Addio a Omar Sharif, icona d’un oriente perduto

È con rimpianto che alcuni giorni fa abbiamo appreso la notizia della scomparsa del grande attore, magistrale interprete d’un oriente amato e sognato.
Devo confessare che, quando ho sentito della sua dipartita, mi sono detta con grande emozione che con lui è finita risolutamente un’epoca, nella quale era possibile ancora immaginare l’oriente come la culla aurea delle storie palpitanti di sentimenti e di intrecci audaci e meravigliosi con quella punta di amaro che accresceva il loro fascino.

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Era nato ad Alessandria d’Egitto il 10 aprile del 1932 ed aveva avuto una carriera brillante. È morto ad 83 anni per una crisi cardiaca.

Era il suo sguardo ardimentoso, oserei dire tenero e palpitante, infinita la dolcezza che metteva nel parlare, con cui riusciva a trasmettere tutta la disponibilità della sua natura generosa e forte. Gli affidavano parti di generosi eroi del passato destinati ad immolarsi ed a soccombere dopo aver tanto lottato, per cui abbiamo creduto ad una terra di grandi ideali che ora non esiste più.

O meglio, purtroppo, quello che egli ci aveva fatto apparire come un regno agognato s’è tramutato in un orrido inferno: attentati, guerre, persecuzioni, orrendi delitti, ingiuste faide, distruzioni, genocidi sono sotto gli occhi di tutti e mettono terrore. Si è spento quel mito che egli aveva portato alla ribalta e s’è chiuso il fascino di quelle lontane terre che aveva evocato. Diciamo pure che il suo volto era associato comunemente a quello della giovinezza, dell’amore, della speranza, della sfida anche se non del trionfo, avendo in esse le sue radici, specialmente per due immortali romanzi cui egli ha prestato le sue fattezze : Lawrence d’Arabia e il Dottor Zivago che qui intendo richiamare.

Nel film Dottor Zivago, Julie Christie e Omar Sharif

Indovinata pure la scenografia e splendide le colonne sonore che fecero epoca, specie quella del Dottore Zivago (1965), girato da David Lean cui andarono cinque Golden Globe e cinque Oscar.

Singolare la vicenda della pubblicazione del libro di Pasternak, in anteprima mondiale nel 1957, in Italia per Feltrinelli. Composto durante il regime bolscevico-stalinista fu proibito nella patria russa perché raccontava in forma autobiografica la Rivoluzione d’ottobre, condannandola. Il romanzo si diffuse lo stesso al di fuori e nel 1958 fu premiato con il Nobel. Per acquisire una copia in lingua russa, come prescriveva il regolamento, si ricorse ad uno stratagemma.

Si intercettò una copia in russo in volo verso Malta, il tempo di copiarlo pagina per pagina. Così gli fu dato il Nobel, ma l’autore lo dovette rifiutare, perché non volle espatriare. Fu perseguitato e morì due anni dopo. Il romanzo fu pubblicato in Russia solo nel 1988, nel periodo di riforme volute da Gorbacev e nel 1989 il figlio di Boris Pasternak, Evgenij, si recò in Svezia per ritirare il premio. Avvenimenti rocamboleschi che accentuarono ancor di più la fama di perseguitato del suo autore.

Il film, tratto dal libro e girato da David Lean, fu un capolavoro con l’appassionante storia d’amore dell’ indimenticabile Lara in arte Julie Christie.

L’altro film, sempre di David Lean, è un kolossal del 1963. Narra la leggenda di Lawrence d’Arabia (1888-1935), agente segreto, militare, archeologo e scrittore britannico, interpretato da Peter O’Toole che però vide frustrato il suo sogno di restituire l’Arabia agli Arabi, facendo di loro delle milizie esperte nell’arte della guerra, nel tentativo di combattere i Turchi. Omar Sharif è nelle vesti dello sceicco Ali Ibn Khasisch che ama le tradizioni del suo paese e segue Lawrence per tutta la vicenda, condivide i suoi successi militari, ma pure la sua delusione, quando è costretto ad abbandonare tutto per ragione di intrighi politici. Il film vinse sette premi Oscar.

Nel film Lawrence d'Arabia, Peter O'Toole e Omar Sharif

Naturalmente l’attore Sharif fu interprete di tante altre pellicole di successo in cui ebbe al suo fianco le donne più belle e più brave, da Barbra Streisand, Catherine Deneuve a Sophia Loren, la Bergman, la Cardinale e tante altre. Interpretò il Che nel film di Fleischer ed ebbe successo nella tragedia austro-ungarica di Mayerling dove impersonò Rodolfo d’Asburgo, suicida per amore. Gli si addicevano soprattutto i ruoli romantici ed appassionati, ma nella vita fu inquieto ed accanito giocatore di bridge, tanto da confessare che certe volte recitava per pagare i debiti di gioco.

Alla Mostra di Venezia del 2003 ricevette il Leone d’oro alla carriera, ed emozionò nel film del francese François Dupeyron Monsieur Ibrahim e i fiori del Corano in cui recitava accanto ad un bambino ebreo Momo Schmidt come vecchio commerciante “arabo” che scopre la sua vocazione paterna.

Lo ricordiamo così come interprete d’una cultura diversa dalla nostra, ma affascinante e piena di vita, vicina all’antica sapienza.

Gaetanina Sicari Ruffo

Trailer di Monsieur Ibrahim et les fleurs du Coran, versione francese.

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Gaetanina Sicari Ruffo
Gae(tanina) Sicari Ruffo è purtroppo venuta a mancare nel 2021. Viveva a Reggio Calabria. Già docente di Italiano, Latino e Storia, svolgeva attività giornalistica, collaborando con diverse riviste, tra cui Altritaliani di Parigi, Calabria sconosciuta e l’associazione Nuovo Umanesimo, movimento culturale calabrese. Si occupava di critica letteraria, storica e d’arte. Ha pubblicato i saggi Attualità della Filosofia di D.A. Cardone, in Utopia e Rivoluzione in Calabria (Pellegrini, 1992); La morte di Dio nella cultura del Novecento, in Il Santo e la Santità (Gangemi, 1993); La Congiura di Tommaso Campanella, in Quaderni di Nuovo Umanesimo (1995); Il Novecento nel segno della crisi, in Silarus (1996); Le donne e la memoria (Città del Sole Edizioni, 2006, Premio Omaggio alla Cultura di Villa San Giovanni); Il voto alle donne (Mond&Editori, 2009, Premio Internazionale Selezione Anguillara Sabazia). Suoi anche i testi narrativi Là dove l’ombra muore (racconti Premio Internazionale Nuove Lettere, 2010); Sotto le stelle (lulu.com, 2011); La fabbrica dei sogni (Biroccio, 2013); la raccolta di poesia Ascoltando il mare (Pungitopo, 2015).

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