Venezia 72. Ultimi giorni del festival. Egoyan cala l’asso. Reportage del 10 settembre.

Atom Egoyan, un nome, una garanzia, tra i papabili al Leone con il suo imperdibile Remember costruito come un thriller. Sempre in concorso l’interessante film del venezuelano Lorenzo Vigas e dall’America, ma fuori concorso, il gradito ritorno di Arturo Ripstein maesto del cinema messicano, molto amato dai cinefili. Da segnalare l’omaggio a Pasolini di Simone Isola e tra i film restaurati: Le beau Serge dell’indimenticabile Claude Chabrol, opera che segna l’inizio della Nouvelle Vague francese. Ancora tra i classici restaurati: Venise Trichrome del 1912. Per concludere il reportage odierno, vi presentiamo il produttore del film di Amos Gitai: « Rabin, the last day », altro papabile per il Leone, il lucano Francesco Di Silvio.


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VENEZIA 72 – In concorso

REMEMBER di Atom Egoyan


Interpreti Bruno Ganz, Heinz Lieven, Jurgen Prochnow, Robert Lantos

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Un ‘non dimenticare di ricordare’ doloroso, estremo, metaforico, estremamente metaforico.

E’ REMEMBER, il nuovo film di Atom EGOYAN, regista nato al Cairo nel 1960 da genitori armeni, ma poi naturalizzato canadese dall’età di tre anni, presentato oggi in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia.

Idealmente è stato definito una prosecuzione di Ararat, sua pellicola del 2002, ma, giocato – ha affermato lo stesso regista in conferenza-stampa – su di un piano solo, a differenza dell’ultimo.

REMEMBER è un film bellissimo, sorprendente, un thriller, per certi aspetti, bouleversant, come direbbero i Francesi per molti altri: potrebbe forse essere il Leone, chissà…

Si può leggere duplicemente, prestandosi ad almeno due chiavi di lettura: la prima, semplificante, che non permette di concepire come una persona anziana, in odore di incipiente Alzheimer, possa portare ‘ a termine’ quanto prefisso e concordato con altra persona, sua coetanea e, apparentemente, correligionaria.
Ma la si abbandona subito: il film si offre a ben altre considerazioni più complesse. Per dare ad esso un significante, ma, soprattutto, un significato, dobbiamo scomodare Freud ed recessi più inconsci della nostra insondabile mente.

Inizialmente ‘sembra’ la ‘solita’ tematica vendico-ebraica: due sopravvissuti alla Shoah, ad Auschwitz, molto anziani ormai, residenti in un ospizio di lusso che (pare) rispettare il loro vissuto personale facendoli vivere in un ambiente ricreato, in parte, con il mobilio di casa, decidono di vendicarsi di chi ha distrutto le loro famiglie nel campo di concentramento.

Uno, il più malato (Martin Landau, magnifico attore per Hitchcock e W. Allen, tra i tanti ruoli interpretati, mai da protagonista, ma, comunque da Oscar), predispone, letteralmente, per l’altro ancora autonomo, ma che ha subìto un lutto recente – la morte della moglie e soffre di altalenante Alzheimer – un viaggio della vendetta in pieno stile, sulle orme dei passi di Simone Wiesenthal e della sua crociata antinazista post-bellica (un Christopher Plummer incredibilmente vero, nella sua realistica naturalezza, lui grande attore anche teatrale, shakespeariano).

Splendido l’andamento del plot, straniante, ribaltante per vari aspetti.

Curioso ed essenziale il ruolo che alcuni bimbi svolgono nella vicenda: son sempre strumento di riconoscimento, di bontà innocente allo stato puro, di consapevolezza del ben operare, salvaguardando la vita. Si potrebbe dire che i Bambini sono la Memoria del Mondo, della Storia, per lui che vive nel passato che è un continuo presente, hic et nunc. Ma, per dirla ebraicamente, il Passato ci sta davanti ed è proprio così.

Inseguendo sempre quello, il protagonista arriverà ad una doppia verità, terribile, insopportabile: ciò che il suo cervello ha rimosso, negli anni, gli apparirà davanti in tutta la sua crudeltà.

Certo uno, nessuno, centomila – ma anche Pirandello è ‘figlio’ di Freud – e lui, per difendere se stesso, dopo averlo fatto col subconscio, lo farà con una pistola, difenderà il suo esser stato oggetto di manipolazione a sua volta dell’Ebreo che l’ha telecomandato, totalmente: prenderà coscienza, infine, tornando completamente lucido e pagando la ‘banalità del suo male’, il suo pedissequo esser prima nazista, poi difensore (negato) degli Ebrei, annichilendosi, con il suicidio.

Film da vedere e rivedere, da metabolizzare perché la sua ‘soluzione finale’ è un rovesciamento inusitato eppure, forse, ovvio, banale: come potrebbe dire Hannah Arendt…

Maria Cristina Nascosi Sandri

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VENEZIA 72 – In concorso

DESDE ALLÁ (FROM AFAR) di Lorenzo Vigas


(Venezuela, 93’, v.o. spagnolo/inglese s/t inglese/italiano) con Alfredo Castro, Luis Silva

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La cinematografia Venezuelana è una rarità in Italia. Questo film è di assoluto interesse. Sguardo originale ed autoriale. Poco incline alla spettacolarità tradizionale (non ci sono musiche aggiunte, ad esempio). Ma sa catturare l’interesse dello spettatore. Con una storia intrigante. Che fa incrociare i destini di due persone con gravi carenze affettive. Entrambi per la mancanza del padre. Straordinari gli interpreti. L’immenso Alfredo Castro, divo cileno , noto anche da noi. E l’esordiente, giovanissimo e talentuoso Luis Silva.

Catello Masullo

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FUORI CONCORSO

LA CALLE DE LA AMARGURA di Arturo Ripstein


(Messico, Spagna, 99’, v.o. spagnolo s/t inglese/italiano) con Patricia Reyes Spíndola, Nora Velázquez, Sylvia Pasquel, Arcelia Ramírez, Alejandro Suárez, Alberto Estrella

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Al grande maestro del cinema messicano Arturo Ripstein , la Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia ha attribuito un premio speciale per il 50-esimo anno di carriera. Il regista ha voluto ringraziare portando al Lido la sua ultima opera, in anteprima mondiale. Un film in puro stile Ripsteiniano. In bianco e nero, con le sue attrici feticcio. Scritto dalla sua compagna, come gran parte dei suoi precedenti. Struttura semplice e lineare. Una chicca per i cinefili.

Catello Masullo

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Sezione Venezia Classici – Documentari

Omaggio a Pier Paolo PASOLINI:

ALFREDO BINI, OSPITE INATTESO di Simone Isola

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Il 2 novembre prossimo si celebrerà il quarantesimo anniversario della morte di Pier Paolo Pasolini, e a Venezia 72, oggi e domani, un film doc omaggia e ricorda la straordinaria avventura umana e professionale del suo mitico produttore, Alfredo Bini. L’uomo che esordì « col botto » con Il bell’Antonio e che aveva intuito il talento registico dello scrittore e poeta bolognese/friulano, ma anche sceneggiatore ed attore – versanti che aveva invece « scoperto » Giorgio Bassani – sfidando la censura e il perbenismo correnti. Fino a una fine in solitudine. Ma non da solo…

A Montalto di Castro, nel 2001, di fronte al Motel Magic di Giuseppe Simonelli giunge un anziano signore. Si trova temporaneamente senza dimora e chiede ospitalità per due o tre giorni. Simonelli gliela concede, affascinato dai racconti e dalla simpatia di quell’uomo.

Non lo sa ancora, ma l’ospite inatteso è Alfredo Bini, storico produttore cinematografico, noto soprattutto per la lunga e intensa collaborazione con Pier Paolo Pasolini, che aveva fatto esordire nel 1960 con « Accattone » e del quale aveva prodotto tutti i film sino a « Edipo re » del 1967 (e in mezzo Mamma Roma, Ro.Go.Pa.G, La ricotta, Il Vangelo secondo Matteo, Comizi d’amore, Sopralluoghi in Palestina per il Vangelo Secondo Matteo, Uccellacci e uccellini).

I due o tre giorni di ospitalità diventeranno dieci anni, e un rapporto speciale, come tra padre e figlio…

Dalla storia di Giuseppe e dalle testimonianze di « collaboratori » come Bernardo Bertolucci, Claudia Cardinale, Ugo Gregoretti, Piero Tosi, Giuliano Montaldo e altri ancora, e attraverso immagini di repertorio, film, foto e memorie autobiografiche « rilette » da Valerio Mastandrea, viene ripercorsa una vita vissuta per il cinema.

Quella di un produttore mitico, che negli anni ’70 virò verso un cinema « erotico ed esotico » mentre nella sua filmografia si aggiungevano, internazionalmente, i nomi di Robert Bresson e Claude Chabrol e che nell’ultima parte della sua parabola si eclissò, senza chiedere aiuto al mondo del cinema.

Alfredo Bini, ospite inatteso ci restituisce così una storia emblematica del cinema italiano e, soprattutto, restituisce la storia di un produttore coraggioso, scomodo, mai banale, appassionato, convinto di un paradosso: che il pubblico potesse accettare il cinema d’autore e di qualità, e decretarne il successo.

Un paradosso che lui era davvero riuscito a produrre.

Impensabile, ormai, ai giorni nostri…

Maria Cristina Nascosi Sandri

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Sezione Venezia Classici restaurati

LE BEAU SERGE di Claude Chabrol


Interpreti: Jean Claude Brialy, Bernadette Lafont, Gerard Blain

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Per la sezione « Classici restaurati », ecco dalla Francia « Le beau Serge » di Claude Chabrol, primo film della Nouvelle Vague. Il film racconta della storia di un ritorno, quello di François, a Sardent il villaggio dove lui è nato. In breve ritrova il suo mondo, i suoi amici, Serge in particolare a cui è legato da un sentimento fraterno. Ma Serge è quasi alcolizzato forse a causa dell’infelice matrimonio con Yvonne. I giorni successivi saranno per François un ripredersi tutto quanto gli è appartenuto: la vita semplice del suo villaggio, il chiocciare delle galline, l’aria fredda di quell’inverno, il suono delle campane… Ma più passano i giorni più François si rende conto che Serge sta scivolando verso una linea che lo può portare alla perdizione. Lui, Serge, non ha perdonato alla moglie di aver partorito un bambino morto e teme che la cosa possa accadergli ancora adesso che è già al settimo mese della sua seconda gravidanza. Serge si ubriaca sempre di più, a casa non ritorna, va a dormire nel pollaio. François sente che l’unica cosa che può fare li a Sardent è aiutare Yvonne a partorire, cosa che succede in una notte dove la neve fiocca ed il medico è andato da uno che vive fuori il paese. François non sa cosa fare, chiama prima una donna poi va a cercare il dottore, fra il buio e la neve che ha ormai imbiancato tutte le strade. Trovatolo lo costringerà ad andare da Yvonne. « Le nascerà morto anche questo », le dirà in un primo momento. François sa che il tempo è breve ed Yvonne potrebbe partorire da un momento all’altro. Al finale non poteva certo mancare Serge che François troverà mezzo assiderato dentro al pollaio dove si era coricato e che obbligherà a tornare a casa. Non sono scene da « lieto fine » nonostante la nascita di un maschio ridia a Serge il sorriso che aveva perso. Ma l’aria che gira nel film è quasi irrespirabile e carica delle tensioni e della pesantezza che la vita ha buttato loro addosso. Ma François ha fatto il su dovere.

Massimo Rosin

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VENISE TRICHROME, di Léon Gaumont

Film francese

Sezione Venezia Classici restaurati

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Alla 72. Mostra è stato presentato in anteprima mondiale il restauro di Venise, uno dei primi documentari prodotti da Léon Gaumont utilizzando il sistema sperimentale di cinema a colori naturali Chronocrome.

Un film di soli 10 minuti, ma suffienti a restituirci un’immagine di Venezia forse non tanta conosciuta. Le immagini, curiosamente a colori, sono del 1912 e passano in rassegna alcuni angoli della città (lo squero di S.Trovaso, le calli ed il campo vicini alla chiesa Anglicana – zona Accademia ecc.). Diviso in tre parti si divide poi tra le imbarcazioni di Chioggia allora tutte a vela e pesantissime (navigavano sulle acque lagunari ed erano usate anche per il trasporto di merci. Avevano vele particolari che si chiamavano « al terzo » oggi quasi totalmente dismesse). La terza parte è dedicata invece ai preziosi vetri della Fornace Salviati una delle più antiche. Brillano sotto gli occhi di chi guarda capolavori dell’arte vetraria, oggi quasi del tutto abbandonata.

Massimo Rosin

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A Venezia Francesco Di Silvio, produttore parigino del film in concorso a Venezia « Rabin, the last day » di Amos Gitai

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Lido di Venezia. E’ lucano di Palazzo San Gervasio Francesco Di Silvio, il produttore del film « Rabin, The Last Day » di Amos Gitai, fra i più acclamati e possibile vincitore di un Premio importante alla 72. Mostra del Cinema di Venezia. Lunedì 7 settembre, alla prima del film in Sala Grande, era alle spalle del regista e dell’ex presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, il quale ha scelto di venire alla Mostra solo per questo straordinario film; un opera necessaria per capire più a fondo le problematiche del conflitto israelo-palestinese, a partire dall’assassinio del premier Rabin avvenuto venti anni or sono.

Incontriamo Di Silvio anche per approfondire le dinamiche produttive di questo film, che la critica internazionale dà per vincente di un Leone alla Mostra. E’ persona semplice Di Silvio, gesticola e parla spesso un po’ ad alta voce; quando glielo rileviamo ci dice col sorriso che “i lucani parlano così perché non hanno nulla da nascondere”. La sua terra è sempre presente nel profondo del suo cuore: sarà, infatti, proprio il regista israelita Gitai a girare in autunno a Matera il suo prossimo film, interprete la impareggiabile Isabelle Huppert.

Francesco Di Silvio vive da diversi anni a Parigi dove è responsabile di una importante casa di Produzione che lo porta a girare il mondo. E’ partito giovanissimo da Palazzo San Gervasio alla volta di Bologna, tanti i sogni da voler realizzare, ma sempre con la passione per il cinema coltivata nel profondo. Lì, dopo aver fatto diversi lavori, entra in contatto con Vasco Rossi con il quale lavorerà per 15 anni in qualità di tour manager. Nel frattempo avrà un approccio anche con il mondo del cinema, con la conoscenza diretta di Bernardo Bertolucci, e quindi con Abel Ferrara. Co-produce per il controverso regista americano “Mary”, e poi “Go Go hotel” presentato al Festival di Cannes nel 2007. E’ stato in India dove ha prodotto alcune serie tv. Per il kolossal di Mel Gibson “The Passion” ha svolto il ruolo di location manager. La sua società di produzione è la Réservoir Pictures con sede a Parigi, New York e Londra. Ed ora Venezia potrebbe tributare al « suo » film un riconoscimento importante. Che dedica alla sua Lucania.

Armando Lostaglio

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