Venezia 72: recensioni sui film e eventi in programma il 4 settembre

L’esempio di multiculturalità di Frederick Wiseman, già Leone d’oro alla carriera, con il suo bellissimo: In Jackson Heights, si dimostra di stringente attualità, visto quanto avviene sul tema dell’immigrazione/integrazione. In concorso l’atteso Marguerite con la bravissima Catherine Frot e il fantascientifico Equals dell’americano Drake Doremus. Anche gli altri concorsi presentano film interessanti e da vedere, come il cinese Tharlo tra fiaba e amara realtà nello splendido bianco e nero offerto da Pema Tseden e Mountain dell’israeliana Yaelle Kayam toccante opera sul mondo isolato degli ebrei ortodossi e delle loro donne.


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In Jackson Heights

di Frederick Wiseman

(USA, 190’, v.o. inglese s/t italiano) – documentario.

Fuori Concorso

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Il riconosciuto maestro del documentario Frederick Wiseman, dopo il leone alla carriera ricevuto qui a Venezia l’anno scorso, porta al Lido l’ultima sua, poderosa fatica. Un affresco multicolore di un quartiere di New York, il Jackson Heights del titolo. Uno dei posti al mondo più multiculturale e multietnico, probabilmente. Dove si parlano 167 diversi idiomi. Nato con i primi immigrati irlandesi ed italiani, via via si è andato popolando con gli immigrati delle altre numerose provenienze, soprattutto ispanici, relizzando un vero meticciato culturale. La relativa vicinanza a Manhattan, una mezz’ora di treno con la linea 7, hanno acceso gli appetiti della grande proprietà immobiliare. Che sta facendo una grossa manovra a tenaglia. Sfrattando i piccoli esercizi commerciali storici ed alzando gli affitti per renderli insostenibili agli strati popolari immigrati che ne abitano le case. E far così spazio a nuovi condomini e nuovi centri commerciali, per ceti sociali a più alto reddito. I cittadini del quartiere cercano di resistere organizzandosi in comitati. Cui il film da voce. Stile classico. Starei per dire quasi didascalico. Che non lascia nulla alla immaginazione dello spettatore. Che riporta per esteso intere riunioni dei vari comitati. Che da voce alle varie confessioni religiose, alle varie etnie ed alle varie classi sociali. Non escludendo gli emarginati, come gli LGBT. Che organizzano da tempo nel quartiere un gay pride, al quale di recente ha partecipato per la prima volta il sindaco della città, Di Blasio. Frederick Wiseman è un grandissimo, ma forse non ricorda la lezione di un altro maestro del cinema , Alfred Hitchcock, il quale usava dire che la durata di un film non dovrebbe eccedere quella della resistenza di una vescica umana…

Valutazione sintetica : 7/7.5

Catello Masullo

Tharlo

di Pema Tseden

(Cina, 2015)

con Shide Nyima, Yangshik Tso.

ORIZZONTI

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Ambientato nella più arida terra tibetana, “Tharlo” del regista e scrittore Pema Tseden (classe 1969) presentato nella sezione Orizzonti, racconta la solitudine di un uomo che si guadagna da vivere facendo il pastore di capre. Dalla spiccata memoria – sa recitare interi passi di discorsi di Mao Zedong – “Tharlo”, che tutti chiamano solamente “Treccia” per via della lunga treccia di capelli che porta sulla nuca perché non si conosce il suo vero nome, ha un animo sensibile. Gira con una piccola capretta in un tascapane e la cura amorevolmente allattandola. Di animo sensibile, non ha mai avuto una donna. Un giorno trovandosi in città per farsi sistemare i capelli per avere una foto decente per la carta d’identità, incontrerà una giovane parrucchiera che gli cambierà il corso della sua vita. Trascorreranno insieme la serata in un locale e la ragazza si dimostrerà affettuosa nei suoi confronti, al punto da illuderlo di fuggire via insieme per rifarsi una vita. Tharlo ritornerà nella sua casa sperduta tra le valli per accudire le sue bestie. Quando però i lupi sbraneranno una parte degli animali che alcuni abitanti del villaggio gli avevano affidato affinché se ne prendesse cura. Umiliato da essi, venderà il resto degli animali e con il ricavato si presenta dalla ragazza per realizzare il progetto di fuggire insieme. La ragazza invece scomparirà con il denaro lasciandolo da solo, tradito ed imbrogliato. Girato in un magnifico bianco e nero, con inquadrature panoramiche che evidenziano la suggestiva desolazione delle valli e il fascino delle lontane vette imbiancate delle montagne, “Tharlo” è un film che pecca per la sua lunghezza e la monotonia di certe scene corredate da una fastidiosa serie di brani musicali e stazioni radiofoniche/televisive ascoltate nella barberia che fanno da sottofondo e distraggono le situazioni rappresentate. Colpisce il volto segnato del pastore assai sfortunato in cerca di un’identità che una fotografia apposta su documento ufficiale non gli riuscirà nemmeno a dare.

Andrea Curcione

Marguerite

di Xavier Giannoli

(Francia – 2015)

con: Catherine Frot, Marcon André, Athos Pezzini, Denis Mpunga.

Venezia 72 in concorso.

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Presentato oggi alla 72a Mostra internazionale del Cinema di Venezia, in concorso, l’ultima pellicola di Xavier Giannoli, regista, sceneggiatore e produttore.
Ispirato ad una storia vera, riguardante una pseudo cantante lirica americana, Florence Foster Jenkins, pur tuttavia, ha dichiarato il regista in conferenza stampa,
“ … non volevo fare un biopic, ma raccontare vicende esistenziali realistiche. Ci sono persone che vivono nell’universo dell’immaginazione, sognando di essere diverse da ciò che sono. Tutti abbiam bisogno dell’illusione per vivere, e questo mi sembra l’assioma che informa tutta la vicenda”.

Il film scorre tutto attraverso splendide immagini ed ambientazioni d’epoca e ci racconta con eleganza estetica davvero notevole, la storia di una donna autoconvintasi di avere grandi doti canore. Tutto questo reso possibile grazie all’ipocrisia del circolo artistico da lei diretto e, soprattutto, sovvenzionato, e dal resto dell’entourage familiare e sociale. Divisa in 5 parti, la storia procede tra un improbabile successo ad un altro inutile apprendistato per giungere ad un finale triste che le rivelerà la sua assoluta incapacità vocale una verità cioé mai percepita prima. Sarà solo attraverso un apparecchio di riproduzione sonora, un grammofono, che lei ascolterà inorridita la qualità della sua vera voce, fatto questo che la ricondurrà ad una immediata consapevolezza della sua incapacità.

Nel film il rapporto che lei ha con il marito è, univoco: è solo lei ad amarlo. Alla fine anche lui capirà l’autenticità del suo affetto, ricongiungendosi sinceramente a lei.

Maria Cristina Nascosi e Massimo Rosin

Mountain

di Yaelle Kayam

(Israele, Danimarca, 83’, v.o. ebraico s/t inglese/italiano)

con Shani Klein, Avshalom Pollak, Haitham Ibrahem Omari

ORIZZONTI

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La giovanissima regista israeliana Yaelle Kayam ambienta il suo film in un luogo simbolo della Terra Santa : il monte degli ulivi. Dal quale si domina il muro del pianto e la spianata delle moschee a Gerusalemme. Ed in particolare in una piccola casa che è attaccata ad un cimitero. “L’angolo dei vivi”, come ironicamente lo definiscono gli occupanti. Una famiglia di ebrei ortodossi con 4 figlioletti. Del tutto isolati dall’abitato, in effetti, la madre di famiglia, al massimo può fare un giretto tra le tombe ogni tanto. Dedita al ménage familiare e trascurata da un marito tutto proiettato verso le incombenze della comunità religiosa, la giovane donna finisce con il trovare un contatto umano solo con altri due emarginati come lei. Una prostituta che esercita di notte sulle tombe ed un palestinese che di giorno le scava. Yaelle Kayam usa un tocco lieve. È affezionata ai suoi personaggi. Realizza un film su temi universali, che tutte le donne del mondo si trovano ad affrontare. E lo fa in modo originale. Cercando di rompere i cliché (un palestinese in un film israeliano in genere è un terrorista, in questo film è invece una persona mite e gentile, che, man mano che la protagonista conosce, impara ad apprezzare).

Curiosità: la protagonista, per il suo ruolo archetipico, non viene chiamata mai per nome, è solo moglie e madre. Pronuncia nel film una sola volta il suo nome, quando glielo chiede la prostituta, ma l’attimo di titubanza nel dirlo, ci potrebbe far pensare non sia il suo vero nome, forse anche con riferimento a quanto è scritto nel Talmud, secondo il quale agli uomini è permesso andare con le prostitute, a patto di non rivelare loro il loro vero nome. Chissà se vale anche per le donne…

Valutazione sintetica : 7

Catello Masullo

EQUALS

di Drake Doremus

(Usa, 2015)

con Kristen Stewart, Nicholas Hoult, Guy Pearce, Jacki Weaver.

VENEZIA 72 in concorso

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E’ la fantascienza l’argomento del film in concorso a Venezia 72 “Equals” diretto dal californiano Drake Doremus (nato nel 1983). In un futuro prossimo venturo, dopo una serie di guerre che hanno distrutto e ridotto le generazioni precedenti, la società che si è costituita, chiamata “Il Collettivo” ha soppresso geneticamente tutte le emozioni, considerate alla stregua di nocive malattie da debellare. Tuttavia, in alcuni individui il processo è fallito e, per proteggere la comunità, queste persone vengono inviate presso una struttura correttiva, da cui nessuno ha mai fatto ritorno. In questa società avanzata il giovane Silas (Nicholas Hoult) lavora presso una rivista scientifica. In essa vi lavora anche Nia (Kristen Stewart) una ragazza fredda che sa celare bene le sue emozioni. Col tempo i due giovani scopriranno di provare dei sentimenti l’uno per l’altra, ma più tenteranno di sopprimere le emozioni e più l’attrazione tra loro crescerà. Minacciati dal rischio di essere inviati al centro di recupero, i due amanti, con l’aiuto di alcuni uomini e donne, i “nascosti” guidati dal comprensivo Guy Pearce, che cercano di non far vedere i loro sentimenti, essi tenteranno la fuga per una zona affrancata da queste rigorose leggi. Con un riferimento ad altri film e telefilm di genere, tra tutti “The island” e “La fuga di Logan” più un pizzico di Romeo e Giulietta, “Equals” (tra i produttori esecutivi risulta anche Ridley Scott che di fantascienza se ne intende) vuoi per la soppressione delle emozioni, è un film volutamente freddo, scarno da risultare anche un po’ noioso anche per via di una trama un po’ scontata. Interpreti misurati, scenografie e ambientazioni avveniristiche (appartamenti con armadi a scomparsa tutti rigorosamente bianchi) il tutto se da una parte deve mostrare l’appiattimento di una vita sociale omologata, dall’altro tutto risulta “déja vu” e poco originale. Poco interessante.

Andrea Curcione

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1 COMMENTAIRE

  1. Venezia 72: recensioni sui film e eventi in programma il 4 settembre
    Credo che il film,presentato da Andrea Curcione, Eguals,Usa,assomigli molto,con qualche variante, al romanzo postumo fantascientifico Belmoro di C. Alvaro di cui mi sono occupata di recente. Condivido il suo giudizio: film freddo e poco interessante

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