – dei francesi). Per lei, il protagonista si spinge in una spirale di rischio crescente, sino a dichiarle disperatamente, dopo diversi appostamenti e approcci, il proprio amore: ma Faustine non lo considera neanche, mai, come se non lo vedesse. Disprezzo? Strategia amorosa?

Tutto il fantastico romanzo (fantastico in entrambi i sensi) si sviluppa allora nella tensione fra questo impossibile amore e la scoperta della natura impossibile, in quanto eterna, dell’esistenza stessa dell’oggetto che lo incarna (‘oggetto’, ‘incarna’, più si avanza più anche le parole sembrano dissolversi nell’impatto con l’inquietante realtà…).

Qui, svelerò subito, in vista del mio proposito, il segreto dell’intrigo, ma non le tappe dell’itinerario che vi porta, per non rompere l’incanto della lettura a chi ci si avventurasse per la prima volta: Faustine, con tutti i vacanzieri, è una riproduzione virtuale, ma come dire, totale: non solo, insomma – come fanno, con modalità peculiari, radio, fonografo, telefono e fotografia, televisione, cinema -, riproduzione di suono e immagine, ma di odorato e tatto, spessore…

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È l’invenzione (eccola), che Morel – un altro membro dei vacanzieri, forse il “capo” – ha concepito per assicurarsi l’immortalità: sull’isola il motore della macchina che serve a registrare la realtà e/o a riprodurla è azionato dalle maree, si attiva regolarmente, e regolarmente riproduce la settimana che Morel e i suoi amici hanno vissuto sull’isola… una settimana che sarebbe, avrebbe dovuto essere il loro eterno paradiso terrestre…

Ora, fra questi amici di Morel c’è appunto Faustine – amata anche da Morel, che vorrebbe così possederla per sempre… o questo è il fantasma di gelosia del protagonista, o entrambe le cose … impossibile distinguere fra la realtà e il fantasma, anzi, oramai siamo dentro, impossibile distinguere la copia stessa dalla realtà, a parte il fatto che le copie umane non posseggono l’anima… O la posseggono? (Brivido).

Forse si’, considerando che la malattia misteriosa uccide passando progressivamente da fuori a dentro e sembra colpire coloro che la macchina cattura, e nella misura in cui la cattura ha progredito: questo almeno, appunto, nell’interpretazione del protagonista e/o di Morel, e ancora una volta ci è impossibile distinguere realtà, sogno, eventualmente delirio… O dovremmo dire che è impossibile distinguerli perché sono la stessa cosa?

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In ogni caso, se le cose stanno così, si tratta di una coscienza (nuovo brivido) condannata a restare chiusa in un’eterna ripetizione, ogni volta non potendo che provare quelle sensazioni, quei pensieri, e impossibilitata a incontrare qualunque elemento nuovo, qualunque intrusione o sorpresa… Tanto che potremmo immaginare diverse umanità, chiuse in se stesse, a frequentare gli stessi luoghi, invisibili l’una all’altra, in una sorta di definitiva immobilità (le macchine sono praticamente indistruttibili… Sulla durata della nostra immortalità: le macchine sono semplici e fatte di materiali selezionati; sono più incorruttibili della metro di Parigi… Piccola nota in margine, dagli appunti di Morel: Adolfito, come lo chiamava il suo grande amico Jorge Luis B., aveva veramente pensato a tutto!).

Ma fermare la vita, non vivere per potere non più morire, non è forse questa la vera morte? Perché in fondo è proprio la morte che, dopo aver fermato l’individualità irripetibile della nostra esistenza, ci condanna all’immortalità.

Le implicazioni (concettuali, filosofiche), gli sviluppi, anche concreti, di quanto si è appena detto, sono molteplici, e tutti vertiginosi. Qui vorrei limitarmi, in linea con il tema del mese, a indicarne (solo indicarne…) tre.

Uno. Il crescente bisogno delle nostre società di documentare, schedare, seguire, controllare, al di là delle persecuzioni a carattere politico (l’Autore, argentino, o più generalmente sudamericano, è storicamente sensibile al problema dell’emergere delle dittature) costituisce una minaccia per tutti, il mondo rischia di diventare una gigantesca isola di Morel, da cui sarà impossibile evadere (… scrivo queste righe dopo un’avvilente mattinata sécu, aussi pour essayer de m’évader de ces maudits papiers…)

Due. Di questa smania di controllo fa parte, o ne consegue, il culto dell’immagine, in senso globale, come quel che appare, si mostra, si mette in spettacolo, tanto che questa immagine supera in importanza la realtà, e finisce per sostituirsi ad essa, diventando, appunto, corpo.

Tre. Tale immagine si vuole, anche e soprattutto, viatico per l’immortalità. O forse dovremmo meglio dire, per un’eterna gagliardia, la giovinezza, cuore pulsante di una società che produce ricchezza, e rifiuta ossessivamente imperfezioni, debolezze, vecchiaia… Il che, più ancora che impossibile, è intrinsecamente, sempre, una trappola, un grottesco patto con il diavolo, che finisce drammaticamente per produrre il suo contrario, e nel modo più orrendo.

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Vale allora la pena, almeno per quest’ultimo punto, di tornare a La invención de Morel, considerandone il finale: il protagonista sceglie di entrare lui stesso nella macchina, seguendo e simulando repliche per Faustine, come se fossero stati registrati nello stesso tempo, sostituendo questa registrazione alla precedente, in modo che lui e l’amata siano inchiodati per sempre insieme, nella speranza (che pur sa vana) che le loro coscienze possano incontrarsi: A colui che, fondandosi su questa relazione, inventerà una macchina capace di riunire le presenze disgregate, rivolgerò una preghiera: che ci cerchi, a me e a Faustine, mi faccia entrare nel cielo della coscienza di Faustine. Farà un’azione caritatevole. (Mentre, con la sua immagine-corpo completamente intrappolata dalla macchina, il suo corpo si svuota, si sgretola dal fuori al dentro, avviandolo alla terribile morte di una progressiva, lucida decomposizione.)

La invención de Morel potrebbe insomma anche leggersi come una variante fantascientifica, visionaria – ma da Orwell in poi la realtà si rivela come più veloce, e più bizzarra, inquietante della fantascienza – della parabola faustiana (Faust … Faustine?): gli echi in tal senso sono numerosi, presenti e passati, in diverse direzioni, e ognuno vi troverà quelli che gli risuonano meglio…

(I miei echi)

… Gli antichi Greci conoscevano Bioy Casares? Bioy Casares amava la mitologia greca?

La piccola isola in cui abitano le Sirene è un luogo non luogo quant’altri mai: è facile riconoscere, nel suo mare, il Mediterraneo centrale (la grande isola del Sole, la Trinacria, nei paraggi, è stata identificata con la Sicilia; e ancora più vicini, i mostri Scilla e Cariddi potrebbero identificare le due sponde dello stretto di Messina), è difficile, se non impossibile (e ancor di più: assurdo, fuor che per gioco), localizzarla con precisione, e soprattutto sottrarla alla meravigliosa atmosfera magico-onirica che la soffonde. Dalle sue rive, le Sirene, creature fantastiche con il corpo per metà donna e per metà uccello, catturano gli incauti marinai con la loro voce melodiosa: ma – come al di là di questa immagine, o promessa di felicità – la spiaggia “pullula di scheletri umani putrescenti; sulle ossa le carni si disgregano” (Odissea, XII, 41-46).

Sempre nell’Odissea (V, 203-224), Odisseo rifiuta l’immortalità luminosa ma immobile che gli offre Calipso, preferendole le movimentate, dolorose incertezze del ritorno, di cui infine farà anche parte, certamente, la morte.

All’altra estremità, se il movimento esiste, troviamo la grottesca “immortalità vecchia” di Titone, che gli dèi rendono athanatos (‘amortale’, potremmo dire, più che immortale) ma non ageraos (‘ininvecchiabile’), e che, sempre più pallido fantasma di se stesso, continuerà i suoi ultimi e mai finiti giorni in una progressiva, da nascondere, decrepitezza (Inno omerico ad Afrodite, 218 sgg.)

I Greci insomma (e avevano ragione!) diffidavano dell’immortalità, in tutte le sue forme – al di fuori di quella che puo’ garantire la poesia, la memoria.

Se le ricorrenze portano un senso, allora, e un omaggio, mi fa piacere ricordarlo qui: fanno esattamente dieci anni che è morto il grande Adolfo Bioy Casares.

P.S. Forse a qualcuno prenderà, nel leggere, la mia stessa curiosità ; ma come si chiama il Protagonista ? Io ho cercato, qui e là, per scoprire che non è mai nominato : chi infatti potrebbe mai « chiamarlo ? »

Arabis

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