Venezia 72: Tavernier, un Leone d’oro alla carriera tutto francese. Reportage del 9 settembre.

Inizia il reportage di giornata con il piacere di raccontare, per un sito italo-francese come il nostro, di questo Leone alla carriera che Venezia ha voluto tributare ad un regista molto amato dal pubblico dei cinefili, Bertrand Tavernier, l’abbiamo incontrato ed è stato un fiume in piena. Molto cinema francese con Collardey e la sua: Tempête. In concorso il film di Skolimowski, con una storia che si dipana in solo 11 minuti ed un ritorno alla sua terra d’origine la Polonia. E undici minuti sono dedicati alla Bergman dal nipote, Alessandro Rossellini nel corto: Viva Ingrid. Brutti tempi per le ragazzine dopo il serial killer di Isla Minima, nella sezione Orizzonti arriva: Mate-me por favor, con il suo “mostro” che ammazza ragazzine. Tributo al Nobel Orhan Pamuk, lo scrittore turco in un film inglese di Grant Gee.


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Bertrand TAVERNIER, un LEONE d’ORO alla CARRIERA tutto francese

Un momento davvero commovente, ieri, in Sala Grande alla 72a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, quando a Bertrand Tavernier è stato dato il Leone d’oro alla carriera: un premio più che meritato da questo cineasta francese nato a Lione nel 1941.

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Consegnatogli da Baratta, il presidente della Biennale, il riconoscimento è stato motivato da Alberto Barbera, il direttore della Mostra con poche semplicissime righe di repertorio scritte e lette – Carlo Lizzani, di cui abbiam parlato su questa testata a proposito di un essenziale docu su di lui visto in questi giorni, che fu pure direttore della Mostra, avrebbe ‘detto’ cose pregnanti senza leggerle…

Piccola notazione a margine che dà un senso di come tutto cambi, anche nella Cultura e non in meglio, certamente. Ma Tavernier è stato felicissimo, si è commosso – lo aveva fatto anche in conferenza-stampa precedente, dicendo che altri premi li ha avuti, certo, anche in Francia (4 César, il Gran Premio Europeo, per es.) suo paese natale, ma soddisfazione come grazie a questo, italiano, non l’aveva mai provata.

“Ho sempre fatto i miei film nella libertà più assoluta, solo ciò che volevo fare, senza compromessi. Amo molto il vostro grande cinema, Scola, Germi, Dino Risi, Rossellini, Comencini. Di Monicelli fui molto amico, trascorsi 5 giorni sul set di “Amici miei”.
Vorrei arrivare ad eguagliarli. »

« Nel cinema francese ci son cose bellissime, straordinarie – avete appena visto “Marguerite” di Xavier Giannoli – ma anche tremende, accade pero’ anche negli USA e altrove. Jaco Van Dormael, belga che fa film grazie a contributi francesi, ne è un esempio… »

E ha continuato a parlare della ‘sua’ Francia: Son le persone di governo che devono imparare l’educazione civica, tutte quelle dell’UE, non i bambini a scuola: la Francia che io amo comprende i diseredati, i medici senza frontiere…

Ha ricordato con grande affetto e stima il suo mèntore, amico ed attore di suoi tanti film, Philippe Noiret:

« E’ grazie a lui che faccio cinema. Lui ricevette un ragazzo di 29 anni, me, e per due-tre anni lo accompagnò, dopo aver letto le sue sceneggiature, finché, insieme non trovarono un produttore. E perché tutto ciò? Perché, ‘semplicemente’, mi aveva dato la sua parola!! »

« Era un gran signore, un gentleman con cui mi son divertito, tanto.
Aveva il senso dell’umorismo, pur essendo tanto malato, ma quasi nessuno lo sapeva. Recitando, si trasfigurava, in scena era un altro, pieno di salute e di voglia di vivere e correva, saltava, pur se appena sceso dal palcoscenico, stentava a camminare.

Era il mio fratello maggiore: quando giro, penso sempre a lui.

Ed un altro grande, pure pieno di verve e di ironia, che ricordo con molto amore fu Jean Rochefort: decise in un’ora e mezza di girare con me “L’orologiaio di St.Paul”, da non credere: oggi, per leggere una sceneggiatura impiegano 6 mesi…Diceva che a lui, che non amava il cinema, avevo insegnato a ‘dare del tu’ alla m.d.p

Melville e Sautet son stati i miei genitori spiritual-cinematografici: anche loro mi han convinto a far cinema ed a loro sarò sempre grato perché convinsero i miei a lasciarmi fare ».

« (…) Lione mi ha insegnato le miei radici provinciali, virtù e difetti compresi.
Sentimenti segreti e amore fedele, questa è Lione.

I suoi mercanti andaron in Cina molto prima di Marco Polo; la loro curiosità mi ha sempre affascinato. Lione è la città della Resistenza, fu liberata dagli FTB, gli immigrati…(…) A Lione, da piccolo, trascinavo al cinema mia nonna, nei cinema di quartiere, affollatissimi, dove si stava in piedi e lei, esterrefatta, sopportava tutto questo per me… »

Altri ricordi son stati sciorinati, da Tavernier in sala Grande, come un lungo fiume tranquillo che scorre in mezzo alla vita: erano ricordi che lui voleva condividere col pubblico, felice di poterlo fare perché, forse, capito, compreso, amato, sentito…

Prima della premiazione era in programma uno dei suoi bei film, La vita e nient’altro – La vie e rien d’autre, con Sabine Azéma e Philippe Noiret, una pellicola che ha fatto scuola, studiata a fondo dai critici per il modo superbo di affrontare le problematiche terribili del dopo Prima Grande Guerra.

E Sabine era pure a Venezia ieri a festeggiare il ‘suo’ Tavernier e l’ha fatto con veemenza, passione grande ricordando alcuni tra gli aneddoti più belli del loro lavoro…senza leggere alcun gobbo di carta…

E c’era anche a festeggiare a Venezia Tavernier ed a rendergli omaggio, Thierry Frémaux, direttore del Festival di Cannes, ma pure presidente dell’Istituto Lumière di Lione, un caso? Forse…

Maria Cristina Nascosi Sandri

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11 MINUTI

di Jerzj Skolimowski

(Polonia 2015 – 81 minuti)

Con: Wojciech Mecwaldowski e Paulina Chapko.

Venezia 72 – in concorso.

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Jerzj Skolimowski è una persona riservata, timida quasi, di poche parole. Ammette di non essere tanto loquace, anche in conferenza stampa risponde alle domande con brevi battute. Il suo film in concorso, è uno straordinario collage di situazioni quotidiane le più diverse,che si dipanano in soli undici minuti. Si, « 11 minuti » è proprio il titolo del suo straordinario film. Autore polacco, classe 1938, già presente al Lido cinque anni or sono con un altro film che ricordiamo con vivo interesse: « Essential Killing » che si aggiudicò il Gran Premio della Giuria, presieduta allora dal geniale Quentin Tarantino.

Quest’ultima sua opera, ambientata in una Varsavia fotografata con luce fredda, ci conduce alla quotidianità di dieci storie cui incombe una tragedia apparentemente solo sussurrata. Esistenze che si affacciano e che poi scompaiono il cui destino tesse una trama finale che le racchiuderà come in una morsa. Un effetto domino straordinariamente girato..

D.: Ma perché è necessaria la tragedia perché un film possa, come per la cronaca nera, attrarre lo sguardo famelico dello spettatore?

R.: « E’ dalla scena finale che sono partito per costruire tutto il film; credo che sia sempre in agguato qualcosa di imprevedibile, imprescindibile dalla nostra volontà.Il destino o la caducità dell’esistenza ci impongono di guardare alla vita con maggiore fiducia. »

Il dramma va esorcizzato nella speranza quotidiana che si debba guardare con solarità all’esistenza. E’ quanto suggerisce il cineasta. Che peraltro ci lascia, con questo film austero, quell’infantile pensiero: Chissà ora, in questo preciso istante, cosa accade in un’altra parte del mondo, o solo a dieci metri da noi che non potremo mai vedere e controllare? Un battito di ali di farfalla in un luogo può determinare una tempesta altrove. Skolimovski ci conduce ad un immenso video dove ogni presenza è un pixel, un mosaico che chiamiamo esistenza.

Armando Lostaglio

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MATE-ME POR FAVOR

di Anita Rocha da Silveira

(Brasile, Argentina, 2015)

con Valentina Herszage, Mari Oliveira, Júlia Roliz, Dora Freind, Bernardo Marinho, Vitor Mayer.

Orizzonti

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Un serial killer si aggira per il quartiere di Barra da Tijuca, nella zona occidentale di Rio de Janeiro.

Ci sono tutti i presupposti del thriller in questa pellicola dal titolo “Mate-me por favor” (Uccidimi per favore) primo lungometraggio dalla giovane regista brasiliana Anita Rocha da Silveira in concorso come opera prima per la sezione “Orizzonti”.
Il mostro colpisce in zone isolate e uccide giovani ragazzine che frequentano un liceo poco distante.

Quella che nasce come curiosità morbosa fra i giovani locali comincia poco a poco a rovinare la loro vita. Fra questi c’è Bia, una ragazzina di quindici anni. Seguiamo quindi un gruppetto di loro, nel quale primeggia Bia, che si spaventano, fantasticano e si innamorano mentre il pericoloso omicida colpisce ancora. La pellicola sembra però un pretesto per raccontare il mondo di questi adolescenti che già precocemente esplorano il mondo del sesso con i loro coetanei, ma non disdegnano anche le esperienze lesbiche. Inoltre nel tempo libero si confessano tra loro, litigano, si messaggiano con il cellulare perennemente tra le mani e ascoltano parole di fede da parte di una giovane infervorata religiosa che parla e canta canzoni dedicate a Gesù e a Dio in tono pop. Gli adulti, i genitori invece sono semplicemente assenti.

Questo a dimostrare che la famiglia unita non esiste più – già marito e moglie sono separati o divorziati – al massimo qualche fratello maggiore, ma che non è il punto di riferimento perché pensa ai fatti propri, specialmente a usare il computer per chattare in rete.

Non possiamo però affermare che la pellicola della de Silveira sia riuscita. E’ un esile trama che lascia irrisolte diverse situazioni, compresa quella dell’assassino seriale. Le ragazzine risultano precoci, ma poco esplorate psicologicamente e tutto resta sospeso, tra qualche venatura onirica horror e l’ingenuo desiderio di incontrare da vicino un mostro da brividi da esorcizzare.

Andrea Curcione

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TEMPETE

di Samuel Collardey

(Francia, 2015)

con Dominique Leborne, Mailys Leborne, Mattéo Leborne.

Orizzonti

il regista Samuel Collardey

E’ una storia ambientata tra terra e mare quella di “Tempête”, pellicola diretta dal regista francese Samuel Collardey (Besançon, 1975), presentata in concorso nella sezione “Orizzonti”.

Dom, (l’attore Dominique Leborne) 36 anni, è un marinaio imbarcato su un peschereccio partito dal porto di Les Sables d’Olonne, una cittadina della Francia occidentale. L’uomo è abituato a stare in mare per almeno tre settimane di seguito. Nonostante le continue assenze, i suoi figli adolescenti, Matteo (Matteo Leborne) e Mailys (Mailys Leborne) hanno deciso di vivere con il padre dopo il divorzio dei genitori. Ma quando Mailys resta incinta, le cose cambiano.

La giovane, nonostante abbia problemi di salute, decide di portare avanti la gravidanza, mentre la ex moglie si batte per ottenere l’affido dei due ragazzi perché Dom è spesso assente per mare. Il pescatore chiederà di restare a terra per seguire i figli, perdendo così ogni sostentamento. Inoltre studierà nautica per ottenere il permesso di guida per un peschereccio e una volta conseguito cercherà di ottenere un prestito bancario per acquistare un’imbarcazione d’altura per lavorare in proprio, con il figlio Matteo e così avere tempi e ritmi meno faticosi. I suoi sogni finiranno infranti; la banca non concederà il prestito, come nemmeno la compagnia di armatori di pescherecci, fatti due conti, rifiuterà di aiutarlo per mancanza di esperienza.

Dom sarà costretto a cambiare alcuni mestieri, compreso il bidello nella scuola dove lavora sua madre. Tuttavia il richiamo del mare sarà sempre più forte.

Il regista Collardey, premiato dalla critica a Venezia nel 2008 per il suo lavoro di docu-fiction “L’apprenti”, ritorna a Venezia con una pellicola più che dignitosa, una storia ispirata alla vita di un marinaio che il regista aveva conosciuto veramente, e un tema, quello dei padri separati e l’affido dei figli, sempre attuale. La storia di Dom è quella di un uomo combattuto fra i doveri paterni e la necessità di non rinunciare a quello che è. Un film discreto girato con mano ferma e senza retorica. Interessante.

Andrea Curcione

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INNOCENCE OF MEMORIES – Orhan Pamuk’s Museum and Istanbul

di Grant Gee

(Regno Unito, Irlanda, Italia, 2015, 97′, colore, DCP)

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Lo scrittore turco Orhan Pamuk, premio Nobel per la letteratura, apre un museo a Istanbul. Un museo che è un’opera narrativa: i suoi pezzi raccontano una disgraziata storia d’amore del 1970 a Istanbul. Il film è un tour tra questi oggetti, che rappresentano un punto di partenza per un viaggio attraverso le storie d’amore, i paesaggi e le attrazioni di questa città.

Istanbul è una città enorme, una delle più cosmopolite del Medio Oriente ed Orhan Pamuk uno dei più grandi scrittori del mondo. Suo è « Il Museo dell’Innocenza » che, oltre ad esporre gli oggetti a lui appartenuti, è anche il titolo di uno dei suoi libri. Secondo Philip Dodd « Pamuk descrive Istanbul con la stessa efficacia con cui Dickens aveva descritto Londra« . Il film, come il libro, ci parla dunque di Istanbul, questa città i cui confini non sono percepibili a vista d’occhio e che abbiamo visto ma solo di notte, « quando ad illuminarla sono solo le luci elettriche che nascondono il volto trasandato della città » e che durante il giorno trasmette, specialmente ai visitatori, un’impressione di degrado e di malinconia.

Il Museo dell’Innocenza, per molti, è una delle anime che compongono la città, fatto di oggetti, migliaia, appartenuti allo scrittore e alla sua compagna. Sono oggetti della quotidianità: scarpe, nuove e vecchie, camicie, golf, pettini ecc,ecc. Pure i mozziconi di sigaretta (ben 4321) sono stati esposti in più quadri, a segnalare lo scorrere dei giorni, uno per ogni mozzicone… Istanbul ed oggetti, in una mescolanza apparentemente strana, ma azzeccata nella sua originalità, espressione anche di sentimenti che, tra Pamuk e Shelun, la sua compagna, ha avuto toni ed espressioni molto elevati.

Istanbul di notte non assomiglia ad altre città. Unica anche nei suoi cani randagi, a cui gli abitanti sono affezzionati: sono loro, molto più dei poliziotti, i veri guardiani della città col loro girare tra i quartieri, senza ostacoli di alcun tipo…

Al museo Pamuk aveva pensato dopo aver vinto l’Oscar per la letteratura. La quantità di oggetti raccolti in tutta la sua vita poteva così trovare spazio adeguato e dare alla città un altro profilo della sua personalità.

Massimo Rosin

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VIVA INGRID

di Alessandro Rossellini

(cortometraggio Italia 2015)

con: Ingrid Bergman

durata undici minuti

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Omaggio della Mostra del cinema a Ingrid Bergman, uno dei volti più conosciuti ed amati della cinematografia mondiale. Proiettato nella sezione « Giornate degli Autori » con la regia di Alessandro Rossellini, nipote di Roberto Rossellini, ma non di ingrid, che ha raccolto materiale ancora inedito appartenuto all’archivio personale della famiglia.

Filmini della durate di pochi minuti, dove compaiono le immagini, da lei stessa girate, dei suoi figli ( Isabella e sua sorella Isotta con il fratello Robertino). Non sono che frammenti della loro vita in quegli otto anni tanto è durata la grande storia d’amore con il grande registai. 11 minuti per questo omaggio ad Ingrid Bergmann serviti a ricordare i 100 anni dalla sua nascita. La voce che accompagna questo piccolo documentario è quella della figlia Isabella. Viva Ingrid e lunga vita alla sua immagine, al suo mito.

Rosin Massimo

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