Venezia 72. Cinema italiano nel mirino nel nostro reportage del 8 settembre.

In concorso l’atteso Bellocchio con “Sangue del mio sangue”, un film che ha diviso il pubblico, come capita spesso al nostro cineasta che, esattamente 50 anni fa, esordiva a Venezia con “I pugni in tasca”. Venezia celebra anche la storia del nostro cinema. Ieri con Fellini, oggi ricordando la Wertmüller e Lizzani. Curiosità per la prima opera prodotta dal Vaticano: il documentario: “L’esercito più piccolo del mondo” e tra i documentari da segnalare anche l’italiano: “I ricordi del fiume”. In concorso anche l’opera greca: “Interruption”, mentre tra le altre sezioni si segnala il bello “Tanna” dell’Australiano Bentley con attori non professionisti per la Settimana della critica.


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VENEZIA 72 – IN CONCORSO

SANGUE DEL MIO SANGUE di Marco Bellocchio

(Italia, Francia, Svizzera, 106’, v.o. italiano s/t inglese) con Roberto Herlitzka, Pier Giorgio Bellocchio, Lydiya Liberman, Fausto Russo Alesi, Alba Rohrwacher, Federica Fracassi, Filippo Timi

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Il terzo film in concorso per l’Italia « Sangue del mio sangue » di Marco Bellocchio non mancherà certo di suscitare perplessità, ma forse pure qualche consenso, tra gli appassionati. La storia del film nasce quasi casualmente. Ce lo dice lo stesso regista quando ci racconta della scoperta delle antiche prigioni di Bobbio. In questo spazio così angusto e particolare, ambienta la storia di due gemelli, entrambi sedotti da una giovane monaca tale Benedetta che dovrà passare le forche caudine di un processo intentato dai monaci che non vogliono che il fatto desti scalpore. Uno dei due fratelli, monaco pure lui, a seguito del fatto si è suicidato e la notizia deve assumere ben altro retroscena. Ma Benedetta non intende rivelare la sua colpa, supera tutte le difficoltà del processo, compresa l’ultima prova del fuoco (non si sorprenda chi legge ma la storia è ambientata in un periodo storico appena successivo al medioevo) fino all’estrema punizione: la muratura della cella predisposta per lei..

Ma qui Bellocchio anzichè proseguire nella storia, improvvisamente cambia registro e sceneggiatura, portandoci ai nostri giorni, puntando le cineprese sullo stesso edificio dove però vive un misterioso conte prossimo alla morte che vive lì da otto anni ed è stato dato per scomparso dalla moglie. Quel che accadde poi sono immagini che ci trascinano dentro ad una sorta di follia messa in campo dal regista dove si assista alla comparsa di un falso ispettore ministeriale che riuscirà ad entrare di nascosto dentro alle portone delle prigioni. A scoprire la vera identità del falso ispettore sarà il conte che metterà a nudo il piano architettato assieme ad un altrettanto falso imprenditore russo. Poi, sorpresa finale, il film recupera la storia di Benedetta, che sarà liberata dalla sua prigione.
Che senso avrà questo film? Se lo sono chiesti molti in sala e la domanda non ha avuto molte risposte, lasciando un po’ a tutti la perplessità per uno spazio concorsuale che avrebbe dovuto premiare altre pellicole (quella di Claudio Callegari ad esempio). Nel film di rilievo è la scelta della colonna sonora: si va dal gregoriano (peraltro mal cantato) ai canti degli alpini ( Sul ponte di Perati). Lascio a voi ogni altro commento.

Massimo Rosin

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CARLO LIZZANI, IL MIO CINEMA

di Roberto Torelli, Cristina Torelli, Paolo Luciani

Sez. Il Cinema nel Giardino di VENEZIA 72

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Un bell’omaggio al regista Carlo Lizzani, questo lungometraggio, realizzato a 6 mani da Roberto Torelli, Cristina Torelli, Paolo Luciani e visto ufficialmente oggi in Sala Perla ‘al freddo e al gelo’ da un pugno di spettatori coraggiosi – forse una decina – che sentivano, durante la proiezione, spifferi gelidi sorvolare sopra le loro rarefatte teste! Assurdo! E non è la prima volta…

Lamentele a parte, uno dei migliori direttori della Mostra Internazionale del Cinema di Venezia – Lizzani lo fu, infatti, dal 1979 al 1982 ed in maniera eccellente ed innovativa, coinvolgendo molti giovani – poteva esser meglio ricordato, magari collocando i sottotitoli almeno in lingua inglese.

Lizzani spesso è in primo piano e dietro di lui c’è una bellissima foto di Orson Welles così ben ricordato quest’anno a Venezia 72 (cfr. articoli dei gg. scorsi): un quanto mai emblematico (voluto?) campo e controcampo nella medesima imago.

Girato molto correntemente, è la risultante di molte interviste fattegli negli anni, in modo da apparire una specie di narrazione autobiografica arricchita da spezzoni di film, non solo suoi, ma anche di altri e dei vari periodi toccati, altre interviste ad autori, registi, attori, insomma una piccola storia della Storia degli anni italiani dal Fascismo in poi.

Lui, antifascista e comunista militante, è stato sempre persona di grande rispetto e correttezza, tanto da far pensare che il suo ultimo gesto contro se stesso – morì suicida nel 2013 a 91 anni, come Monicelli – fu un ulteriore prova di amore e di rispetto per un/il prossimo da cui prendeva silenziosamente congedo.

Giovane, sotto il fascismo si avvicina al cinema, trasformando la sua passione in una originale forma di conoscenza, …con il cinema si può fare politica e sana cultura, afferma.

Lizzani all’inizio scrive su riviste cinematografiche, come fecero molti registi, rielaborando sulla pagina di carta ciò che avrebbero portato a compimento su pellicola. Accadde in Italia, ed anche in Francia, come André Bazin docet – insieme col suo discepolo Truffaut scrivevano sui Cahiers du Cinéma. Nel nostro Paese molti scrissero per la rivista Cinema fondata da Ulrico Hoepli e diretta da uno dei figli del Duce, Vittorio.

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Non troppo presente, il direttore, a poco a poco, narra sempre Lizzani nel film, in redazione si creò una piccola ‘cellula’ antifascista formata dai collaboratori tra cui lui che, come i cugini d’Oltralpe, andava scrivendo di Hitchcock, ma anche dal ferrarese-internazionale Michelangelo Antonioni, da Antonio Pietrangeli, Roberto Rossellini, Massimo Mida e persino Massimo Girotti, grande attore, interprete poi di Ossessione (il primo capolavoro di Luchino Visconti girato tra Ferrara e la zona del Po) e raffigurato proprio su una delle copertine di Cinema per la sua interpretazione di Un pilota ritorna, film del 1941 di Rossellini.

Visconti, a Cinema lavorò tra il 1941 ed il ’43: era cresciuto intanto politicamente e storicamente alla scuola di Renoir, di cui fu aiuto-regista e del PCF; Ossessione, succitato, è tratto dal romanzo di James Cain, The postman always rings twice – Il postino suona sempre due volte, fattogli conoscere da Coco Chanel, ed è grande esempio di Neorealismo.

Questo movimento, per dirla con Bazin, fu una rivoluzione del linguaggio cinematografico, a cui s’era avvicinato anche Lizzani durante il suo lavoro con Rossellini per Germania anno zero e che ben narra ne il Mio viaggio nel secolo breve, il titolo della sua autobiografia del 2007, da cui molto è stato tratto per la realizzazione di questo bel film.

Maria Cristina Nascosi Sandri

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LINA WERTMÜLLER – DIETRO GLI OCCHIALI BIANCHI

di Valerio Ruiz

a Venezia 72

sezione Venezia Classici -Documentari

“Lina Wertmüller – Dietro gli occhiali bianchi” è un film di Valerio Ruiz, suo aiuto regista e stretto collaboratore, appena presentato nella sezione Venezia Classici -Documentari.

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“Dietro gli occhiali bianchi” è una bella biografia per immagini, narrazione, e grande umorismo e malinconia sul viaggio esistenziale e professionale di Lina Wertmüller, prima donna al mondo nella storia del cinema ad aver ricevuto una nomination al Premio Oscar come miglior regista, con il suo capolavoro “Pasqualino Settebellezze” (1975).

Ma è anche un bellissimo e simbolicamente pregnante viaggio nella storia dell’Italia del dopoguerra, un po’ come lo è il film su Lizzani.

Gran conforto l’infanzia mia e di mio fratello. Erano gli anni dell’Avventuroso – la bella rivista a fumetti della Nerbini editrice di Firenze, quella che leggeva anche mio padre e suo padre, in realtà, a cavallo tra dei Trenta e Quaranta – dice Lina, facendo vedere le copie allo spettatore.

Disegni bellissimi, opere d’arte degli americani Alex Raymond, di Lee Falk, i grandi disegnatori americani che eran cresciuti alla scuola di Michelangelo e che già realizzavano, coi loro piccoli capolavori su carta, inquadrature cinematografiche: una scuola meravigliosa ante litteram per Lina.

Dalle immagini inedite girate a Cinecittà quando era aiuto regista di Federico Fellini in “8 e 1/2″, il documentario ripercorre i luoghi dei suoi film più celebri, per scoprire l’universo artistico e umano di una donna che, sempre fedele alla sua vena ironica e grottesca, ha lasciato il segno in ogni ramo dello spettacolo in cui ha lavorato.

Cinema, teatro, televisione, musica, canzoni.

Un grande amore, quello di una vita, lo scenografo Enrico Job.

Ad accompagnare il viaggio, tante interviste esclusive agli artisti testimoni di una carriera intensa, in continua evoluzione, anche oggi che ancora dice di voler fare mille e mille cose. Tra questi, Isa Danieli, Giancarlo Giannini, Marina Cicogna, Sophia Loren e molti talenti stranieri come Martin Scorsese, Harvey Keitel, Nastassja Kinski e il severissimo critico cinematografico John Simon.

Il film contiene una lunga serie d’inediti tra video, immagini e canzoni scritte dalla stessa Lina Wertmüller: poesia per gli occhi e per il cuore.

Cristina Nascosi Sandri

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L’ESERCITO PIU’ PICCOLO DEL MONDO

(Città del Vaticano, Italia, Svizzera, 2015)

Di Gianfranco Pannone

FUORI CONCORSO

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“L’esercito più piccolo del mondo” è il primo documentario prodotto dallo Stato della Città del Vaticano (insieme a Italia e Svizzera) ad essere presentato ad una Mostra del Cinema di Venezia.

In esso si parla della Guardia Svizzera Pontificia, che è al servizio dei Papi da oltre mezzo secolo. Infatti il Corpo venne fondato nel 1506, con 150 svizzeri che arrivarono a Roma sotto il Comando del Capitano Kaspar von Silenen. Accolti in Vaticano da Papa Giulio II, che li aveva richiesti l’anno prima al prelato di Lucerna, divennero da subito le ‘guardie’ del Santo Padre. Passati cinque secoli le Guardie Svizzere sono ancora lì, per la gioia dei turisti e dei fotografi, con indosso le divise di un tempo e un compito ben preciso: ‘proteggere’ il più piccolo Stato indipendente del mondo, con 836 abitanti al suo attivo e meno di mezzo km di estensione territoriale. La Città del Vaticano.

Il regista e sceneggiatore Gianfranco Pannone (Napoli 1963) già autore di medio e lungometraggi (come « Ebrei a Roma » del 2012 e “Sul vulcano” del 2014 finalista ai Nastri d’argento e ai David di Donatello) ha voluto frequentare per un anno l’addestramento, all’interno della mura del Vaticano, di alcune giovani reclute svizzere, in particolare seguendo da vicino Leo e Renè: un guardaboschi e uno studente di teologia dell’Argovia. Seguendo il loro addestramento, durato cinque settimane, il regista mostra l’interno di questo piccolo esercito e delle sue funzioni quotidiane all’interno del palazzo pontificio, accanto ad affreschi, stucchi e arazzi pregiati, indossando i caratteristici abiti disegnati da Michelangelo Buonarroti che possono oggi sembrare anacronistici ma che fanno parte di una secolare tradizione. Il tutto dando una visione “laica” delle mansioni svolte in quell’ambiente, seppur a difesa del Papa. Girato in maniera impeccabile, fuori e dentro le mura vaticane, “L’esercito più piccolo del mondo” è un gioiellino fuori concorso che vale veramente la pena di essere guardato. Consigliato.

Andrea Curcione

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FUORI CONCORSO

I RICORDI DEL FIUME di Gianluca e Massimiliano De Serio (Italia, 140’, v.o. rumeno/italiano s/t inglese) – documentario

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Il cinema del fratelli De Serio ha un marchio di fabbrica. Cinema rigoroso. Anti-spettacolare. Mai banale. Questa volta si tratta di un documentario che ha per oggetto lo smantellamento di uno dei più grandi campi nomadi dei dintorni di Torino. Con un importante esempio di integrazione ed inclusione, mediante assegnazione di alloggi nuovi in muratura alle famiglie degli sfollati. La macchina da presa, indaga con maestria le realtà di queste genti. Le accompagna, le insegue. Si sofferma sui loro problemi, sulle loro storie, sulle loro ragioni. Ed anche sulle loro contraddizioni e violazioni di leggi. Un documento prezioso.

Valutazione sintetica : 6.5

Catello Masullo

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TANNA, regia di Bentley Dean, Martin Butler

(Australia)

SETTIMANA DELLA CRITICA

Interpreti: tutti gli abitanti dell’Isola di Tanna

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Straordinario questo film « Tanna » proiettato per la Settimana della Critica, che ha lasciato profonde emozioni tra il pubblico presente in sala. Tanna è un’isola del Pacifico Australe ed è li’ che, in condizioni di difficoltà notevoli per la mancanza di ogni struttura adeguata per fare cinema, i due registi Bentley e Butle hanno deciso di portare a conoscenza del mondo una storia d’amore tra due ragazzi dell’isola. Tanna è un paradiso. Si vive nella natura ma tutto è regolato secondo le leggi del Rastom, un codice che stabilisce norme e comportamenti a cui tutti devono obbedire. Nell’isola vivono alcune tribù, lo spazio del territorio dove ognuna vive è invalicabile, ma non sempre viene rispettato. Il superamento di questo causa reazioni continue. Per sanare l’ennesima disputa si decide che una ragazza del villaggio deve andare in sposa ad uno della tribù « antagonista », ma lei si è promessa ad uno del suo villaggio e non intende rispettare l’accordo. La fuga successiva dei due sarà ostacolata da entrambe le tribù, che intendono rimettere le cose secondo gli accordi stabiliti. Ma a tutto questo Dain e Wawa, così si chiamano i due protagonisti, preferiscono la morte che li coglie sulla sommità del vulcano che sovrasta l’isola. Ma così è la legge dell’amore puro che non conosce confini, lingue e culture. Presenti in sala cinque dei protagonisti del film, vestiti con i loro semplici vestiti, gli stessi che indossavano nel film (e probabilmente anche in tutti gli altri giorni dell’anno) fatti di semplice paglia intrecciata. Un lungo e caloroso applauso è uscito spontaneo alla fine della proiezione per questo film che ci ha portato le immagini meravigliose di un angolo di mondo così lontano dal nostro.

Massimo Rosin

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INTERRUPTION

(Grecia, Francia, Croazia, 2015)

di Yorgos Zois

con Alexandros Vardaxoglou, Maria Kallimani, Alexia Kaltsiki, Christos Stergioglou, Maria Filini

ORIZZONTI

Un film su una situazione ambigua: il pubblico di uno spettacolo teatrale che diventa protagonista della scena

E’ stato presentato in concorso per la sezione Orizzonti “Interruption”, l’ultimo lavoro del regista greco Yorgos Zois (Atene 1982), che aveva esordito alla 67ma Mostra del Cinema di Venezia nel 2010 col cortometraggio “Casus Belli” che in seguito ha ricevuto consensi in molti festival internazionali, così come il secondo suo lavoro, la pellicola “Titloi Telous”, altro corto, alla 69 Mostra di Venezia del 2012.

In un teatro centrale di Atene va in scena l’adattamento postmoderno di una tragedia greca classica: l’ Orestea di Eschilo, l’assassinio di Agamennone da parte della moglie Clitennestra, la vendetta del loro figlio Oreste che uccide la madre, la persecuzione del matricida da parte delle Erinni e la sua assoluzione finale ad opera del tribunale del popolo. Come ogni sera, gli spettatori prendono posto e inizia la rappresentazione. D’un tratto le luci del palcoscenico si accendono e la tragedia si interrompe. Il giovane regista invita alcune persone del pubblico a salire sul palco e a prendere parte allo spettacolo. Subito dopo un gruppo di attori, vestiti di nero estrae delle armi. La rappresentazione riprende ma le persone scelte finiranno per vivere sulla loro pelle, drammaticamente, la tragedia che va a esplicarsi. Il regista Zois ha inteso, attraverso questa messa in scena, ricordare l’episodio del 23 ottobre 2002, quando cinquanta ceceni armati presero in ostaggio 850 spettatori nel teatro Dubrovka di Mosca. Durante i primi minuti dell’attacco, il pubblico, ammaliato dall’ambivalenza del momento, pensò che tutto ciò dovesse far parte dello spettacolo. Zois quindi gioca con quegli attimi cruciali quando finzione e realtà, verità e menzogna, logica e assurdità si mescolano insieme generando una sorta di ambiguità. Tuttavia la messa in scena nella seconda metà del film risulta un po’ confusa; ad esempio quando le persone del pubblico divenuti attori tentano una disperata fuga fuori del teatro. Oppure quando gli altri spettatori presenti in sala, dalla platea si trasferiscono tutti in galleria. Anche i ruoli dei veri attori armati, racchiusi all’inizio dentro a una struttura cubica trasparente, non sono ben distinguibili.

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Tutto è sorretto dal ruolo del regista/ideatore della messa in scena, che sarà anche il “deus ex machina” della gestione degli avvenimenti finti/reali. Infatti non si saprà mai se i proiettili delle armi uccideranno veramente o per finta. Tutto questo è teatro, parola che deriva dal greco “thèatron”, che significa “luogo in cui vediamo”. Infatti “Interruption” è un film sull’atto del vedere una rappresentazione della realtà.

Andrea Curcione

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